La decisione quasi salomonica di Giorgio Napolitano di congelare il governo Monti e di nominare due gruppi consultivi sui temi economico-sociali e istituzionali appare ineccepibile, rispettosa della Costituzione e dei rapporti di forza in essere in questo momento. Si tratta di un modo per passare la mano al suo successore, non indebolendo ulteriormente le istituzioni con le sue dimissioni e non contribuendo a creare pericolosissimi vuoti di potere.
Il richiamo al governo Monti in carica più che un qualsiasi attestato di fiducia nei confronti dello stesso Monti da parte dello stesso Napolitano appare un messaggio rivolto all’esterno, una rassicurazione ai mercati ed alle istituzioni europee sul fatto che l’Italia ha un governo e che questo governo, in tale frangente di stallo politico, può far fronte agli impegni presi grazie al “direttorio” costituito dai due comitati creati ad hoc quale interfaccia tra il governo in carica, ancorché dimissionario, e le forze politiche incapaci di accordi.
Quanto alla costituzione di un nuovo governo Napolitano ha dovuto prendere atto che la sua nascita, in modo non lacerante per l’intero paese, era semplicemente impossibile prima dell’elezione del nuovo Presidente della Repubblica.
Berlusconi voleva rassicurazioni sull’elezione di un suo uomo al Quirinale, Gianni Letta, che il Pd (tutto) non ha nessuna intenzione di dare.
I 15 giorni che ci separano dalla convocazione delle camere per l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica d’altra parte sono un tempo troppo breve per bruciare un qualsiasi prezioso “grand commis” sull’altare del “governo del Presidente”.
A ben rifletterci quella di Napolitano è la prima presa d’atto politica concreta della presenza del M5s e delle sue posizioni politiche così come sono state rappresentate al Capo dello Stato.
Al momento infatti abbiamo un governo-non governo, una sorta di “direttorio” che può elaborare le necessarie riforme che portino ad uno sblocco della condizione di stallo anche per il futuro, ed un parlamento che su tali proposte può legiferare. In pratica è stata sposata in pieno la tempistica e le modalità di funzionamento delle istituzioni così come suggerito da Grillo.
Grillo ha tutti i motivi e tutte le ragioni per rivendicare una sua vittoria nell’attuale fase politica.
Ora qui si rimane ottimisti, e si continua a confidare nello “stellone”, ma resta il fatto che la costituzione del “direttorio” in Francia prima e la situazione instauratasi con la Repubblica di Weimar in Germania dopo, ebbero esiti che definire “felici” sarebbe parecchio esagerato.
“Il collasso della Repubblica di Weimar e l’ascesa di Hitler
Gli ultimi anni della Repubblica di Weimar furono caratterizzati da un’instabilità politica superiore a quella degli anni precedenti. Il 29 marzo 1930 l’esperto di finanza Heinrich Brüning fu nominato da Paul von Hindenburg successore del Cancelliere Müller dopo mesi di lobbismo politico del generale Kurt von Schleicher in favore dei militari. Ci si aspettava che il nuovo governo portasse a uno spostamento verso il conservatorismo, basato sui poteri speciali garantiti dal Reichspräsident in base alla costituzione, in quanto non godeva del supporto della maggioranza nel Reichstag.
Dopo che un decreto impopolare per risanare le finanze del Reich non trovò l’appoggio del Reichstag, Hindenburg stabilì un provvedimento di emergenza basato sull’articolo 48 della costituzione. Il decreto venne di nuovo invalidato il 18 luglio 1930 da un’esigua maggioranza del Reichstag con il supporto di SPD, KPD e delle allora piccole NSDAP e DNVP. Immediatamente dopo, Brüning sottomise al Reichstag il decreto presidenziale con il quale veniva sciolto.
Le successive elezioni generali del Reichstag, il 14 settembre 1930, risultarono un terremoto politico: il 18,3% dei voti andarono alla NSDAP, cinque volte in più della percentuale del 1928. Questo ebbe conseguenze devastanti per la Repubblica: non c’era una maggioranza nel Reichstag neanche per la Grande Coalizione e questo incoraggiò i sostenitori della NSDAP a manifestare le loro richieste di potere con una violenza e un terrore crescenti. A partire dal 1930 la Repubblica scivolò sempre più in uno stato di guerra civile.
Dal 1930 al 1933 Brüning tentò di risanare lo stato che si trovava in una situazione disastrosa e senza una maggioranza in parlamento, governando con l’aiuto dei decreti presidenziali di emergenza. In quel periodo la grande depressione raggiunse il culmine. In linea con le teorie economiche liberali, secondo cui una minore spesa pubblica avrebbe avviato la ripresa economica, Brüning tagliò drasticamente le spese statali. Si aspettava e si accettava che la crisi economica sarebbe per un certo tempo peggiorata prima di iniziare a migliorare. Tra le altre cose il Reich bloccò completamente tutte le concessioni pubbliche per l’assicurazione obbligatoria sulla disoccupazione che era stata introdotta solo nel 1927, il che risultò in maggiori contributi da parte dei lavoratori e minori benefici per i disoccupati, non esattamente una misura popolare.
