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Antonio Juvarra – Vademecum del cantante non meccanico

Creato il 29 aprile 2014 da Gianguido Mussomeli @mozart200657

Antonio Juvarra, di cui questo sito ha già ospitato diversi contributi, mi ha inviato il suo ultimo scritto inedito sul tema della tecnica vocale. Lo pubblico con grande piacere, ringraziando come sempre il maestro Juvarra per la preferenza accordatami. Credo che, anche in questo caso, il testo offra materiale per diversi spunti di riflessione. Buona lettura.

 

     VADEMECUM DEL CANTANTE NON MECCANICO

1
La natura del canto è estatica. Esso può anche esprimere tensione e drammaticità, ma così come un aeroplano, nato per volare, può trasportare pesi… Cantando non andare mai quindi contro natura: né contro la natura del canto né contro la natura umana ! Sarebbe come tagliare il ramo su cui sei seduto…

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Nel canto il ‘corpo anatomico’ non è altro che una delle tante forme di immaginazione del cantante, immaginazione anatomica che lo porta a una conoscenza esterna, periferica del fenomeno. Altra cosa è il ‘corpo sensoriale’ che sfocia nella vera consapevolezza del corpo strumento del cantante: il corpo non come oggetto esterno, come ‘avere un corpo’, ma come ‘essere un corpo’. Questo è il corpo del vero canto.

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L’ attenzione è locale, esclusiva e successiva. La consapevolezza è globale, inclusiva e simultanea. La prima è del canto meccanico, la seconda è del vero canto.

4
Il respiro è la porta di accesso allo spazio del canto. Il piacere è la chiave per aprirla. Senza di esso  non c’ è vero respiro ma solo meccanica muscolare, che, in quanto tale, non potrà mai generare il canto, ma solo produrre surrogati. Questo anche se al respiro meccanico diamo l’ etichetta di ‘respiro tecnico’ o di ‘respiro artistico’.

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Il controllo diretto del fiato e del respiro è illusorio: non si può controllare il mare, ma solo imparare a nuotare e navigare sulle sue onde… Nel canto quello che si può e si deve fare è evocare la SENSAZIONE naturale del respiro e del fiato. È grazie ad essa che la voce può continuare ad autosintonizzarsi e autosostenersi. Come il bambino sull’ automobilina della giostra, avremo allora l’ illusione di essere noi a guidare…
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Il suono parlato del belcanto è il seme vivo del canto, la sua scintilla iniziale; il suono ‘cantato’ e ingrossato è il suo tronco morto. Il respiro naturale globale è la terra-grembo dove il seme germoglia e cresce, diventando canto; il respiro meccanico dell’ ‘affondo’ è la terra-tomba dove il tronco morto marcisce, rimanendo urlo. Il respiro ‘tecnico’ del ‘sostegno’ è il cemento dove il seme rinsecchisce e muore; la ‘maschera’ è la pistola che spara il seme contro un muro che sta ‘avanti’, ma che mai sarebbe mai esistito, se quel seme fosse stato trattato come un seme e non come un ‘proiettile’ per ‘proiettare’ il suono…

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Il parlato naturale non è direzionale, mentre lo è il chiamare a voce alta. Il canto può acquisire la stessa potenza vocale del chiamare a voce ‘alta’ (nelle note ‘alte’ appunto…) ma non la sua direzionalità, altrimenti diventa grido più o meno camuffato. Questo anche se per definirla usiamo un sinonimo ‘scientifico’ di direzionalità, che porta un nome dagli effetti magici sulla mente (ma non sulla voce) dei cantanti: la ‘proiezione’ dei suoni…

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La sostanza del suono cantato è aria e luce. La pienezza, la potenza, lo squillo e la proiezione sono miraggi acustici, che riusciamo a creare solo se sappiamo come entrare in contatto con l’energia dolce, invisibile,  progressiva, non muscolare del canto e poi dosarla in modo dolce e uniforme durante ogni frase. Il simbolo materiale di questa energia è il fiato.

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La distinzione tra ‘nucleo’ del suono (che deriva dal parlato) e spazio che lo circonda (che deriva dal respiro e che nella zona acuta ‘sboccia’, si espande, si ‘spiega’), è un concetto operativo fondamentale per non schiacciare né ingrossare il suono, cioè per non distorcerlo acusticamente. Esso ci ricorda la natura bipolare della realtà, dove non esiste l’ alto senza il basso, l’ avanti senza il dietro, il grande senza il piccolo.

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E’ CON e DURANTE la giusta inspirazione che deve avvenire il concepimento del suono, altrimenti il suono, anche se concepito correttamente, sarà solo ‘mentale’, cioè irreale. Collegato col respiro, il concepimento diventerà allora fecondazione creativa.

11
La giusta inspirazione è un atto passivo che ha la natura del sospiro di sollievo e della boccata d’ aria rigeneratrice, non della manovra meccanica o atletica. Allora l’ inspirazione sarà anche ‘ispirazione’.

