anteprima/libri: “La Tarantina e la sua dolce vita”

Da Uiallalla
Proponiamo alcuni brevi estratti da “La Tarantina e la sua dolce vita” (Ombre corte), la biografia dell’ultimo femminiello napoletano raccontata da Gabriella Romano che sarà presentato giovedì 13 marzo al Chiaja Hotel (in via Chiaia 216 a Napoli) nell’ambito della rassegna Poetè

D’improvviso la guerra ci sembrò lontana, ci scrollammo di dosso la polvere, la fame, la fatica del dopoguerra, per la prima volta alzammo gli occhi e guardammo avanti. Il peggio era finito. A quei tempi Roma era una calamita, tutti sognavano di vivere nella città del cinema, delle star, la capitale dell’eleganza e della modernità di cui leggevamo sui rotocalchi: e il miraggio era a portata di mano, proprio lì, a pochi chilometri di distanza.

La Dolce Vita romana incalzava, mi seduceva, mi spronava a buttarmi a capofitto in situazioni sempre più scandalose perché erano anni di grande euforia, sfrenatezza, c’era il gusto di esagerare, di infrangere i tabù del passato. E la gente aveva voglia di fare pazzie, si era tutti quanti un po’ come frastornati dai primi bagliori di libertà, di benessere. Iniziai a combinarne di tutti i colori: mi spogliavo nuda in via Veneto, davanti a tutti, oppure facevo spettacoli improvvisati di spogliarello a Villa Borghese, tant’è vero che in un’occasione mi videro dei giornalisti – all’epoca la zona pullulava di paparazzi - e sui quotidiani del giorno dopo uscirono titoli tipo: “Le notti verdi di Villa Borghese” con le mie fotografie… la polizia iniziò a darmi la caccia, da quei giorni non smisero mai di starmi alle costole. Io ero vanitosa, volevo apparire, scandalizzare, sentivo che tutti mi guardavano, che piacevo e adoravo sedurre, stupire, essere al centro dell’attenzione.

La gente aveva una disperata voglia di essere chic, all’ultima moda, via Veneto era una passerella a tutte le ore, i caffè erano sempre affollatissimi. Io in quella via mi sentivo una regina, ero ricercata perché, in quegli anni, gli Anni Cinquanta e Sessanta, non esisteva quasi nessuno come me, ero una mosca bianca. Essendo in poche ed essendo le prime, noi trans eravamo anche facilmente individuabili e anche per questo venivamo letteralmente perseguitate dalla polizia. Ci aspettavano, si appostavano nei punti di ritrovo, dove ci potevano incontrare facilmente: ne ho fatte di fughe col fiato in gola! Io correvo davanti, gambe in spalla, e le guardie dietro, come nei cartoni animati.

Insomma, non posso lamentarmi, qualche parola trovo sempre con chi scambiarla, in questa zona tutti mi conoscono, molti ragazzi li ho visti nascere, mi chiamano zia come forma di rispetto. La mattina, verso le undici, faccio una bella caffettiera di caffè e la sistemo sul davanzale con una decina di tazze, chi passa se lo versa e mi aggiorna sui fatti del vicolo, ci scambiamo opinioni su questa e quella cosa. Io godo ad essere generosa e quando posso aiutare qualcuno lo faccio con piacere, mi fa sentire meglio. Non sopporto di vedere gente che dorme per strada, che chiede la carità, animali abbandonati che soffrono… sono cose che mi fanno stare male. L’inverno di qualche anno fa, per esempio, un uomo di colore, un barbone, mi bussò alla porta: “Signora, io freddo” e d’impulso gli donai tutte le mie coperte, dormii col cappotto addosso e la stufa accesa, ma quella sera faceva veramente freddissimo, quello tremava e io non ho avuto il coraggio di mandarlo via a mani vuote. E lui ogni volta che mi vede mi saluta: “Buongiorno, signora”, è sempre gentile, mi è riconoscente e io sono contenta di avergli fatto un favore, così campiamo meglio tutt’e due. Napoli è questa, ‘a verità: niente abbiamo, ma molto regaliamo. Per questo siamo famosi e ben accetti in tutto il mondo, perché siamo sempre e comunque gente di cuore. E questa è casa mia, voglio che si sappia: la Tarantina qui ha vissuto e qui, a Dio piacendo, per almeno altri cent’anni vivrà.


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