Applausi déjà-vu

Da Danielevecchiotti @danivecchiotti

Le diciassette e trenta, a Londra, sono l’ora X, il momento migliore per correre al Ticket Office di Leicester Square e posizionarsi davanti al tabellone luminoso bramosi di scoprire quali sono le migliori offerte della serata. Biglietti ancora invenduti, o restituiti da chi magari li ha comprati in anticipo e nel pomeriggio si è visto rovinare la serata da un altro impegno imprevisto.
Si possono fare dei buoni affari, specie se si è da soli, e si è giusto alla ricerca di quel posticino rimasto vuoto in una delle prime file piena di gruppi, famiglie e coppiette.
Non sempre si riesce a trovare una poltrona proprio per lo spettacolo che si voleva vedere, ma se si hanno ha disposizione quelle venticinque, trenta, massimo trentacinque sterline necessarie ad accaparrarsi l’half-price del momento, in genere vale la pena di rischiare, perché uno show del West End ha comunque qualche buona ragione per essere visto, e quasi mai si esce dal teatro con la sensazione di aver sprecato il proprio denaro.

Sabato sera, però, lasciando scorrere gli occhi sul carosello degli spettacoli ancora disponibili, non ho potuto fare a meno di notare quanto, nel suo piccolo, anche il microcosmo del musical londinese racconti il mondo che cambia, e i nuovi trend in voga nel mondo dell’entertainment di cassetta.
I titoli più gettonati e applauditi del momento sono “Ghost”, tratto dall’omonimo film, e “Shrek”, tratto dall’omonimo film. Seguono a ruota “The Lion King”, tratto dall’omonimo film, “Dirty Dancing”, tratto dall’omonimo film, e “Priscilla, Queen of the Desert”, ovviamente tratto dall’omonimo film.

Insomma… nei teatri londinesi, come del resto a Broadway, il cinema hollywoodiano sembra farla da padrone, e si è completamente invertita la vecchia tendenza di trasformare i successi del palcoscenico in blockbusters per il grande schermo. Per attirare grandi folle, gli autori di commedie musicali puntano tutto sulla popolarità degli eroi della celluloide, e preferiscono usare copioni già noti e arcinoti piuttosto che crearne dei nuovi.
E’ il trionfo del riciclo, del déjà-vu in nome del trionfo assicurato.

Certo.. l’arte del teatro cantato ha sempre tratto ispirazione dal lavoro altrui, ma almeno in passato si musicavano i grandi romanzieri, il Victor Hugo di “Les Miserables”, il Gaston Leroux di “Phantom of the Opera”, o il più contemporaneo Christopher Isherwood che prestò il suo “Addio a Berlino” a John Kander e Fred Ebb perché lo trasformassero in quel capolavoro teatral-cinematografico che è “Cabaret”.

Oggi, invece, gli sceneggiatori del West End sembrano stanchi, sterili, o forse troppo assoggettati al bisogno di fare cassetta in maniera facile, e per questo preferiscono acquistare i diritti delle pellicole Pixar, o dei grandi successi da hit parade pop come “Mamma Mia”, “Thriller” e “We will rock you”.

Poi per carità, come si diceva sopra il risultato è sempre meritevole, e vale ogni volta i soldi del biglietto. Ma certo ogni tanto farebbe piacere, sedendosi in platea, scoprire anche qualcosa di nuovo, di inedito, di mai visto o sentito prima.


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