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Cantare ‘sul fiato’ vuol dire avviare il suono ‘al volo’, sull’onda del respiro, cioè sul movimento e sul momento discendente della respirazione naturale globale del sospiro di sollievo, senza mai fermare il fiato, il quale non deve essere mai spinto né trattenuto, ma sempre e solo lasciato fluire naturalmente.

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Come la musica non sta in nessun suono, ma in una relazione tra suoni, così il canto, che è un continuum fluido, non sta in nessuna ‘posizione’ statica, per quanto ‘ideale’, del suono e/o del corpo, ma in una relazione dinamica tra suoni (= note e vocali), a sua volta creata da una relazione dinamica tra funzioni naturali (respirazione e articolazione).

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Noi non parliamo né per sillabe né per parole, ma per frasi. Ogni frase, per essere ciò che è, cioè un’unità vivente fatta di relazioni dinamiche, deve crearsi da sola, altrimenti il dire degenera in sillabazione, che è una forma di disarticolazione e segmentazione del flusso comunicativo. Solo quando le frasi cantate rispettano la struttura flessibile delle frasi parlate, ossia sono collane con le perle collegate intimamente da un filo e non attaccate esternamente e rigidamente con la colla, si crea, appunto, il ‘fraseggio’, realtà eufonica che è, insieme, parlata, cantata e musicale.

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L’articolazione semplice, sciolta ed essenziale del parlato diventa il sintonizzatore automatico del suono. Questo a condizione che il respiro sia ampio e naturale e che la mente sia libera da virus tecnico-vocali.

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I virus tecnico-vocali sono agenti patogeni mentali, creati dall’uomo, che danneggiano il canto o addirittura lo distruggono, per cui si può affermare che l’apprendimento del canto è più un imparare che cosa NON fare, che un imparare che cosa fare.

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Come nella Bibbia l’elenco delle genealogie è più lungo del decalogo, così nel canto l’elenco dei virus tecnico-vocali è più lungo di ogni possibile decalogo…  Da questa lista nera citiamo:   1)- indirizzare o tenere il suono (che non è un oggetto) in punti ‘magici’ dell’apparato di risonanza (‘maschera’, fronte, palato duro, palato molle, spazi infra e intra-laringei ecc.);   2)- impedire che il torace si sollevi naturalmente durante l’inspirazione;  3)- fermare la respirazione perché l’inizio della fuoriuscita dell’aria coincida con l’inizio del suono (“attacco simultaneo”);  4)- alzare direttamente il palato molle, abbassare direttamente la laringe, azionare direttamente le corde vocali, far rientrare volontariamente i muscoli addominali, tenere bloccati in fuori i muscoli addominali, tenere allargate le costole inferiori, atteggiare le labbra a imbuto, creare forme fisse e precostituite;  5)- accentuare artificialmente l’articolazione;  6)- aprire la bocca abnormemente in una zona che non sia quella acuta;  7)- verticalizzare lo spazio di risonanza; 8)- scurire le vocali per dare rotondità al suono;  9)- schiarire le vocali per dare brillantezza al suono;  10)- rendere nasali o foneticamente ‘miste’ vocali che la lingua del testo cantato NON prevede che lo siano;  11)- credere e assecondare l’illusione delle note che ‘salgono’ e vanno sempre più in alto, invece che concepirle tutte alla stessa altezza; 12)……13)……14)….15)……

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Una nota centrale non è più ‘bassa’ di una nota acuta, ma meno ampia. Il maggiore spazio della nota acuta non si crea aprendo attivamente e localmente la gola o pre-impostando una determinata forma delle cavità di risonanza, ma si crea come effetto di una distensione-espansione passiva globale del corpo (che comprende quindi anche la gola), che avviene in automatico una frazione di secondo DOPO che la nota è stata intonata.

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Anche l’ appoggio respiratorio è un servo-meccanismo naturale che entra in funzione automaticamente e che passa naturalmente e progressivamente da un semplice senso di contatto (e non di più !) nella zona centrale a una sorta di pressione ELASTICA AUTOGENA nella zona acuta.

20
La tensione costrittiva è ciò che interviene ‘istintivamente’ salendo alle note acute. Occorre perciò indurre consapevolmente una sorta di ‘distensione espansiva’, che però è quella vera, solo se è il risultato di un autocontrollo passivo e non attivo, ed è reale e non immaginaria, solo se si è appresa l’arte non di respirare, ma di essere respirati…

21
La voce non si ‘sostiene’ verso l’alto come un elicottero, ma si ‘appoggia’ verso il basso come un aeroplano. Per definizione infatti l’ aeroplano è detto aeroplano perché ‘plana sull’aria’ sottostante e non si attacca all’aria sovrastante né è ‘campato per aria’, pur volando in alto.

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La gola, è assieme alla bocca, una delle due UNICHE cavità di risonanza reali della voce ed è quella che conferisce rotondità e spazio al suono. Non esiste pertanto un modo per NON cantare con la gola (che sarebbe come pensare di poter camminare solo con i piedi e non con le gambe). Esiste solo un modo giusto e un modo sbagliato di coinvolgere la gola cantando. Prima che nascesse la nevrosi del suono ‘avanti’ o ‘fuori’ (fine del XIX secolo), tutto ciò era perfettamente chiaro ai belcantisti, che, per indicare la corretta emissione, parlavano di “cantar di gorga” (= gola) e di ‘gorgheggio’ (= goleggio). Perché “cantar di gola” e non “cantar di bocca” ? Perché la bocca già la usiamo perfettamente parlando (attività che svolgiamo dalla nascita o quasi..) per cui l’elemento nuovo da imparare (e da accordare col primo) è il corretto utilizzo, appunto, della gola… Il respiro naturale profondo è il ponte che collega lo spazio di risonanza della bocca con quello della gola.

