di Giuseppe Leuzzi. L’Italia? è ultima in tutto. Eccetto che nell’autodeprecazione. I giornalisti italiani erano per questo da evitare, anche in Iraq per dire, nei posti più brutti dove pure un po’ di compagnia avrebbe aiutato: si lamentano sempre, del proprio giornale, del proprio governo, del proprio ambasciatore, dell’Alitalia, e della donna italiana. Galdo, giornalista, ha trovata in questo una manna nelle classifiche internazionali. Che mettono l’Italia inesorabilmente ultima in Europa, e in mezzo a compagnie indigeste nelle classifiche mondiali: per la sanità accanto a paesi con l’ebola, per la giustizia con la Cina e l’Iran, per l’istruzione con la Papuasia, per la libertà un gradino sopra la Corea del Nord. Per la scuola e i diritti civili comunque ultima, o prima. E per la corruzione: si vede che i giornalisti italiani non hanno mai chiesto un mutuo in Germania – e perché, del resto, avrebbero dovuto (ma Galdo, inviato di “Panorama”, non ha mai visto in Africa, in Asia, in America Latina, come vanno le cose realmente)?
Uno può congratularsi, se si può pubblicare di tutto, da massimo editore poi. Oppure chiedersi, dopo essersi toccati: ma per chi si scrivono e si pubblicano questi libri?
Dopodiché c’è da dire che il governo fa male a trascurare queste classifiche. Che vengono da enti che amano il contatto con le autorità pubbliche. Si guadagnano molti punti investendo, anche poco, in Transparency, Reporter senza frontiere, Amnesty International, Freedom House e altrettali. Sono organizzazioni senza fine di lucro, ma devono pur mantenersi.
Ma molto è dovuto proprio all’autodeprecazione: Transparency, Freedom, Amnesty, Rsf si basano sui corrispondenti o collaboratori italiani, tutti giornalisti o comunque pubblicisti – in Italia “pubblicare” è il massimo. Non si può fare colpa a queste organizzazioni, loro degli italiani si fidano. E dunque uno studio sarebbe opportuno della pubblicistica italiana: perché tanto tafazzismo – che è morbo non lieve?
Antonio Galdo, Ultimi, Einaudi, pp. IX-118 € 16