Tolkien dissemina sul cammino dei cercatori vari ostacoli in ossequio alla tradizione fiabesca, ma ne trasforma parecchi in prove di natura spirituale, cosicché la quest assume valore di ricerca etica. Gli ostacoli ripropongono i dilemmi morali, i dubbi, le angosce dell’uomo moderno e la sua sensazione di essere troppo piccolo rispetto a problemi insormontabili:
“of course I have sometimes thought of going away, but I imagined that as a kind of holiday, a series of adventures like Bilbo’s or better, ending in peace. But this would mean exile, a flight from danger into danger, drawing it after me.”
Esiste un percorso ideale compiuto da Tolkien, una “quest” dell’autore alla ricerca della struttura e dei contenuti della propria opera. Abbiamo compiuto il primo tratto di questo cammino ideale, abbiamo cioè esplorato la fiaba scoprendone insieme le possibilità narrative. Affinché la tecnica fiabesca abbia ancora valore per dei lettori moderni e adulti, occorre che - pur senza distruggere l’incanto che dalle fiabe emana ed è sempre emanato - alcune modifiche vengano apportate alle tradizionali tecniche fiabesche. Tali modifiche rendono attuale la fiaba, la trasformano in un mezzo utile per convogliare messaggi profondi.
Tolkien recupera il modello fiabesco rendendolo adatto a un pubblico adulto e moderno. Usa la fiaba perché essa è capace di creare “credenza secondaria”, di cattivare l’interesse del lettore, di affascinarlo e di rendere più ricca e fantastica la sua vita. Una volta catturato il lettore dentro la fiaba, fa di essa uno strumento di ricerca etica oltre che di evasione. Con questo non vogliamo sminuire il valore che la fiaba ha di per sè per Tolkien, come fonte di evasione e godimento fantastico, tuttavia egli si accorge anche che la struttura fiabesca può diventare un potente mezzo per rappresentare problemi e valori significativi.
Ciò non vuol dire fare della fiaba un’allegoria. Tolkien ha sempre detestato l’allegoria, che riteneva fredda e sterile. Le preferiva il concetto di applicabilità (“applicability”) per mezzo del quale alcuni elementi di un’opera narrativa, e non, vengono “applicati” naturalmente dai lettori a situazioni della loro vita - quasi allegorie di essa - senza che questa fosse l’intenzione primaria dell’autore.
“I cordially dislike allegory in all its manifestations. (…) I much prefer history true or feigned, with its varied applicability to the thought and experience of readers. I think that many confuse “applicability” with “allegory”; but the one resides in the freedom of the reader, the other in the purposed domination of the author.”
continua…