Il gruppo Antisec aveva infatti pubblicato ben 1 milione di Apple UDID proveniente da un paniere di 12 milioni di dati personali degli utenti, dichiaratamente sottratti da un laptop Dell in uso all’Fbi.
L’agenzia federale ha subito smentito questa ipotesi sia tramite comunicato stampa che attraverso dei messaggi furenti sul proprio account Twitter, fin quando è entrata in gioco anche la mela di Cupertino per negare ogni possibilità di cessione all’Fbi dei codici incriminati.
Dati che, ricordiamo, servono ad identificare in modo univoco un device iOS e permettono, in via del tutto teorica, di risalire agli usi personali che si fanno di iPad, iPod Touch e iPhone. A smentire definitivamente il coinvolgimento dell’Fbi che, secondo Antisec, avrebbe messo in atto un vero e proprio tracking di massa dei cittadini, ci pensa però un publisher nordamericano, dopo l’intervento del fondatore di Instapaper, prima vittima possibile del furto.
A quanto pare, i 12 milioni di identificativi sarebbero stati sottratti dai server di Paul DeHart, CEO di Blue Toad, uno sviluppatore molto conosciuto e diffuso su App Store. La certezza della sottrazione indebita, deriva dal fatto che più del 98% dei dati diffusi corrisponde a quelli presenti sui database del developer, tanto da far pensare che l’origine dei dati sia proprio la Blue Toad.
Ma questa prova, tuttavia, non spiega però altri fattori molto dubbi della vicenda. Così come dichiara Apple, il developer dall’Apple UDID non può risalire a informazioni sensibili dell’utente come carta di credito oppure orientamento sessuale, dati che invece Antisec dichiara di possedere, anche se non sono ancora stati mai pubblicati.
È quindi evidente che in questa storia qualcuno stia mentendo e potrebbe essere proprio il gruppo degli cracker, considerato come FBI e Apple ne escano a questo punto sostanzialmente pulite.