Secondo quanto riportato nelle note d’agenzia Lo Giudice avrebbe sostenuto che ad uccidere Francesco Calabrò, giovane impreditore reggino sarebbe stato Consolato Villani, collaboratore di giustizia anch’egli teste nel processo Meta.
“Il Villani – scrive Lo Giudice – e’ responsabile degli omicidi dei Carabinieri (Fava e Garofalo ndr) uccisi per mano di due mercenari di armi incoscienti, uno villani e, l’altro Giuseppe Calabro’”. “Inoltre – continua Lo Giudice – sono a conoscenza diretta, per che’ mi e’ stato confidato dal Villani che a uccidere Calabro’ Francesco e’ stato proprio lui, mi disse che aveva un appuntamento in un bar al centro citta’ nei pressi di piazza Garibaldi (non ricordo il nome) e li’ il Villani gli fece una proposta per una partita di armi e che si trovavano nei pressi del porto di Reggio Calabria, approfittando della sua debolezza mentale lo trascino’ fino al porto, giunti sul posto il Villani essendo sulla stessa auto gli diede un pugno in faccia e il povero Francesco sveni’, approfittando che erano coperti dalla visuale di un rimorchio gli scese il freno a mano e lo fece cadere in acqua, dopo che si assicuro’ che non tornava a galla scappo’ a piedi verso il centro a recuperare la sua auto”. L’auto di Francesco Calabrese, una Smart, e’ stata rinvenuta poco tempo fa nelle acque del porto reggino.
All’interno i resti umani ancora non identificati, quasi certamente appartenenti a Francesco Calabrese, l’imprenditore che era scomparso dal 2006, fratello del collaboratore di giustizia Giuseppe Calabro’, il quale pero’ non fu creduto dai giudici che lo condannarono a una pesante pena.
Ora che significato ha l’accusa verso un altro pentito? Cosa c’è dietro le missive di Lo Giudice e la sua strana scomparsa?
Nino Lo Giudice, detto il nano se prima ha accusato altri e si è accusato oggi dice di aver mentito, stravolge oltre 3 anni di indagini, costringendo gli inquirenti a iniziare nuovamente il lavoro. Lo Giudice affiliato all’ndrine si era pentito nel 2010 dopo essere stato arrestato e dopo una permanenza detentiva di circa 15 giorni, il suo pentimento parte con una sorta di autoaccusa verso sè stesso e anche altri individui. Lo Giudice confessava di essere l’autore della bomba messa alla Procura generale di Reggio Calabria nella notte tra il 2 e il 3 gennaio 2010 , di quella piazzata e fatta esplodere nell’androne di casa del Procuratore generale Salvatore Di Landro il 26 agosto 2010, non solo sempre Lo Giudice probabilmente aveva portato al Tribunale di Reggio quel bazooka il 5 ottobre 2010.
Di Lo Giudice da qualche tempo si diceva essere un “Pentito ad orologeria” può essere? Dunque un pentito particolare? O solo un uomo che non ha retto la vita da pentito? Al momento della misteriosa scomparsa persino il Procuratore Di Landro avrebbe dichiarato che probabilmente non si trattava di pentito attendibile e che lui stesso nutriva alcuni dubbi sulle dichiarazioni del Nano. Ma allora che succede?
Antonino Lo Giudice, in località segreta da fine 2010 negli anni è stato condannato e doveva scontare una pena di 6 anni e 4 mesi, dunque avrebbe dovuto essere protetto e sorvegliato. Ma cosa è successo?
C’è qualche maglia spezzata nel sistema di protezione? Come vive un collaboratore di giustizia in località segreta? Il caso Lo Giudice tanti e diversi interrogativi. La situazione è delicata, i collaboratori di giustizia da sempre vivono in un eterno limbo ma anche e sopratutto in una eterna lotta tra bene e male, male e bene. Questo ormai è cosa nota, nonostante il sistema protettivo non pochi sono coloro che vengono ricontattati dal crimine organizzato che, almeno in apparenza sembra essere un ottimo antagonista dello Stato. Spesso si legge e si sente di pentiti che escono dal sistema di protezione, di collaboratori che non continuano a collaborare, di chi ritratta, di chi scompare. E se tutto questo fosse il segnale di qualcosa che non va?
Se dietro a pentiti non pentiti, collaboratori improvvisamente silenti c’è altro? Che dire poi del sistema ardito dei falsi pentiti?
Forse il crimine organizzato, qualsiasi esso sia “graziando” i suoi ex affiliati riesce a proporre loro alternative più sicure e sopratutto un futuro più florido a chi ha scelto di collaborare? In questo modo il crimine potrebbe ottenere due successi: uno quello di non perdere manco un affiliato e di guadagnarne possibilmente altri, l’altro quello di stoppare indagini e processi confondendo gli uomini dello Stato?
Il caso Lo Giudice potrebbe essere un buon punto di riflessione, cercheremo nei giorni di capire meglio cosa è successo e sopratutto cosa accade in quel mondo particolare fatto di località segrete, forse anche no, parole, crimine, accuse, trattative, ma anche e sopratutto uomini e donne che in buona fede affidano la loro vita allo Stato con la certezza di far la cosa giusta per una società migliore ma che spesso si trovano ad affrontare una vita che forse non avrebbero mai immaginato.