Apologia della violenza e prosopopea degli eroi

Creato il 21 dicembre 2010 da Cultura Salentina

© Pasquale Urso: Acquaforte

Curioso dibattito quello sviluppatosi in questi giorni a proposito degli incidenti avvenuti a Roma a margine della votazione sulla fiducia per il governo. Due, i partiti che si sono delineati per giudicare i fatti: quello della repressione e quello del perdono. A nessuno è ancora venuto in mente che il problema si trova altrove e che occorre una seria riflessione da parte di tutti per evitare il peggio?

E’ uno splendido venerdì 17 quando il ministro dell’interno si lascia andare all’ennesima invettiva contro i giudici della Repubblica colpevoli della facile scarcerazione dei giovani attori dei disordini romani. Prima di lui, il sindaco di Roma, aveva usato medesime argomentazioni.

Sul fronte opposto solo minimizzazioni e pindarici sor-voli sulla gravità di fatti che sembrerebbe quasi non siano dispiaciuti a certa sinistra. E’ appena il caso allora di soffermarci un attimo a riflettere sulla questione.

Perché quei giovani meritano un minimo di attenzione

Appare alquanto semplicistico ridurre la questione a episodi di puro vandalismo, frutto di frange di teppisti più o meno ampie ma comunque riconducibili politicamente a una scuola di pensiero politico, come dire, vicina alla sinistra radicale. Chi, in costanza di responsabilità di governo, si limita a liquidare una questione della massima importanza come questa, relegandola a episodio marginale, facilmente reprimibile mediante l’utilizzo di forze di pubblica sicurezza, deve pur concedersi almeno una domanda: è possibile che giovani uomini e donne che inizino a concepire di non aver più nulla da perdere sul piano materiale, possano oggettivamente scatenare la propria rabbia contro tutto e contro tutti, sentendosi abbandonati dalla società in cui vivono?

E se così fosse, quante colpe hanno coloro che, avendo avuto responsabilità di governo, in questi anni si sono resi protagonisti, e forse ancora lo sono, del disastro in cui questi giovani si sentono quantomeno precipitati?

E se fosse vero ciò, perché invece di porsi il problema di come attuare politiche sociali volte a risolvere il disagio di questi ragazzi, continuano a ignorare il fenomeno insistendo nel destinare parte delle risorse strategiche nazionali, su fronti che non fanno che arricchire classi agiate a discapito dei ceti più emarginati?

Ora a qualcuno è venuto in mente di chiamarli terroristi. Già perché quando occorre appellare un nemico e indicarlo all’opinione pubblica come tale, fa sempre comodo utilizzare parole forti.

E se per puro caso fossero costoro a vincere alfine la guerra, forse la scriverebbero a modo loro e allora dovremmo rivedere un po’ delle nostre convinzioni attuali. Non furono forse dei violenti coloro che organizzarono i moti insurrezionali alla vigilia dell’unificazione nazionale?

Vogliamo passare al setaccio i mille e passa abusi di cui, i tanti protagonisti, “eroi” di quella stagione, si macchiarono ai danni delle popolazioni meridionali? Vogliamo appena citare le donne stuprate (e poi ammazzate) dai bersaglieri piemontesi? Vogliamo sfiorare le tante vicende dei partigiani meridionali passati alla storia con l’appellativo di briganti? Eppure i vincitori si autodedicarono vie e pubbliche piazze; forse sarebbe il caso di cominciare a cancellarle, ma di questo parleremo un’altra volta.

Tutto ciò solo per dire che non è con le invettive che si costruisce una società più giusta, forse ce la si fa anche con il buongoverno di tutte le istituzioni interessate. Non è con il sangue dei finanzieri pestati e nemmeno con quello di qualche ragazzotto infinocchiato dai soliti noti che costruiremo una società migliore. Forse ce la faremmo con l’onestà, l’intelligenza e il senso di responsabilità dei nostri rappresentanti politici, quelli che oggi scarseggiano un po’.

Per ora ne ha fatto le spese un ingenuo adolescente che pensando di cambiare il mondo gettando pomodori verso coloro che in quel momento rappresentavano le istituzioni, s’è beccato in piena faccia un casco dell’immancabile fascista di turno. Ma pagheranno in due, uno con una lunga degenza in ospedale, l’altro, il giovane fascista, nelle patrie galere.

Ma nei prossimi giorni troveremo in piazza nuovamente due categorie di giovani: da un lato “giovani poliziotti” costretti a difendere una sporca categoria di corrotti, dall’altro “giovani studenti” senza futuro pronti a tutto pur di cambiare un destino che appare senza vie d’uscita.

In mezzo la categoria dei “padri”, quella che ha la piena responsabilità di questo sfacelo, quella che ha bruciato fiumi di risorse, quella che resta avidamente incollata a una maledetta poltrona continuando a succhiare il sangue di intere generazioni di italiani. Resta solo da capire chi in futuro sarà ricordato con l’appellativo “terrorista“.


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