La strabordante vitalità musicale di Salis non si esaurisce di certo nelle funamboliche performance solitarie, nelle quali letteralmente eviscera l’anima dei suoi strumenti, in un calderone di lava in cui armonia, melodia e ritmo si fondono in un’amalgama inscindibile, tra purissimo talento, istinto animalesco e il poliedrico e smisurato bagaglio di esperienze musicali. Nella sua ormai più che quarantennale carriera, Antonello Salis ha collaborato con jazzisti di statura mondiale: oltre al già citato Lester Bowie, guru dell’etno free-jazz di Chicago, Don Cherry, Cecil Taylor, Horacio “El Negro” Hernandez, Billy Cobham, Nana Vasconcelos, Javier Girotto, Pat Metheny, gli italiani Massimo Urbani, Enrico Rava, Furio Di Castri, Roberto Gatto, Stefano Bollani e l’elenco potrebbe andare avanti all’infinito. Nonostante la sua spiccata vocazione cosmopolita, il polistrumentista campidanese non ha di certo lesinato attenzioni per la sua terra, portando avanti con i migliori esponenti della ricca scena isolana – da Paolo Fresu (con cui ha creato il trio P.A.F., con Di Castri al contrabbasso) al chitarrista sperimentale Paolo Angeli e al polifiatista e vocalist Gavino Murgia, con i quali ha dato vita al progetto Giornale di bordo, con Hamid Drake alle percussioni- riuscite fusioni tra il jazz e la tradizione musicale sarda. Anche in campo non strettamente jazzistico, l’apporto di Salis è stato richiesto da artisti quali Pino Daniele, Ornella Vanoni, Vinicio Capossela e i Quintorigo.
Con il chitarrista francese Gerard Pansanel ha portato avanti un lungo sodalizio, culminato nella colonna sonora del 1998 per il film Racconto d’autunno del prestigioso regista Eric Rohmer. Ma le sue infiammate evoluzioni musicali sono state richieste anche da importanti esponenti del teatro come Lucia Poli, Remondi & Caporossi, Leo De Berardinis e il Festival di Sant’Arcangelo, oltrechè da importanti compagnie di danza e festival cinematografici, in particolare per la sonorizzazione di capolavori del cinema muto. Nè sono mancate le produzioni discografiche, da solista o frutto delle innumerevoli collaborazioni. Nonostante abbia abbondantemente superato i sessant’anni, Antonello Salis appare come un eterno Peter Pan (o, per dirla alla cagliaritana, Piccioccu de Crobi ) del Jazz italiano, il fisico asciutto e nervoso, l’occhio curioso e ingordo di sempre nuove esperienze, il funambolico virtuosismo improvvisativo mai fine a se stesso, ma sempre pronto a cogliere l’essenza stessa della musica e ad offrirla al pubblico, capace al contempo di spregiudicata contaminazione cosmopolita e di forte e sincero sentimento identitario sardo.