ANTICIPAZIONI
Luigi Fontanella
DISUNITA OMBRA
(Poesie 2007-2012)
Rosellina Archinto Editore
In queste nuove poesie sentiamo tutti i temi della sua opera: il viaggio, innanzitutto, elemento di spaesamento e congiunzione; e poi il desiderio di raccontare; il vedere, ad occhi aperti, come si trasformi il senso delle figure nello svariare della luce, in una dimensione che spesso induce al “pensare col cuore”. Ma anche certi nodi della sua adolescenza, “donati” alla scrittura come fonte di umana, dolorosa riflessione sull’essere, sul dipendere da una stagione della vita, dal colore di un cielo, da un’ “azzurra memoria” che si ripresenta, infine.
E’ una poesia caparbiamente e saldamente analogica la sua – a discapito di un menefreghismo semantico assai diffuso – capace ancora di sognare una concordia gentilissima col lettore, e di accompagnarlo verso un senso condiviso, il desiderio di un abbraccio, di uno sguardo comune dalle finestre di una stessa casa.
Sebastiano Aglieco
***
… quei due che insieme vanno,
e paion sì al vento esser leggieri
Dondolavano
abbracciati
in attesa di un treno… Tacito
e lieve
era il loro cullarsi
puri e intatti
staccati dal moscaio e fuori
da ogni altro verminaio
che fumigava lì attorno.
Improvvisamente
una rondine vidi, sbigottito,
vorticare sul loro capo
come a un invito…
Quel lieve dondolìo
si rivestì allora di un brivido
un sussulto…
ed eccoli
a un tratto – miei puri pensieri -
spiccare il volo su tutto
al vento avvinti, docili e leggieri.
(Stazione di Padova, 25 maggio 2007, h. 9)
*
Cosmos
… mentre la musica
aleggia tagliente e malata
incontrastata
inesistente
e il caldo artificiale
batte lento alle tempie. Questo
istante gira tutto intorno a me,
respiro, grazia, innocenza
di un variopinto stralunìo agli occhi
chiusi aperti chiusi… la musica
si ripete, la musica chiede venia
alla mia mano spuria
di fronte a un cielo rosso di sospiri
per tutti i reietti eletti.
(Stony Brook, 10 dicembre 2007)
*
JFK
Arrivano a fiotti
oi barbaroi – mai come stasera
ne ho capito in questa babele
l’invasione, vanno vengono brulicano
sordi bruti assordanti inquieti…
Lasciarono oscure contrade
per cercare un altro destino un altro dio
ma ad esse fanno ostinatamente
ritorno per farci un giorno
posare le loro ossa scontente.
Ed io, perenne avventizio,
non sono forse un po’ come loro
se non in questo mio inesausto
raspare, e intrepido
documentare?
(Kennedy Airport, 3 settembre 2008, h. 20,40)
*
I maschi di San Diego
(per A. e O. )
I maschi di San Diego
bevono chiassosi dentro e fuori i pub
birre mohitos e margaritas
dopo un’infinita giornata di sole
sfidata al surfing frisbee e volleyball.
È la settimana del loro Spring Break, tutta
una calda primavera già estiva si riversa
sulla loro pelle dorata
sulla loro carne smargiassa… il sole
basso e obliquo sta intanto lasciando
la fila delle tante casette
appiccicate l’una dopo l’altra
sul lungo-lungo mare
della Mission Bay. Ovunque
un risonare di voci e musica
struscio incessante di gioventù
di fronte a me che guardo
e tutto serbo negli occhi .
Anch’io ho volato
anch’io ho sfidato il tempo, anch’io
ho pensato d’essere eterno
come loro libero e trasandato…
Fra poco s’accenderanno
i grandi falò sulla spiaggia
nasceranno nuovi amori
nuove complici alleanze
per estati ed estati
il rosso delle facce riverberà
alle fiamme, e fiamme
saranno i loro corpi insabbiati.
(San Diego, California, 30 marzo 2010)
*
Mi ha sempre colpito la calma di certi treni di periferia, il loro ventrale silenzio, la mutezza liquida con la quale, lentamente, si avviano scomparendo… Poi, una volta dentro, di quante immagini rubate si sono riempiti i miei occhi, un cumulo sfinito che non s’arrende… e forse solo questo resterà alla fine del mio viaggio: un complesso mosaico in movimento, caotica sovrapposizione che ha sempre accompagnato me scontento.
