Appello di Camilleri ai candidati per sostenere la lettura

Creato il 08 febbraio 2013 da Ciessedizioni

Lettera aperta dello scrittore ANDREA CAMILLERI

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Ho aderito alla lettera aperta del Forum del Libro ai candidati alle elezioni perché, malgrado tutto, credo che si debba dare una chance al ceto politico: queste occasioni è necessario darle, perché senza politica una nazione esiste, la politica è la ragion d’essere di ogni nazione. Si tratta di dare chances naturalmente alla buona politica, cioè alla politica intesa nel senso del lavorare per il bene comune.

Certo, lanciare una proposta al momento della campagna elettorale è un’arma a doppio taglio. Durante la campagna elettorale i politici si distinguono per fare promesse. Si diceva una volta, da marinaio. Ma qui vedo fare promesse da ammiraglio, che poi puntualmente non si mantengono, neppure in minima parte. Questo è il coté negativo, il lato positivo è invece chiedere ai candidati di occuparsi della lettura… vuoi vedere che qualcuno poi mantiene l’impegno preso?

Bisognerebbe far capire ai politici che la lettura non è né un passatempo né un fenomeno di nicchia. Una volta, prima dell’ultima guerra, il teatro era veramente per pochi, per una élite, ma nel dopoguerra grazie all’opera di uno come Paolo Grassi o di Giorgio Strehler, il teatro riuscì a diventare un servizio pubblico, un po’ come sono le biblioteche. Bisognerebbe far capire che andare a teatro o leggere un libro non è un passatempo: in realtà è anche un passatempo se vogliamo, ma è anche qualche cosa di più, cioè a dire un crescere da uomini, da cittadini, un capire il mondo, un conoscere l’infinita quantità di cose che ignoriamo, cioè un continuo arricchimento. Le nazioni dove più si legge sono le nazioni più civili.

Se dovessi aggiungere una mia proposta, consiglierei di regalare a ogni famiglia italiana dei libri: si potrebbe organizzare una sorta di mini-biblioteca domestica. Per esempio, io ho una gran quantità di libri e mi succede di avere dei doppioni: allora li mando alle biblioteche del carcere per esempio o a piccole biblioteche di paese che so che sono sfornite o si trovano in difficoltà. Se si potesse organizzare una specie di collettore e inviare in dono alle famiglie italiane un po’ di libri, credo che faremmo una cosa molto utile. In una casa dove sono presenti libri si crea un incentivo alla lettura, naturalmente, perché in un bambino o un ragazzo può nascere la curiosità e basta che cominci a leggerne uno perché venga, come un pesce, preso all’amo della lettura. Una casa senza libri è una casa che non ha sviluppo, che non ha futuro. Mio padre non era un intellettuale, era impiegato alla capitaneria di porto, ma era un uomo di buonissime letture e avevamo tantissimi libri in casa: da bambino, io ho imparato a leggere da solo, per poter leggere i libri di mio padre e al primo libro che ho domandato il permesso a papà di leggere, chiedendogli “papà, quali libri posso leggere?”, papà mi rispose “i libri si possono leggere tutti” e questa già fu una grande lezione. Lessi libri per adulti e solo dopo, verso i 16 anni, dovetti leggere libri per ragazzi, per colmare un vuoto, perché altrimenti sarebbe venuto a mancare un tassello di crescita.

Oggi è diverso anche il rapporto con la lingua. Mentre io, da ragazzino siciliano, e i miei coetanei abbiamo imparato la lingua italiana con una certa difficoltà, perché in casa parlavamo solo il dialetto, oggi i bambini, come dicono a Roma, “nascono imparati”, perché guardano la televisione e imparano l’italiano in questo modo. Parlano un italiano che Pasolini direbbe omologato, ma comunque è un buon italiano. Nei primi tempi della televisione c’era il leggendario maestro Manzi, che insegnava a leggere e a scrivere, che fece prendere la licenza elementare a tanti analfabeti… bene, io non capisco perché oggi la tv deve trattare la lettura o parlare dei libri come se fosse una cosa di nicchia, parlarne solo in trasmissioni specialistiche, alle tre di notte e in una sorta di ghetto per malati, per quei poveracci che alle tre di notte sono ancora svegli e soffrono d’insonnia. E invece il libro va trattato come un oggetto di consumo, perché lo è, solo che è un oggetto di consumo che costa poco ed è di un valore immenso. La televisione avrebbe possibilità infinite per la diffusione della lettura, ma solo se si adottasse una formula po-po-la-re, perché fin quando si considera il libro una cosa a parte, riservata a pochi, si sbaglia. La televisione rappresenta la quotidianità e il libro può entrare nella quotidianità. Perfino nelle trasmissioni di cucina, oggi che c’è la mania della cucina, perché non si parla mai dell’Artusi e del suo italiano meraviglioso? Si può abbinare il libro al divertimento e all’informazione: quando si parla di un problema o di un qualsiasi episodio, perché non dire c’è un libro che parla di quelle cose? Così faremmo entrare il libro nell’uso comune, quotidiano, e non solo in una trasmissione sontuosa o pretenziosa…


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