Appello a Stefano Rodotà

Creato il 11 ottobre 2013 da Rodolfo Monacelli @CorrettaInforma

No, non vogliamo morire per Maastricht“. Lettera aperta a Stefano Rodotà e ai promotori del 12 ottobre

Cari organizzatori della manifestazione del 12 ottobre,

è con entusiasmo che accogliamo il vostro appello per scendere in piazza a difesa della Costituzione. Ci troviamo ad un passaggio decisivo. Sia la tenuta sociale del Paese, sia la sopravvivenza della legalità repubblicana, sono oggi seriamente minacciate. E solo salvando l’una c’è speranza di conservare l’altra.

La sorte delle istituzioni democratiche è infatti legata a doppio filo a quella dei lavoratori e dei cittadini. Oggi la crisi divora le nostre vite. È giunta l’ora che da chi si propone il nobile compito di difendere la nostra Carta fondamentale giungano soluzioni a questa crisi spaventosa.

È evidente che la prima origine della crisi che attraversiamo sta nelle politiche di austerità imposte da questa Europa. Queste misure non riducono solo i diritti dei lavoratori e dei cittadini e le probabilità di sopravvivenza delle piccole imprese, ma riducono il PIL, mancando perciò persino l’obiettivo di aggiustare i conti pubblici. Tutte queste misure sono state consigliate, architettate o dichiarate indispensabili dalle attuali istituzioni europee. Esse deprimono la nostra domanda interna, mettendo a repentaglio la sopravvivenza delle imprese che producono per quella domanda; ma incidono anche sulla domanda estera, perché sono applicate in maniera quasi uniforme in tutta Europa. Venendo meno sia il mercato interno, sia i mercati di sbocco esteri, le imprese muoiono, e i lavoratori si ritrovano nella più nera difficoltà.

Non c’è alcun dubbio che soltanto un rinnovato ruolo dello Stato può porre rimedio a questa drammatica situazione. Il privato da solo non ce la fa. Un rinnovato piano di investimenti pubblici, così come l’inaugurazione di una politica economica espansiva e redistributiva, si rivelano così indispensabili alla salvezza economica del nostro paese.

Tuttavia, qualsiasi manovra di questo tipo cozzerà inevitabilmente con i vincoli dei Trattati europei.

A questo punto solo due strade si pongono di fronte a noi: o il superamento di quei vincoli, nelle forme alternative della loro violazione unilaterale o della loro concertata modifica; oppure l’abisso della recessione infinita.

Non ci possono essere dubbi, dovremo imboccare la prima strada. Ma essa prima o poi si dovrà misurare con l’eventualità del crollo dell’euro. Già oggi autorevoli economisti ci mettono in guardia, avvertendo che quel crollo è tutt’altro che scongiurato, e che le ragioni che hanno determinato la crisi dell’euro sono ancora lì, intatte. Quel crollo sarebbe un portato inevitabile della nostra violazione unilaterale dei Trattati. A quel crollo, infine, noi potremmo venire costretti. Senza l’Italia

infatti non ci può essere l’euro, e l’uscita dall’euro dell’Italia è oggi una possibilità concreta. Essa potrà essere determinata dalle tormente speculative che abitualmente, ormai, si abbattono sulle economie europee; oppure potrebbe essere l’extrema ratio cui potrebbe dover ricorrere un Governo votato alla salvezza dell’economia italiana. Una controparte europea sorda al grido di dolore che proviene dai paesi del sud Europa potrebbe spingerci a quella misura estrema.

È necessario introiettare il principio che per rimanere nell’euro non siamo disposti a pagare qualsiasi prezzo. Già molto gli europei hanno dovuto pagare, in termini di tagli al welfare, peggioramento delle condizioni di vita, azzeramento dei diritti dei lavoratori. Tutto in nome della stabilità della moneta unica.

È ora che gridiamo: no, noi non siamo disposti a morire per Maastricht! 

L’attaccamento alla moneta unica a qualsiasi prezzo non è poi soltanto un’aberrazione in sé; è anche un fattore di annullamento del nostro peso negoziale in Europa. Sapendo che avremmo pagato qualsiasi prezzo pur di rimanere nell’euro, le nostri controparti hanno finito per prenderci in parola, in questi anni! Bisogna porre assolutamente porre freno a questa perversa dinamica.

Essere disposti financo a porre fine all’esperimento monetario europeo pur di difendere i diritti dei cittadini e dei lavoratori implica però un soprassalto di responsabilità. L’uscita dall’euro, sia che avvenga come un accidente frutto della tempesta speculativa, sia che la si debba utilizzare come giusto strumento di pressione in sede europea, deve essere presidiata da alcune misure di salvaguardia.

Diverse sono le minacce insite in questo evento; e anche se forse non vanno esagerate, sarebbe irresponsabile sottovalutarle. È necessario che il Governo adotti fin d’ora un pacchetto di misure che fungano da “paracadute” dell’economia italiana in caso di uscita. Esse consistono in  regole che consentano, in condizioni di emergenza, al Governo di limitare la fuga di capitali; di impedire l’acquisizione a basso prezzo di imprese nazionali; di garantire comunque il servizio del debito, magari attraverso l’acquisto dei titoli pubblici da parte della nostra Banca Centrale. Ma la più importante misura in questo senso è senz’altro l’indicizzazione dei salari.

Abolita in maniera troppo avventata una generazione fa, questa misura sarebbe in grado di prevenire il più grande rischio connesso al crollo dell’euro, ossia le ventate inflazionistiche. Noi non possiamo prevedere quanta inflazione deriverà dall’inevitabile svalutazione della valuta che sostituirà l’euro.

Ma è molto probabile che un tale fenomeno avvenga, con effetti deleteri sulle condizioni di vita e sui risparmi delle famiglie, in particolare dei lavoratori dipendenti. Non possiamo farci cogliere impreparati. Inoltre, non è pensabile di agitare la minaccia dell’uscita dall’euro in sede europea per ottenere rapporti negoziali più equilibrati, se è diffusa la consapevolezza che l’uscita sarebbe dannosa per chi la promuove. L’indicizzazione sarebbe proprio quel “paracadute” di cui hanno bisogno lavoratori italiani. Essa, applicata fin da subito (senza aspettare che avvenga il crollo!),

consentirebbe inoltre di alleviare le condizioni di vita di chi lavora. E dato che ci sarebbe maggiore potere negoziale in Europa, fungerebbe da premessa per le altre misure utili a dare un impiego a chi non ce l’ha. Essa inoltre non costerebbe nemmeno moltissimo, perché anche ammesso che l’indicizzazione crei inflazione (cosa tutta da dimostrare), in un contesto di deflazione come il nostro comporterebbe aggiustamenti dei salari minimi. Il vero potenziale della misura si dispiegherebbe invece in caso di uscita o di crollo dell’euro.

Ecco perché vi chiediamo di farvi portatori presso chi ci governa di queste misure, in particolare dell’indicizzazione. Esse devono adottarsi subito, senza aspettare l’emergenza. Dalla difesa della Costituzione può sicuramente nascere un grande movimento politico che porti il paese fuori dalle secche dove è arenato. Ma per che ciò avvenga, è necessario dimostrare che dall’area dove dovrebbe nascere tale movimento possono giungere soluzioni responsabili per il bene dell’intera società.

Siamo convinti che vi dimostrerete all’altezza di questo grande compito.

Fonte: Bottega Partigiana