*
(Upstate, NY, in pieno inverno)
Vieni! (ho come sentito una voce…) È l’alba. Corrono sulle cime innevate fasce di nebbia, epoche senza tempo. Giù dai campi fumiga una terra. Nei solchi profondi giacciono accatastate zolle rugose, compatte, immobili nel loro diaccio biancore. Si ode, di lontano, il roco vocìo , come d’un canto. Ma forse oggi la neve comincerà a disciogliersi.
*
The Old Town
Sera inoltrata nel vecchio pub del villaggio
passo davanti a quattro sordomuti
sulla piazzetta il tempo s’è incrostato
alle lamiere contorte delle macchine
abbandonate nello yard di Jim
le vedi parlare tra loro nel vento
autunnale, padrone d’ogni loro fessura
la luce dell’unico lampione riversa
la sua bava giallastra sul lastricato
poco fa un magro allucinato è uscito dal pub
camminava come uno che aveva perduto tutto al gioco
guardo i pochi negozi chiusi e all’angolo il vecchio cinese
che s’ostina a impiastricciare
nel fumograsso del suo abituro
per qualche ultimo avventore
che non arriverà.
L’aria marina ti violenta la faccia
eppure ancora non è tardi
ancora non è tardi.
Più avanti il piccolo semaforo
segna il limite finale del villaggio
oscilla come un aquilone
munito di un solo occhio
che uccide a caso
così ieri pomeriggio il gabbiano urlando
mi vorticò davanti
il becco infilzato nel dorso
del granchio che ancora
muoveva le sue zampette
lo seguii con lo sguardo finché potei.
E nell’oscurità immaginavo occhi attaccati
ai vetri delle case a strapiombo sul mare. Eppure
non è tardi. Ancora non è tardi.
Petra sfida la notte e stasera come ogni sera
ancora conserva il segreto
di una madre che perse suo figlio
un giorno che questi volle andare sulla spiaggia
e non fece più ritorno. Scomparve come Ramiro
per sempre inghiottito nel mare nello spazio nel buio
nel cielo nel suo mistero. Anch’io
ho abitato qui, anch’io un giorno
ho toccato queste pietre interrogandole
tastandole cercandone il tesoro. Pietre
che sono sopravvissute al sangue
e alle lacrime, pietre amare e ignare,
vendute al primo arrivato, pietre
che un tale già avanti negli anni si caricava sulle spalle
ogni mattina una dopo l’altra senza riuscire
a finire la sua opera
schacciato da una di esse. Emma
faceva vedere a tutti la botola
che dalla camera da letto
conduceva in un minuscolo antro sotterraneo
quante volte avrei voluto
calarmici nel buio più buio… un soffio
impetuoso improvviso di vento fa risuonare
la catena del pozzo ove un giorno
qualcuno attinse acqua per Petra. Risuona malamente
la catena sbatte impietosa
ma ancora non è tardi,
ancora non è tardi.
La Regina delle Azalee è partita per sempre
stasera il vento flagella le pietre e quest’erba
che lei non si stancava di rassodare
e popolare di nuove piante
scovate chissadove e di altre invenzioni mentre
l’albero di sanguinella annunciava
generoso i suoi candidi
fiori ogni primavera. Regina è partita
senza lasciare il suo nuovo indirizzo
insieme con i suoi sogni d’acqua e di terra
svanito l’odore di caminetto svanita la nepitella
colta un pomeriggio d’estate a Shelter Island
spariti anche i due gatti trovati per caso
dalle parti di Lindenhurst.
Poggio la mia faccia sull’erba io già erba io già terra
la vecchia Amy della casa accanto una sera
si nascose sotto un ammasso di foglie secche
per negarsi ai nipoti che venivano
inutilmente a trovarla
e quella sera, spazientita,
sbucò d’improvviso dal mucchio di foglie
inveendo contro di loro. Clang clang clang
risuona brutalmente la catena del pozzo
mi spinge oltre
sul divano sono rimasti vecchi giornali
e riviste ancora incellofanate
disordinatamente ammucchiati la ragazzina dell’edicola
era assai solerte nel mettere da parte
la merce richiesta dai clienti fissi
un giorno mi presentò suo marito Tom Hass
un cristo alto due metri che si vergognava
della propria altezza “si tratterrà molto
in questo villaggio?, e: how do you like it here?”
Siamo tutti morti e l’arida strada attutisce
ogni suono e io guardo come in un film muto
i quattro ragazzi che si passano la palla fra loro
ma ancora non è tardi ancora non è tardi.
*
Clifton
Sparsamente distribuite
dentro lo spazio di questa stanza
in quieta stasi
cose parole pronte all’offerta
per una loro trasformazione di rito
che concili distanza e vicinanza…
Dai vetri, oltre la bruma, la solitudine
t’aggredisce d’improvviso alla gola
o si ferma sulle dita
nel disegno dell’aria, mentre assorto
ascolti la pioggia e
ogni rumore sfuma.
