Senza bisogno di pensare, la vista ci proietta nel mondo, ove le cose scorrono davanti ai nostri occhi in un flusso continuo - interrotto solo se volontariamente dalla concentrazione su qualcosa di specifico. Eppure gli studi sulla cecità o sul modo in cui vedono i membri di culture ‘altre’ insegnano che vedere non è un’attività naturale: alla nascita il bambino non coglie il significato delle forme che si presentano ai suoi occhi. Egli , piuttosto, acquisisce la competenza a guardare e interpretare ciò che si apre davanti ai suoi occhi nel corso del tempo, mettendo in relazione quelle forme visive con le esperienze e le informazioni che gli derivano dagli altri organi di senso. Per riconoscere qualcosa, la deve in pratica già ‘conoscere’.
In seguito a tale apprendistato, che varia da individuo a individuo in base alle sue particolari esperienze personali nell’arco della propria vita, l’atto di vedere diventa poi un processo automatico, al punto tale d’essere percepito da tutto noi come ‘naturale’ pur se non lo è. Se quindi nella vita quotidiana ci sembra che il mondo visivo si apra a noi in modo continuo, nel momento stesso in cui noi ‘vediamo’ stiamo già guardando - ovvero mettendo a fuoco particolari piuttosto che altri, e nutrendo aspettative rispetto a ciò che verrà dopo, o alle informazioni che ci servono per completare la percezione di un oggetto.
Lo sguardo è un’attività produttiva e creatrice di senso (ancorché inconscia), che cerca di capire e comprendere attraverso il confronto tra la propria attività, le informazioni che giungono dagli altri sensi (spostandoci per esempio nello spazio, o allungando una mano per valutare la distanza o le qualità dell’oggetto che vediamo, per spostarlo, per comprendere come è fatto) e il ricordo - ovvero le precedenti esperienze analoghe di personale ‘appropriazione’ visiva del mondo. Lungi dall’essere innocente, esso “arriva di fronte alle cose con una storia, una cultura, un inconscio. L’occhio appartiene a un soggetto. Radicato al corpo e agli altri, non riflette il mondo, lo ricostruisce con le sue rappresentazioni” (David Le Breton).