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Più si cerca di correggere un suono o una vocale singolarmente, cioè in maniera irrelata rispetto agli altri suoni, peggiore diventerà il suono. Più si rispetta il movimento essenziale, sciolto e fluido dell’articolazione parlata naturale, più veloce e profondo sarà il miglioramento acustico del suono da correggere, che si realizzerà automaticamente come effetto dell’alternanza dinamica di quel suono con altri suoni. Questo fenomeno rappresenta la spirale virtuosa del canto.

24
Le vocali italiane sono sette. Esse sono semplici riflessi mobili dell’unità del suono, paragonabili ai colori. Come non esistono colori buoni e colori cattivi, così non esistono vocali di serie A e vocali di serie B (magari da correggere o ‘compensare’ in quanto tali). Pertanto nei vocalizzi esse vanno usate tutte, alternandole in modo dinamico. In questo modo la qualità acustica di una vocale passa alla successiva, senza alterarne l’identità, in virtù di una sorta di osmosi acustica. In questo caso avremo una (corretta) fusione dinamica delle vocali. La combinazione statica delle vocali, invece,  sul modello dell’oscuramento diretto delle vocali e loro trasformazione in vocali miste, inaugurato da Garcia, è solo un modo per distorcere acusticamente il suono.

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La voce non è un blocco monolitico, ma un intersecarsi di dimensioni diverse.  Tre di queste dimensioni rappresentano le componenti fondamentali del suono: la brillantezza, la corposità e la morbidezza. Esse si combinano tra loro con dosaggi che variano in rapporto all’altezza del suono, alla vocale e all’effetto dinamico. La brillantezza emerge soprattutto nella zona medio-acuta ed è più facilmente evocata dalla vocale ‘E’; la corposità emerge soprattutto nella zona grave della voce ed è più facilmente evocata dalla vocale ‘O’; la morbidezza è un elemento onnipervadente, che agisce da collegamento fluido dei suoni ed è più facilmente evocata dalla vocale ‘U’ pura.  La fusione bilanciata di queste tre componenti rende la voce più flessibile, oltre a facilitare e mimetizzare naturalmente i passaggi di registro. La giusta sintesi delle tre qualità del suono sfocia nella percezione, essenzialmente mentale, del suono che ‘galleggia’ in corrispondenza di una linea alta immaginaria, che sta sotto gli occhi e sopra la bocca. Questa ‘altezza’ non è una posizione anatomica ma uno stato di coscienza.

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La vera tecnica vocale è un semplificatore di complessità, non un complicatore di semplicità. In ogni ambito della voce (avvio del suono, articolazione e respirazione) non si tratta di far funzionare, ma di LASCIAR funzionare. Non è sufficiente quindi fare il movimento giusto, ma bisogna trovare il modo perché si faccia da solo. Solo a queste condizioni potrà realizzarsi quell’inter-indipendenza o indipendenza sinergica tra funzione dinamica dell’articolazione e funzione dinamica della respirazione, che caratterizza il canto di alto livello e che è paragonabile all’ analoga indipendenza tra diteggiatura e arcata che interviene suonando il violino.

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La tastiera del cantante è una tastiera invisibile, fatta di sensazioni, visioni mentali, senso interiore di equilibrio muscolare e spaziale. L’allievo registra le sensazioni tattili e cinestetiche corrispondenti al suono giudicato giusto e le memorizza. Più fine, delicata, precisa e sottile diventa la loro percezione, più facile e immediata diventa la loro ‘traduzione’ in gesti vocali globali tramite la loro semplice ‘evocazione’. Coi meccanicismi e i controlli muscolari diretti e localizzati si resta fuori della casa del canto.

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Il grande arco di energia del legato (immagine della parabola della vita) fa la sua apparizione nel canto, se passiamo dalla visione miope delle singole note-sillabe che salgono e scendono, alla visione superiore della dimensione della musica, dove non ci sono palline né segmenti, ma solo linee ampie che sorvolano l’orizzonte. Articolare in modo lieve e fluido come quando si parla, e respirare in modo ampio e morbido come quando siamo al mare o in montagna, sono le condizioni perché il miracolo del canto legato avvenga.

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Il canto legato non è canto obbligato, ma canto liberato in seguito alla scoperta dell’intimo e profondo nesso che collega un suono con un altro. Quel nesso intimo e profondo tra vocale e vocale e tra nota e nota è creato da niente altro che dai movimenti essenziali, sciolti, minimali del semplice DIRE. Da qui la ‘formula del belcanto’ del castrato Pacchierotti, che recita: “Chi sa ben respirare e ben sillabare, saprà ben cantare.”



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