Antonio Gramsci. Quaderni del carcere (1929-1935)

Creato il 22 gennaio 2014 da Silcap

Sono assillato (è questo fenomeno proprio dei carcerati, penso) da questa idea: che bisognerebbe far qualcosa «für ewig», secondo una complessa concezione di Goethe, che ricordo aver tormentato molto il nostro Pascoli. Insomma, vorrei, secondo un piano prestabilito, occuparmi intensamente e sistematicamente di qualche soggetto che mi assorbisse e centralizzasse la mia vita interiore. Ho pensato a quattro soggetti finora, e già questo è un indice che non riesco a raccogliermi, e cioè: 1° una ricerca sulla formazione dello spirito pubblico in Italia nel secolo scorso; in altre parole, una ricerca sugli intellettuali italiani, le loro origini, i loro raggruppamenti secondo le correnti della cultura, i loro diversi modi di pensare ecc. ecc. [...]. 2° Uno studio di linguistica comparata! Niente meno. Ma che cosa potrebbe essere più «disinteressato» e für ewig di ciò? [...]. 3° Uno studio sul teatro di Pirandello e sulla trasformazione del gusto teatrale italiano che il Pirandello ha rappresentato e ha contribuito a determinare. [...] 4° Un saggio sui romanzi di appendice e il gusto popolare in letteratura. [...] In fondo, a chi bene osservi, tra questi quattro argomenti esiste omogeneità: lo spirito popolare creativo, nelle sue diverse fasi e gradi di sviluppo, è alla base di essi in misura uguale. (Carcere di San Vittore, 19 marzo 1927)

Esistono molte «quistioni» dei giovani. Due mi sembrano specialmente importanti: 1°) La generazione «anziana» compie sempre l’educazione dei «giovani»; ci sarà conflitto, discordia ecc. ma si tratta di fenomeni superficiali, inerenti a ogni opera educativa e di raffrenamento, almeno che non si tratti di interferenze di classe, cioè i «giovani» (o una parte cospicua di essi) della classe dirigente (intesa nel senso píú largo, non solo economico, ma politico-morale) si ribellano e passano alla classe progressiva che è diventata storicamente capace di prendere il potere: ma in questo caso si tratta di «giovani» che dalla direzione degli «anziani» di una classe passano alla direzione degli «anziani» di un’altra classe: in ogni caso rimane la subordinazione reale dei «giovani» agli «anziani» come generazione, pur con le differenze di temperamento e di vivacità su ricordate; 2°) Quando il fenomeno assume un carattere cosidetto «nazionale», cioè non appare apertamente l’interferenza di classe, allora la quistione si complica e diventa caotica. I «giovani» sono in istato di ribellione permanente, perché persistono le cause profonde di essa, senza che ne sia permessa l’analisi, la critica e il superamento (non concettuale e astratto, ma storico e reale); gli «anziani» dominano di fatto, ma… «après moi le déluge», non riescono a educare i giovani, a prepararli alla successione. Perché? Ciò signífica che esistono tutte le condizioni perché gli «anziani» di un’altra classe debbano dirigere questi giovani, senza che possano farlo per ragioni estrinseche di compressione politico-militare. La lotta, di cui si sono soffocate le espressioni esterne normali, si attacca come una cancrena dissolvente alla struttura della vecchia classe, debilitandola e imputridendola: assume forme morbose, di misticismo, di sensualismo, di indifferenza morale, di degenerazioni patologiche psichiche e fisiche ecc. La vecchia struttura non contiene e non riesce a dare soddisfazione alle esigenze nuove: la disoccupazione permanente o semipermanente dei cosi detti intellettuali è uno dei fenomeni tipici di questa insufficienza, che assume carattere aspro per i piú giovani, in quanto non lascia «orizzonti aperti». D’altronde questa situazione porta ai «quadri chiusi» di carattere feudale-militare, cioè inacerbisce essa stessa i problemi che non sa risolvere.
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