Leultime20 ha avuto l’onore di essere tra gli invitati perciò, poco prima delle diciotto, eccomi entrare nella sede del Corriere della Sera, in via Solferino a Milano. L’ambiente è informale e rilassato, si salutano volti noti e si fanno nuove conoscenze, mentre le responsabili della comunicazione distribuiscono copie del romanzo ai presenti. In attesa della scrittrice ci accomodiamo intorno a un grande tavolo e sfoderiamo l’arsenale di Iphone, tablet, macchine fotografiche e qualche quaderno per gli appunti “vecchia maniera”.
Silvia Avallone fa la sua comparsa accompagnata da Stefano Izzo, il suo editor, e mi ritrovo a pensare che dal vivo sembra ancora più giovane e bella. E soprattutto simpatica. Non ha nemmeno trent’anni, ha venduto oltre mezzo milione di copie, tradotte in svariate lingue, ma sorride quasi intimidita dalla nostra presenza.
A dispetto dell’immagine da ragazzina acqua e sapone, Silvia Avallone, ha una voce “potente” sia nello scrivere quanto nel parlare. La si ascolta volentieri, catturati dalla passione che trasmette il suo narrare. Quando conclude, dicendo che uno dei suoi desideri era raccontare da un lato
«la necessità di reinventarsi della mia generazione»
e dall’altro dare vita a
«una grande storia d’amore, come quelle di una volta, come quelle dei nonni, un amore che fosse per sempre, come scelta definitiva»
mi stupisco e non posso fare a meno di domandarle se questo desiderio di un legame definitivo sia un bisogno che, da buona osservatrice della realtà, ha avvertito tra i suoi coetanei o solo un auspicio. La risposta è incoraggiante:
«Credo che in tempi di crisi o di guerra si tenda a fare più figli, a sposarsi di più, a tentare di più. In un momento come quello che stiamo vivendo, in cui non sai se lavorerai, se potrai costruirti una casa o fare dei figli, ho percepito tra i miei coetanei l’importanza di tornare ad avere una persona con cui attraversare questo deserto. In fondo, è anche un modo per resistere, per essere controcorrente, per dire ‘tutto crolla ma noi no!’».
Il carosello di domande si scatena, nessuno di noi ha ancora letto il libro, ma emergono i grandi temi che la scrittrice ha voluto affrontare dopo aver viaggiato a lungo su e giù per l’Italia, per scrollarsi di dosso gli scenari del precedente romanzo.
Si parla soprattutto della provincia italiana, che insieme a Marina sembra essere la vera protagonista del libro, una provincia che, dopo essere stata abbandonata dalle generazioni passate, può tornare ad attirare i giovani che oggi, intrappolati nella paralisi sociale generata dalla crisi, si trovano a dover affrontare sfide enormi. Che tuttavia non spaventano i personaggi di Avallone, disposti alla competizione e anche alla sconfitta:
«L’Italia è un piccolo paese con risorse immense. Mi sembra impossibile che sia così difficile ripartire. Ho sentito la necessità di ribellarmi a questo crollo, a questa crisi; avevo bisogno di un nuovo inizio. Per reagire ai tempi che stiamo vivendo ho voluto personaggi che, senza certezze, come i cowboy del Far West, andassero a conquistarsi il loro pezzo di deserto».
«Ho scritto mille inizi di Marina Bellezza, ma sentivo subito che non funzionavano. In una versione i protagonisti erano addirittura bambini. Poi, quando la storia ha ingranato, i personaggi sono andati avanti da soli. Io quando scrivo non faccio schemi, se no mi viene l’ansia».
A proposito di ansia le domando se il secondo romanzo le ha provocato quella da “prestazione”, come suole accadere agli esordienti che hanno riscosso molto successo con la loro opera prima e Silvia prova a svicolare:
«Già alla fine del primo libro mi dicevano “vedrai con il secondo”, ma quello del secondo romanzo è un falso mito, in ogni libro si ricomincia da zero, con i tuoi personaggi sei sempre un esordiente».
Falso mito o no, resta il fatto che il pubblico che ha amato Acciaio si aspetta molto dalla scrittrice e che oggi 18 settembre il libro apparirà nelle vetrine di tutte le librerie italiane. Preoccupata?
«Non ci posso pensare!».
ammette, infine.
La conversazione prosegue per oltre un’ora e mezza e Avallone non si sottrae mai, risponde generosa e prolissa, attenta a soddisfare la curiosità di tutti, anche davanti a domande difficili come: “Ci dai un motivo per andarsene dall’Italia e uno per restare?”
«Rimanere per prendersi cura del nostro Paese, perché qualcuno deve pur restare per farlo, andarsene perché è sempre positivo confrontarsi con altre realtà, con altre storie».
Si conclude parlando di coraggio, quello che muove Marina e Andrea, quello che la scrittrice crede indispensabile per costruire il futuro dell’Italia.
«Tutta la nostra generazione e, a maggior ragione quelle che verranno dopo, dovranno avere coraggio, sia che se ne vogliano andare o che vogliano restare, lo dovranno trovare perché è in atto una sfida, quella di resistere, quella di prendere le macerie ritirarle su».
Dopo l’incontro, Silvia scappa a fumare una sigaretta e poi c’è tempo per un rinfresco, per le foto e le dediche, che senza fretta e con rara dedizione, l’autrice concede a chiunque lo domandi, mentre continua a conversare con noi senza la presunzione o la ritrosia che talvolta, purtroppo, accompagna i successi giovanili.
Una donna e una scrittrice da applauso, un evento ben organizzato e tanti spunti su cui riflettere.
Ora mettiamoci a leggere Marina Bellezza (presto le mie impressioni nella sezione Pagelle del blog).