Apologo estivo: l’economia della reciprocità

Creato il 22 luglio 2013 da Sviluppofelice @sviluppofelice

di Francesca Dal Degan

In una giornata d’estate sulla spiaggia i bambini giocano a gruppetti, alcuni da soli non osano chiedere di entrare a far parte del gioco degli altri. Mio figlio è da solo, i suoi fratelli sono ad un campeggio. Mi chiede di giocare e costruiamo insieme una pista per le biglie scavando gallerie e sottopassaggi. Dopo un’ora o due di lavoro comincia la partita e facciamo correre le biglie lungo il percorso. Un bambino si avvicina e resta a guardare in silenzio. Gli chiedo se vuole giocare con Davide, mio figlio, e lui accetta. Lascio il posto al nuovo arrivato e resto a guardare in lontananza. A questo punto mi accorgo che il loro gioco sta diventando una lezione per me.

Nel contesto del gioco infatti si mettono in atto comportamenti che richiamano i tratti dell’esperienza economica, mettendone in luce le dimensioni più positive.

Lo spazio della spiaggia “lavorato” per costruire la pista viene riconosciuto, dai passanti e dagli altri bambini, ai protagonisti del gioco. Claudio, il bambino che ha cominciato a giocare al mio posto, non ha partecipato al lavoro di costruzione ed esprime rispetto per il lavoro di Davide inserendosi nel gioco con molta attenzione, accettando i suggerimenti per proseguire il lavoro, senza imporsi. Davide d’altra parte include Claudio nel “lavoro a due” ricreando con lui le linee dell’attività. Il gioco assume forme, spazi e modi nuovi rispetto a quelli precedentemente immaginati da Davide con me ed anche un ritmo diverso, più veloce, scandito dall’entusiasmo che i due si comunicano.

Il confronto continuo e un “via vai” di proposte allegre trasmettono l’entusiasmo di chi immagina già il delinearsi dei successivi passi del gioco.

Si percepisce una gratificazione intensa in entrambi i bambini e non solo per il raggiungimento degli obiettivi, anche perché questi sono continuamente ridefiniti all’interno del gioco, ma per ogni momento del “costruire insieme”. Le brevi pause o i momenti che sembrerebbero di vuoto servono per re-immaginare scenari possibili, riorganizzando le energie e riorientandole in base alle nuove idee. Prima di questo riorientamento, però, si rende sempre necessario comunicare all’altro le proprie idee ed attendere la sua risposta.

Infine il relazionarsi risulta talmente al centro della loro esperienza che l’esclusione o l’uscita dell’altro dal gioco non è concepita e, nel momento in cui, per interventi esterni (la mamma chiama per andare a casa) si impone, essa suscita tristezza ed è come se la fiamma dell’entusiasmo e dell’energia del giocare si spegnesse.

Utilizzando alcune categorie messe in evidenza nell’ambito della tradizione dell’economia sociale e civile proviamo a rileggere questo episodio.

Il rapporto tra il lavoro e lo spazio che consente di lavorare (in senso stretto, la proprietà) si definisce in relazione all’uso e alla necessità di disporre di un territorio per esercitare le rispettive capacità e richiama rispetto per il lavoro precedente che ha trasformato quello spazio.

L’inclusione dell’altro nel lavoro avviene sulla base di un atto ‘creativo’ di reciproca apertura che rigenera le linee dell’attività secondo percorsi che non si sarebbero potuti immaginare ex ante né senza l’apporto dell’altro. Così l’inclusione che si genera nel buon gioco o nel lavoro potrebbe essere definita creativa più che produttiva, perché non solo genera un fare che produce beni ma anche un relazionar-si che genera identità. Includendo, infatti, si definisce l’orizzonte dell’agire come se questo, per delinearsi, avesse bisogno di essere percepito da uno sguardo plurale e si definiscono anche le identità dei partecipanti  attraverso l’elaborazione e l’esercizio delle personali motivazioni. L’orizzonte del gioco è ciò che, dando finalità intrinseca e carica simbolica, libera il gesto e il tempo del lavoro dal peso della necessità (di essa infatti non c’è traccia nell’esperienza del giocare) mentre la motivazione è ciò che orienta le energie interne verso un bene che si produce nello spazio tra “te e me”, nel luogo percepibile dell’incontro con l’altro.

Inoltre nel momento in cui si entra a far parte del gioco si acquisisce la possibilità di esercitare le proprie capacità, nella confidenza reciproca, e in un orizzonte temporale che non richiede di essere rinnovato dalla decisione di qualcuno. La fiducia, infatti, ingrediente indispensabile del buon gioco, ha bisogno di gratuità e, a sua volta, è ingrediente essenziale dei comportamenti che si ispirano alla gratuità, ma essa non è un oggetto che si possa dare e togliere come in un rapporto di scambio. La fiducia ha piuttosto i tratti di uno sguardo reciproco che ci dice chi siamo e come siamo. Così che l’uscita o l’esclusione dell’altro è sempre un evento che spegne qualcosa di vitale di un gioco o di un’economia che abbia “imparato a giocare”.