Confrontando a distanza di 35 anni la struttura del romanzo di Conrad con quella della sceneggiatura di Milius e Coppola, ci si accorge che le tappe del viaggio del protagonista verso il suo obbiettivo si equivalgono. Da Londra a Saigon, dal Tamigi al fiume Nung, dall’Africa alla Cambogia, cambiano i luoghi ma il percorso narrativo rimane invariato. L’enorme talento registico di Coppola, che in quel decennio stava riscuotendo il meritato successo per i primi due capitoli de Il Padrino, riesce a costruire delle fondamenta talmente solide da potersi permettere alcune modifiche senza che le atmosfere e l’opera generale ne risentano.
Il romanzo di Conrad è al tempo stesso contenitore e contenuto, Coppola ha potuto tranquillamente attingere da esso immettendo però tutte le sue idee e la sua poetica. Come se Cuore di tenebra si fosse ringiovanito, il regista adotta uno stile di sintesi fuori dal comune; accetta apparenti compromessi trasformandoli in visionarie scelte estetiche, navigando tra due culture cinematografiche, quella americana e quella europea con chiari riferimenti alla mitologia greco-romana. Apocalypse Now si fa carico di suggestioni edipiche (l’uccisione del padre), rimandi alla leggenda del Graal, diventando una versione moderna dei viaggi di Ulisse.
Il concetto d’autore è ciò che più rimanda il film di Coppola al cinema europeo. Ma Apocalypse now è un’opera talmente a sé stante che risulta impossibile inquadrarla secondo una qualsiasi concezione di cinema o, proprio grazie alla rilettura narrativa del regista e di Michael Herr, modello estetico precostituito. Questo capolavoro bellico è diventato fin da subito un modello da seguire e sul quale ricominciare a raccontare la battaglia fisica e psicologica dell’uomo.
L’arrivo dei marines nel regno di Kurtz offre una decisa virata su un registro vaneggiante, scellerato, epico. In questa sezione finale il ricordo più significativo è la lettura che Kurtz fa a Willard di un articolo del Time che annuncia la vittoria americana. In questo caso l’autore ha voluto riportare e condannare l’inganno subito da lui a dall’opinione pubblica riguardo il Vietnam. Protagonista della scena è un Marlon Brando nascosto nell’ombra, un fantasma, un demone che ha aspettato per quasi tutto il film di fare la sua comparsa e poi alla fine fa di tutto per nascondersi. Il cranio lucido e illuminato da una fiamma pare quasi un tramonto infuocato, la sua voce inghiottita nel cuore delle tenebre è quella del diavolo in persona. Idolo umano che pennella di una maggiore e incotrollata follia il Kurtz di Conrad.
”Granduca Sei a squadriglia Aquila: vai con la guerra psicologica! A pieno volume. Qui Romeo Foxtrot: vogliamo ballare?”
Uscito all’epoca con due finali e qualche anno fa nella versione Redux con quasi cinquanta minuti aggiuntivi, è impossibile scindere Apocalypse Now dal progetto e dalla visione del suo creatore, che con quest’opera ha posto le basi di una rifondazione del cinema americano. Impetuose e ormai entrate nell’immaginario collettivo di tutti i tipi di spettatore le scene dell’assalto aereo fomentato dalle musiche di Wagner mentre i soldati fanno surf. E’ uno straordinario spettacolo che fa da contrasto al viaggio sul fiume che funge da ricerca di identità e rappresentazione di un tragitto spirituale all’interno della propria coscienza.
Un viaggio sul lungo fiume che si snoda come un serpente – Ride the snake, to the lake, the ancient lake, baby//The snake is long seven miles//Ride the snake//He is old and his skin is cold – rieccheggia sull’acqua e negli sguardi allucinati dei soldati la voce immortale di Jim Morrison. Viaggio nella follia e nelle sue mille dimensioni: sesso, droga, violenza, terrore. La follia è libertà, essere liberi dalle proprie opinioni mettendosi al servizio del potere, una visione ipocrita alla quale il folle Kurtz viene meno, e che presto inizia ad odiare seduto sul trono del suo sciagurato regno di macellai. Egli ha in sè la calma e la saggezza dei folli filosofi, si è già confrontato con se stesso e ora chiede un sacrificio a Willard (Martin Sheen), quello di fare altrettanto svestendo per un attimo le vesti di galoppino mandato dal governo a riscuotere i sospesi, consegnandogli quei ritagli di giornali che in realtà non raccontano le vere mostruosità di quella guerra. Kurtz ha conosciuto il lato oscuro dell’animo umano e ora ne è ossessionato, vuole essere ucciso, ma ricordato.
”Ho osservato una lumaca strisciare lungo il filo di un rasoio, questo è il mio sogno, è il mio incubo: strisciare, scivolare lungo il filo di un rasoio e sopravvivere.”
Nel romanzo di Conrad il personaggio di Willard consegna alla compagna di Kurtz, parole diverse, ricordandolo come un eroe. E mentre sotto il fiume le note elettriche di quel brano dispensano follia cantando la morte dell’animo umano, un morto che favoleggia la fine sussurra ciò che è stato il Vietnam, che la guerra può essere giustificata ma tutto quello che ne deriva non è altro che “L’orrore… l’orrore… l’orrore… l’orrore”.
“This is the end…”