Martedì scorso, durante una Conferenza ONU contro la droga tenutasi a Teheran, il Vice Presidente iraniano Rahimi ha destato scalpore con le sue affermazioni antisemite accusando il Talmud – libro sacro per gli Ebrei – di essere responsabile del traffico internazionale di droga. Le affermazioni razziste del rappresentante iraniano hanno fatto il giro del mondo, suscitando condanne non solo a livello mondiale, ma anche all’interno dello stesso Iran. Unica eccezione è stata quella di Antonino De Leo (nella foto in alto visibile sulla sinistra), responsabile dell’Ufficio per Droga e Crimine delle Nazioni Unite, aperto nella capitale iraniana dal 1999. De Leo, infatti, invece di rimarcare con forza la ferma condanna alle parole di Rahimi, ha preferito proseguire nella sua attività di lobby pro-Iran sottolineando come la Repubblica Islamica rappresenta “un partner strategico per la lotta al traffico di droga“.
L’Iran è davvero un partner strategico?
Apparentemente, le parole dell’inviato ONU De Leo non peccano di alcun errore. In Iran, infatti, circola la quantità maggiore di droga al mondo. Quasi tutta l’eroina e l’oppio che raggiungono l’Europa provengono dal triangolo Afghanistan-Pakistan-Iran e, all’interno della stessa Repubblica Islamica, 1,2 milioni di persone fanno uso di droge. Teheran, quindi, rappresenta davvero il crocevia del traffico di droga internazionale e, una sua reale collaborazione con le autorità internazionale, servirebbe davvero a limitare il danno che la droga crea nel mondo intero. In una intervista dell’aprile del 2011 concessa a Radio Radicale, Antonino De Leo, chiedeva perciò un allentamento delle sanzioni internazionali verso l’Iran per favorire l’importazione di materiale utile a combattere il traffico di droga. Peccato che, l’Iran, sia tutt’altro che un partner strategico della Comunità Internazionale nella lotta alla droga e che, al contrario, proprio la Repubblica Islamica sia uno dei Paesi che contribuisce maggiormente al traffico illecito di droga e ne ottiene gli introiti maggiori.
Ecco come l’Iran favorisce il traffico di droga
La Repubblica Islamica, ormai da decenni, è economicamente e politicamente in mano ai Pasdaran. Le Guardie Rivoluzionarie, infatti, controllano la politica (oggi dominano l’esecutivo e il Parlamento) e, per mezzo della famosa Forza Quds, lavorano attivamente all’estero per esportare l’ideologia khomeinista per mezzo di pratiche terroristiche e affari illeciti. A livello interno, quindi, i miliziani controllano oggi l’80% dell’economica iraniana e gestiscono i traffici illeciti in ogni settore, droga compresa. Non è un caso, infatti, che recentemente gli Stati Uniti hanno imposto le sanzioni su un alto ufficiale della Forza Quds, Generale Gholamreza Baghbani, accusato di favorire il traffico di droga tra Iran e Afghanistan in cambio dell’aiuto dei Taliban nel colpire i militari della forza internazionale ISAF. Il ruolo delle IRGC nei traffici illeciti è stato denunciato anche da personalità iraniane come Mehdi Karroubi – oggi agli arresti in Iran – e Ali Ghanbari. Di tutto questo, Antonino De Leo non ha detto nulla…
Ancora più grave, se possibile, è il fatto che De Leo non abbia espresso una parola sul ruolo dell’Iran – spesso per mezzo del suo proxi libanese Hezbollah – svolge nel traffico di droga in America Latina. Cellule di Hezbollah sono presenti nella cosiddetta Tri-Border Area (tra Argentina, Brasile e Paraguay) sin dagli anni ’80, grazie alla forte presenza di comunità mussulmane libanesi e siriane. Una forte accellerazione ai traffici illeciti, però, è arrivata dopo il 2005, quando Ahmadinejad viene eletto Presidente in Iran e favorisce una forte politica di vicinanza a diversi Paesi latinoamericani per far uscire la Repubblica Islamica dall’isolamento internazionale. Il Venezuela, in particolare, diviene una vera e propria “porta” (per usare le parole di Norman A. Bailey) per Teheran al fine di finanziare il terrorismo e bypassare le sanzioni internazionali. Il traffico di droga più rilevante, infatti, passa per l’Isola di Margarita sulla costa venezuelana, per la città colombiana di Maicao e la penisola di Guajira, vicino al confine con il Venezuela. Non solo, a dimostrare il coinvolgimento iraniano e di Hezbollah, ci sono numerose inchieste internazionali. Tra questi possiamo citare il caso del diplomatico venezuelano Ghazi Nassereddine e del suo clan famigliare, il caso del network Rabbani – responsabile degli attentati in Argentina del 1992 – 1994, il caso del cartello gestito da Ayman Joumaa o i casi di Jamal Yousef e Jamaeel Nasr, arrestati a New York e in Messico con l’accusa di terrorismo e traffico di sostanze illecite. Senza contare, infine, il tentativo di uccidere l’Ambasciatore dell’Arabia Saudita negli Stati Uniti, organizzato nel 2011 dall’agente iraniano Manssor Arbabsiar con il sostegno del cartello della droga messicano dei Los Zetas…Anche di tutto questo, Antonino De Leo non ha detto nulla…
Terminiamo qui, ma potremmo andare avanti per ore nel discrivere come l’Iran favorisce il traffico di droga. Invitiamo il lettore ad approfondire il tema con i link che abbiamo suggerito nell’articolo. Resta il fatto che, putroppo, la Repubblica Islamica è tutt’altro che un partner nella lotta al traffico di droga internazionale e, gli sforzi sinora compiuti dalle autorità iraniane nel contrastare il fenomeno, sono infinitamente inferiori all’uso che il regime fa degli introiti derivanti dai traffici illeciti. Speriamo in un futuro migliore e invitiamo il Dottor De Leo ad essere qualcosa di più di un mero portavoce del regime iraniano…