Ragazzino, mi confondevo
dentro lo sguardo di quei minuscoli
rivoli che l e n t i s s i m a m e n t e
scendevano davanti a me, piccole gocce
che s’andavano ingrossando a contatto
con altre gemelle in attesa.
Di fronte al vetro di quella finestra
non c’era angoscia del tempo, ma solo
un piccolo inganno agli occhi
e alla fervida mente.
Cresceva lo sguardo quanto più angusto
era il mio orizzonte. Non è possibile
che tutto questo sia svanito, cancellato per sempre.
Padre lontano, padre forse malamato
che ora mi appari improvvisamente davanti,
padre, padre spaiato,
che su di me facevi affidamento.
Padre troppo presto scomparso
che oggi ti ripeto
in gesti e incerti sorrisi,
padre creduto disperso
oggi ritrovato intatto in questo alberghetto.
Sono ancora io quel ragazzino
ritto davanti a te in lambretta
sulla discesa da Vietri a Salerno?
Dove andavamo? A me
sembrava di volare, padre mio,
padre spaiato, padre malamato.
Rieccomi a te di fronte,
in questo piovoso due ottobre,
dentro questo artefatto ostello del New Jersey,
davanti a queste cose parole ferme
pronte a un’offerta
che qui si compie definitivamente.
(Montclair, NJ, 2 ottobre 2009)
*
Prato aperto che si allarga alla vista
è la primissima ora, luce antelucana
che accarezza piante e alberi.
Una fanciulla sbuca dal folto
e saltellante si dirige
verso la sua nutrice.
Dall’alto di una torre
una figura
eterna nella sua lieve
andatura fa cenno
a me bambino perché a lei
mi avvicini per ascoltarla.
*
(A.M.)
Nella trascoloranza dei pieni e dei vuoti
scivolano le nostre storie
figurazioni care e contraddittorie
intrecciate fra loro. Vite
nelle quali mi immedesimo
e subito me ne ritraggo.
Provo rancore e pietà ma verso chi verso cosa
e m’inchino alla furia dei paradossi
a queste vite divise, ai ritorni di fiamma
a ciò che si chiama destino
che è nostro e solo nostro.
Si ripete la rappresentazione
perfetta
una mano ignota distribuisce le carte
ma il gioco rivela sempre la stessa figura
(si fa strada il tuo incerto sorriso nel verde accecante)
candida mano che si protende nel sogno.
Amica amata vicina lontana,
quale improvvisa dolcezza, stasera
mi porta alle tue labbra
al tuo corpo che denudo
con la mia lingua di carta.
*
Mi volgo paziente verso gli opposti
avvenimenti. Rimando
prove impegni appuntamenti. Poco fa
ogni cosa sembrava pronta
è già stato tutto consumato.
Sono qui ora per raccogliere scorie
in attesa che avvampi una qualche esplosione
la libera azione d’esprimere
ciò che si può immaginare solo
in piena indipendenza
come una vocazione si fa sentenza
sigillo nudo, esibito
che sfida ogni inganno
in virtù della sua purezza
per quell’antica luce
dorata che un tempo illuminava
il pane sulla mia tavola.
*
Camminiamo insieme io e la mia ombra
a volte ci prendiamo per mano e ci divertiamo
gridando, come ragazzini, i colori dell’ora
a lei incollato per succhiare qualcosa
da ogni persona incontrata
o solo intravista per strada.
Rantolo e alimento di questa
poesia che si va svuotando
come il vino rimasto nel mio bicchiere, filo
ostinato che lo lega al mio sangue
al mio tempo, a questa scrittura
al suo occhio interno
a quel bambino che
spingeva il suo cerchio
e di sera correndo controvento
urlava “ti sfido vento ti sfido vento”.
*
BERTGANG
fantasia onirica
I
Nella breve ora degli spiriti
una giovane ragazza uscì di casa
e si diresse con passo rapido e leggero
verso la dimora di Meleagro. Qui giunta
scomparve come d’incanto
fra le colonne della corte.
Una graziosa farfalla
aveva svolazzato un attimo prima attorno a lei,
farfalla dell’Ade messaggera
che l’invitava a rientrare
essendo già trascorsa la sua breve ora…
Trasognato le gridai: “ Tornerai
ancora qui domani all’ora meridiana? Dimmi
se corporea sei o puro spirito vagante.” Ebbro
e trepidante, così le domandavo
mentre lei già spariva.