Appuntamento alla Lovat.

Creato il 28 giugno 2013 da Ilariadot @Luna84

Luca Bianchini, urge ribadirlo, è autore di alcuni tra i miei personali libri-cult. Tra i suoi meriti, quello di creare i personaggi con le manie più contagiose nella storia della fiction. Tra le sue colpe, il fatto che io non riesca più ad evitare di leggere l'ultima riga di un romanzo prima ancora di averlo iniziato. Quella di “Io che amo solo te”, ad esempio, è: “non avrebbe mai voluto vederli salire in macchina e tornare a casa”. Cioè, più o meno la stessa sensazione che ho avvertito io chiudendo il libro. Ma Luca Bianchini, al di là delle recensioni (ne ho scritta una su Anobii, se proprio vi interessa), è soprattutto una bella persona. Ecco perchè, se capita a Trieste, cerco di non perdermi le sue presentazioni. Il nostro, ormai, è un appuntamento scandito dalle uscite editoriali. Un rituale di penne, di orecchie e di firme consumato a scadenza biennale tra gli scaffali affollati della libreria Lovat. E, non si sa come, riesco sempre ad uscirci con un grande sorriso. Sarà che gli ingredienti sono ancora gli stessi: una parlantina fluida, un'umanità fatta di dubbi ed ansie, e quell'innato talento nel trattare con le persone. Nel farle sentire speciali, tutte. Anche se solo per il tempo di un autografo o una foto. E, tra la consegna di un cornetto portafortuna e una battuta sovrastata dal megafono, ancora mi stupisce che, ogni volta, si ricordi di me. E poi c'è il pubblico, quello che riempie le sedie. Volti di età e abitudini diverse che, più che seguire lo scrittore, sembrano essersi materializzate dalla sua stessa penna. Come i suoi personaggi, sono divertenti e appena un po' sopra le righe. Umanissimi, a tutto tondo, eppure caratterizzati in un unico tratto distintivo. Come ai suoi personaggi – inevitabile – ti ci affezioni sempre un po'. Prendi la signora seduta alla mia sinistra, per esempio. Quella che parla con spiccato accento triestino e c'ha la fissa degli oroscopi. Non legge libri,  afferma con insolita fierezza. Per Bianchini, tuttavia, farà un'eccezione. Sì, perchè lei c'è venuta due volte, in libreria. E “go dito, orca ciò, go sbaià giorno”. Chiede come vive il suo essere acquario, perchè se uno è acquario si vede da lontano, dai. Chè lei è dei Pesci, 'ste cose le sa. O prendi, magari, il ragazzino sedicenne. Quello che si sveglia ogni mattina ascoltando Colazione da Tiffany, su Radio2. “E continuerei ad ascoltarla, se non mi toccasse andare a scuola”. La sorella, in virtù di quelle levatacce, odia la voce che oggi s'è rifiutata di venire ad ascoltare. C'è anche un ragazzo piuttosto carino. Mi si palesa davanti per una frazione di secondo, diretto a tutt'altro settore. Sbircio velocemente. Narrativa italiana? Straniera? Umorismo? Naa, per me c'ha la faccia da Thriller. O noir. Se magari cercasse qualche biografia di musicista, invece? A vederlo, potrebbe suonare in una band. In ogni caso, lui non è qui per ascoltare Bianchini. Ragion per cui lo perdo di vista quasi subito. Peccato. Innamorarmi in una libreria, tra i miei sogni di romanticona, si colloca al terzo gradino del podio. In concreto, dopo la scintilla scoccata in aeroporto e quella che fa galeotto un qualsiasi  concerto pop-rock. In effetti, ora che ci penso, ci starei bene anch'io, in un libro di Bianchini. La storia di leggere l'ultima riga, comunque, non è poi così male. Tanto per dirne una, mi ha appena permesso di apprezzare una finezza non da poco anche nell'ultimo successo di Dan Brown. Perchè, se l'Inferno di Dante Alighieri si conclude con “e quindi uscimmo a riveder le stelle”, il suo, d'Inferno, finisce così: “Fuori, nell'oscurità appena scesa, il mondo si era trasformato: il cielo era diventato un arazzo scintillante di stelle”. E non mi direte che è un caso. 

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