Antonio Gregolin: la Civiltà delle Scarpe

Creato il 15 aprile 2013 da Dietrolequinte @DlqMagazine

Maria Veronica 15 aprile 2013

Le scarpe si riempiono di terra quando percorrono strade e acquistano valore portandoci lontano. Fin dalla preistoria gli uomini hanno capito che calzare pelli voleva dire andare più in là, fare un passo in più. A raccontare la storia dell’uomo, a partire dalle calzature, ci ha pensato Antonio Gregolin che lo scorso mese ha esposto a Palazzo Isimbardi a Milano la sua collezione Terra nelle Scarpe. La personale che ha preso vita sotto i portici dell’edificio non era una semplice esposizione sulle scarpe, né una mostra di queste. Le calzature erano invece simboli della storia individuale e collettiva. Figlio e nipote di ciabattini, Gregolin è cresciuto circondato da mocassini, stivali e sandali e da uomini che li riparavano. Una passione per le calzature che col tempo è divenuta culto, senza mai scadere nel feticismo. Un filo rosso a legare le scarpe artistiche, realizzate dall’ideatore della mostra, con gli stivali logorati dalla Prima e dalla Seconda Guerra Mondiale. E poi ancora le scarpe divelte dei deportati nei campi di concentramento, seguiti dagli zoccoli anni ’30, ’40 e ’50 e da quelli di un famoso film di Ermanno Olmi intitolato per l’appunto L’albero degli zoccoli.

C’erano anche le scarpe degli emigranti italiani dei primi anni del Novecento e le infradito dei nuovi immigrati, che dall’Africa ogni estate giungono a Lampedusa attraversando un mare infernale in cerca di fortuna. E ce n’è anche per tutte le età e tipi: bambini, giovani, adulti e vecchi. Scarpe di vivi e di morti. Accanto alla storia troviamo anche la spiritualità con i calzari poveri dei frati francescani o i solidi mocassini di una madre badessa in contrasto con la rigida clausura delle “pianelle” delle Vergini Eremite Francescane del monastero di via Cavalletto a Padova. «Dalle scarpe di una persona si capiscono tante cose: dove va, cosa fa, dove è stata!», diceva Forrest Gump nell’omonima pellicola di Robert Zemeckis. Ed è questo il leitmotiv di tutta l’esposizione, che porta a guardarsi i piedi per un attimo ponendosi la domanda: «Ed io dove sono stato?».

Domanda che sposta la nostra attenzione soprattutto sulle scarpe di chi cammina tanto per lavoro e per passione. Come lo storico giornalista del Corriere della Sera, Ettore Mo, che ha donato le scarpe con cui nel 1980 incontrò per la prima volta in Afghanistan il comandante Massoud o come Toni Capuozzo, conduttore del programma televisivo “Terra”, che, con indosso le scarpe ora in mostra, ha raccontato la guerra civile libica del 2011. E troviamo anche le scarpe “speciali” di Alessandro Zanardi, il pilota di Formula Uno che ha perso le gambe e oggi corre grazie alle nuove tecnologie. Il pensatore di Terra nelle Scarpe è un artista poliedrico, il cui mondo creativo è una fusione di interessi e curiosità che gli permettono di spaziare in molti campi: spettacolo, cultura, giornalismo ed educazione ambientale. Il vicentino Gregolin sente l’arte come forma di educazione e dice: «Non puoi amare ciò che non conosci. Figuriamoci pretendere il rispetto verso la terra, da gente che è stata sradicata da ogni appartenenza».

Le fotografie inserite nell’articolo sono di Maura Micale


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