Ho sentito anche dire che i racconti «non funzionano, non vanno», perché «poche pagine non sono sufficienti a catturare un lettore, a immergerlo in quell’atmosfera sospesa che solo un romanzo è capace di offrire e a spingerlo a voltare le pagine per vedere come finirà». Mi viene in mente una citazione, di Eric-Emmanuel Schmitt: Il racconto è un diagramma di romanzo, un romanzo ridotto all'essenziale. È un genere esigente che non perdona il tradimento. Il romanzo può essere utilizzato come ripostiglio in cui sbattere di tutto, cosa che è impossibile fare con il racconto, in cui bisogna misurare lo spazio assegnato alla descrizione, al dialogo, alla sequenza, in cui il minimo errore nell'architettura risalta. Anche i compiacimenti.
In questa cifra si colloca perfettamente Paolo Zardi, con la sua prima antologia: Antropometria – edita da Neo. Edizioni. Paolo Zardi è narratore brillante e provocante. Accattivante. A tratti ironico e a tratti grottesco, dalla scrittura asciutta, direi chirurgica. I critici, quelli del giro fiko – se fossero onesti – lo definirebbero un Roth meno solipsista, un Wallace privo di superbia, consapevole ma non compiaciuto.
L’Antropometria è la scienza che si occupa di misurare il corpo umano. Antropometria è il titolo di questa raccolta di sedici racconti aventi un comune denominatore: un punto di rottura. Un evento, inatteso, un attimo in cui accade qualcosa che ribalta il punto di vista dei personaggi sconvolgendone credenze e convinzioni, mettendo a nudo le loro certezze vacillanti.
Un devastante flusso di coscienza apre la silloge: “Sei minuti”. Sei minuti durante i quali una ragazza subisce una violenza carnale. Lo stile è penetrante, l’effetto esplosivo con evidenti influenze wallaciane; e avanti con“Non del tutto, non per sempre”, altro bel pugno nello stomaco in cui una coppia normale, un lui e una lei qualunque, tornano a casa dopo una serata in compagnia; si mettono a letto ma lei ha un malore e diventa un’ameba. Lui quasi non ci crede ma poi è costretto a farlo. E via, il colpo di scena, il punto di rottura di cui dicevo prima. Paolo Zardi spinge il lettore a riflettere sul significato stesso della vita e dell’amore e lo fa con un’intelligenza rotonda e una sensibilità toccante. Il terzo racconto, “Futuro Anteriore”, porta ancora a riflettere sulla morte e sul destino che, talvolta beffardo, decide di noi. “È di nuovo famiglia”, racconto numero quattro (il cui titolo richiama ancora Foster Wallace), è un piccolo capolavoro tragi-comico sul tema dell’inseminazione artificiale. Segue “Il giardino incantato”, raggelante e atroce confessione di un pedofilo.“Non accade per amore”, sesto racconto in scaletta, scava nei tradimenti. “Ai tempi del nulla”, che all’origine era una poesia come svela l’autore nel suo blog, è un altro interessante esercizio di stile. “L’urlo”, racconto numero otto, e il successivo “In metropolitana, linea verde, Milano”, sono affreschi del vivere ai nostri giorni.“La lotta”, è un altro (dopo Ai tempi del nulla), riuscito esperimento arricchito stavolta da approfondimenti psicologici, seppure accennati. Altra prova interessante il racconto numero undici, “Un silenzio che non è assoluto”. Il tredicesimo racconto, “Per Grazia Ricevuta”, è uno dei pochissimi a lasciare aperta la porta alla speranza. “Cellule” è quello che maggiormente mi ha colpito. Un’analisi folgorante e allo stesso tempo lucida nella sua depressione, di come e quanto sia difficile comprendere il dolore, la malattia e l’angoscia degli altri. “Sesto stato” è un altro testo sperimentale ben riuscito con un finale che fa sorridere. “Il resto del corpo”, un altro testo forte e provocante chiude l’antologia, mentre per simpatia verso Paolo Zardi chiudo la recensione con il racconto numero dodici, “Parlami dei finali”. Esperimento di meta-narrazione in cui uno scrittore dialoga con la moglie relativamente ai suoi (di lui) scritti e accetta la sfida di concluderne uno a mezz’aria. Sarebbe bello poter concludere anche una recensione di colpo, ma.