Il rovescio economico durò fino alla seconda metà del 1932, quando ci furono le prime indicazioni di un rimbalzo. Ma per quel tempo, la Repubblica di Weimar aveva perso tutta la credibilità nei confronti della maggioranza dei tedeschi. Mentre gli studiosi sono in grande disaccordo sulla valutazione da dare alla politica di Brüning, si può tranquillamente dire che contribuì al declino della Repubblica. Se a quell’epoca esistessero o meno alternative rimane oggetto di ampio dibattito.
Nell’aprile del 1932, Hindenburg venne rieletto Reichspräsident, superando al secondo turno Hitler per sei milioni di voti. Nonostante Brüning avesse appoggiato fortemente la rielezione di Hindenburg, ne perse la fiducia e dovette dimettersi il 30 maggio.
Hindenburg incaricò quindi come nuovo Reichskanzler Franz von Papen, che aveva il supporto di Hitler, ma a prezzo di una serie di richieste:
il Reichstag sarebbe stato sciolto di nuovo per indire nuove elezioni;
il bando delle SA, imposto dopo gli scontri di strada, doveva essere tolto;
il governo socialista della Prussia sarebbe stato dismesso con decreto d’emergenza.
Le elezioni generali per il Reichstag del 31 luglio 1932 portarono il 37,2% dei voti alla NSDAP. Hitler ora richiedeva di essere nominato cancelliere, ma la richiesta venne rifiutata da Hindenburg il 13 agosto. Non c’era ancora una maggioranza al Reichstag per nessun governo; come risultato, il Reichstag fu sciolto nuovamente e si rifecero le elezioni con la speranza che ne risultasse una maggioranza stabile.
Non fu così. Il 6 novembre 1932 le elezioni diedero il 33,0% dei voti alla NSDAP, che perse più del 4%. Il 3 dicembre Franz von Papen si dimise, sostituito come Reichskanzler, dal generale von Schleicher. Il suo audace piano di formare una maggioranza all’interno del Reichstag, riunendo i sindacalisti di sinistra dei vari partiti, compresi quelli della NSDAP guidati da Gregor Strasser, non ebbe successo.
Il 4 gennaio 1933, Hitler si incontrò in segreto con von Papen in casa del banchiere di Colonia Kurt von Schroeder. Si accordarono sulla formazione di un governo di coalizione: oltre a Hitler, solo altri due membri della NSDAP avrebbero fatto parte del governo del Reich (Wilhelm Frick come Ministro degli Interni e Hermann Göring come Commissario per la Prussia), con von Papen come Vicecancelliere di Hitler. Del nuovo gabinetto avrebbe fatto parte anche l’influente magnate dei media Alfred Hugenberg, che era segretario dell’altro partito di destra dell’epoca, la DNVP.
Quando il piano venne finalmente presentato a Hindenburg, questi nominò Hitler come il nuovo Reichskanzler il 30 gennaio 1933. Anche se von Hindenburg diffidava di Hitler e disapprovava fortemente la violenza politica dei nazisti, e aveva sconfitto Hitler nelle elezioni presidenziali del 1932, condivise, sia pure con riluttanza, la teoria di von Papen secondo cui, con il supporto popolare ai nazisti che stava scemando, Hitler poteva essere controllato come Cancelliere. Questa data viene comunemente considerata come l’inizio della Germania Nazista e venne di conseguenza battezzata Machtergreifung (“presa del potere”) dalla propaganda nazista.
Il nuovo governo instaurò la dittatura con una serie di misure in rapida successione seguendo la filosofia della Gleichschaltung. Il 27 febbraio 1933 l’edificio del Reichstag venne ridotto in cenere, della qual cosa i nazisti si avvantaggiarono con il Decreto dell’incendio del Reichstag. Le successive elezioni del Reichstag, il 5 marzo 1933, portarono il 43,9% dei voti alla NSDAP; vennero piantati gli ultimi chiodi nella bara della Repubblica di Weimar, con l’approvazione della Ermächtigungsgesetz, la legge dei pieni poteri, del 23 marzo 1933, che diede formalmente a Hitler il potere di governare per decreto e di smantellare a tutti gli effetti i resti della costituzione di Weimar. Alla morte di Hindenburg, il 2 agosto 1934, Hitler fuse assieme gli uffici di Reichspräsident e di Reichskanzler e si reinsediò con il nuovo titolo di Führer und Reichskanzler.“