E al ritorno a casa, ieri, il treno viaggiava con un'ora di ritardo. Quindi un lungo viaggio, che sembrava ancora più lungo nonostante di solito i ritorni sembrino sempre più brevi.
Ma per fortuna avevo un compagno di viaggio, e abbiamo incominciato a parlare.
- Anche io ero ad Anteprime. Di questi eventi non me ne perdo uno.
Dice il signor Z.
- Ho la seconda media.
Ah. Originale!
- Ma mi è rimasta una fame di sapere. Tutta colpa di Petruccini. Petruccini era il mio professore di italiano. Sottile, sempre elegante, con quel suo gessato, i capelli in ordine, i baffetti. Le parlo di almeno quarantanni fa. Petruccini. Arrivava in classe. E noi: in religioso silenzio. Con il suo giornale. Stava zitto, a sfogliare il quotidiano. Che eleganza, mentre girava le pagine. Poi, sempre alla stessa ora, tutti i giorni, arrivava la bidella. Bussava. Noi, in piedi, ogni volta che entrava qualcuno ci alzavamo. E lei gli porgeva questo contenitore. Questo thermos laccato, pareva in radica o qualcosa di simile. Petruccini lo apriva. Lo svitava. Così.
Il signor Z. mima il gesto con lentezza.
- E poi si beveva questo suo caffè bollente. Piano. Piano. Sorseggiandolo. E noi che continuavamo a stare lì in silenzio. A guardarlo. - Ma poi faceva lezione? - Certo. Tutto questo non durava più di un quarto d'ora. Poi apriva il libro e spiegava. Petruccini mi ha fatto amare la lettura e la scrittura. Era bravo. Ma le parlo, come le ho detto, di almeno quarantanni fa. Chissà se è ancora vivo.?
E comunque grazie, signor Z. per avermi raccontato la sua storia, di Petruccini. E per non avermi chiesto niente, nessuna domanda di rito, e per aver parlato di libri e di avventure proprio come se, in quel momento, non ci fosse davvero, ma davvero, niente altro di più importante al mondo.