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Antica razza sacra dei mastini tibetani , il do-khyi, prede del business cinese. rinchiusi in gabbie grandi come loro.

Creato il 09 giugno 2011 da Madyur

Decine di fortezze sono presenti sotto quota quattromila , sono allineate lungo la strada che conduce all’aeroporto da Potala , cuore del Tibet e dei buddisti. Mura invalicabili nelle caserme che anticipano Lhasa, con cui l’esercito previene e reprime le proteste anti-Pechino. Nessuno ti dirà chi difendono questi fortini, qualcuno ti spiega che qui i tibetani fanno a pezzi i loro defunti , affidandoli ai pesci.


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Dietro ai cancelli, però, si nasconde l’ultima violenza dei cinesi contro la gente e la vita di queste montagne : la prigionia di mastini tibetani , rinchiusi dentro gabbie piccolissime. Per millenni il “Do KHyi”, guardiano delle mandrie di yak dei nomadi pastori , ha corso libero sugli altopiani. E’ un cane gigantesco , evoluto per difendere persone, tende e animali contro feroci carnivori.


Marco Polo lo descrisse come più alto di un asino. Vive solo sull’Himalaya e l’isolamento ha conservato intatta la razza : supera il metro d’altezza e d’adulto arriva a 130 Kg. Fino a poco tempo fa solo i pastori dei villaggi lontani si curava di questi molossi. I lama tibetani credono che sia la reincarnazione di monaci e monache che non sono riusciti a rinascere uomini e ne vietano il commercio.


Fino a quando il Dalai Lama regnava su Lhasa, nel 1959, i mastini erano ammessi a Potala , nei monasteri distrutti e svuotati dalle truppe di Mao. Sui pascoli alti i cuccioli venivano scambiati con il sale , o regalati per vegliare su donne e bambini durante l’assenza degli uomini.


Ora questi animali sono rinchiusi dietro sbarre di allevamenti inaccettabili , dove migliaia di animali agonizzano dentro gabbie anguste invase da escrementi e mangime avariato. Gli allevamenti lager ufficialmente non esistono. Ma gli animali, purtroppo, sono dietro questi muri pronti per essere caricati nelle stive degli aerei. Per entrare in un allevamento basta fingersi cliente , essere introdotti da un’agenzia , insistere per ottenere un permesso e pagare una cauzione. Il cane sacro dei buddisti è ora una merce esclusiva dei mercanti cinesi , che hanno invaso queste montagne insieme a soldati e funzionari di Pechino.


I giovani miliardari della Cina atterrano nella valle dello Tsangpo e ile carceri si aprono ai nuovi ricchi della Terra. I cani sono stesi sul cemento, sotto l’effetto dei sedativi , ma appena qualcuno s’avvicina si scagliano verso le sbarre con inaudita violenza. Quasi tutti stentano a reggersi in piedi.


La quotazione di un esemplare di tre anni è di 100000 euro. I capi più colossali costano 300000. “Yangtze River II” è stato pagato 385 mila euro e la sua padrona l’ha portato via con un corteo di 25 Mercedes. “Hong Dong” , però, ha stracciato ogni record: 1,1 milioni di euro. Il suo pelo rosso e la sua giovinezza ( 11 mesi) l’hanno quotato in maniera incredibile. Il suo padrone, un proprietario di una miniera in Mongolia l’affitta a 11 mila euro ad eiaculazione. Un antica razza distrutta per il business.


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