In quest'opera teatrale ci sono dunque due letture: quella che la scrittrice fa del mito di Antigone e quello che il regista fa dell'opera della Parrella. Ne viene così fuori un linguaggio che si arricchisce di numerose stratificazioni e per questo si fa complesso e in parte anche rischioso.
Valeria Parrella è l'autrice di quella difficile operazione che consiste nell'interpretare la tragedia di Sofocle come una storia della contemporaneità senza però perdere nulla della gravità e della complessità del linguaggio classico. Non si può parlare di un vero e proprio processo di modernizzazione o di attualizzazione, bensì di un tentativo di calarsi in una storia antica con lo spirito della contemporaneità per tirarne fuori riflessioni e sentimenti universali, quali il rapporto tra la legge della natura e quella dell'uomo, la libertà di scelta, l'autodeterminazione, i legami affettivi e di sangue.
Sulla stessa linea si muovono le scelte registiche che sono visivamente di grandissimo impatto: una stanza completamente buia in cui i personaggi illuminati da luci che creano forti chiaroscuri si muovono quasi come fantasmi sospesi nel nulla, una mescolanza tra la presenza degli attori sul palco e la proiezione dei loro volti recitanti sul telo semitrasparente che sta davanti al palco. Anche in questo caso dunque si mescolano un'atmosfera antica da teatro greco, fatto di volti e parole, e una tecnica moderna da messinscena cinematografica fatta di immagini e musica.
Il risultato finale è certamente di rilievo, sia sul piano dei contenuti sia sul piano visivo, sebbene si muova su una corda sottile, in bilico tra il poetico e il prosaico, tra il popolare e l'aulico, con qualche sbavatura in un senso o nell'altro.
Il teatro è - come altre arti classiche - alla ricerca di se stesso nell'epoca dell'immagine e della velocità.
In questa epoca di transizione prodotti come quello che Luca De Fusco ha realizzato a partire dall'operazione coraggiosa di Valeria Parrella vanno certamente salutati con favore.
Voto: 3/5