Anche se gioca da oltre dieci anni, non ha ancora imparato che l’unica cosa importante negli scacchi è l’ordine. L’ordine in cui si sposta la seggiola prima di sedere. La forza con cui si stringe la mano all’avversario. Il modo in cui si avvia l’orologio e il tempo comincia a scorrere. La disposizione in cui i pezzi sono schierati, coordinati, immaginati.
Non ha capito, Martina, che invertire l’equilibrio corrisponde a perdere l’armonia di confine sulla quale si gioca un match, dove perfino anticipare la spinta di unpedone può tramutarsi in una sconfitta. Gli altri partecipanti al torneo restano in piedi intorno alla scacchiera. Qualcuno commenta. Forse si staranno chiedendo cosa ho combinato, saranno convinti che abbia di nuovo sbagliato perché non sono in grado di reggere la pressione e quando il tempo scorre veloce non vedo più le mosse giuste, mi limito a giocare d’istinto e lascio i pezzi in presa. Staranno pensando che le donne non sono fatte per gli scacchi, perché gli scacchi sono una cosa seria.
Poi l’arbitro, nella sua tuta di acetato blu e i capelli spettinati, si avvicina. Mette una mano sul tavolo, le unghie sono tagliate tanto corte da far vedere la carne. «Allontanatevi, state disturbando» mormora. Nessuno, però, si muove. Studio per l’ultima volta la mia posizione. I pezzi sono in attesa che tutto cambi. Osservo Martina e lei, per un attimo, solleva gli occhi. Incontra i miei. Li abbassa di scatto, arrossisce, torna a toccare la Torre.»
Lo sbaglio - Flavia Piccinni (Ed. Rizzoli)