1. Nel conforme vi sono due accezioni divergenti in un punto che può aprirci alla comprensione della ragione prima e della conseguenza ultima del conformismo: v’è il concorde (per somiglianza, consonanza, affinità) e v’è l’adeguato (per corrispondenza, adattabilità, congruità), e il punto in cui essi divergono è quello in cui il comune sinonimo di conveniente indica colui che compie l’atto che lo fa convenuto e il vantaggio che egli ne trae nel non mancare al convenire. Questo ci consente di risolvere l’ambiguità del conformista nella natura moralmente neutra della forma cui è chiamato ad aderire, e che tale dev’essere – moralmente neutra, dico – perché vi sia perfetta coincidenza tra convenire e convenienza. Ovviamente sarà il caso di chiarire quale sia la forma alla quale il conformista è chiamato a convenire, donde ne tragga convenienza e cosa debba intendersi per moralmente neutro. Perché questo ci sia reso semplice, potremmo cominciare dall’interrogarci sul senso che il suffisso -ismo assume nel conformismo. Qui non sta a indicare una dottrina religiosa, filosofica o politica, ma una tendenza che trascende ogni dottrina o, per meglio dire, che la supera, per limitarsi a conformarsi a quella che di volta in volta è preminente. Ecco chiarito il primo punto: la forma cui il conformista è chiamato a conformarsi deve avere un carattere di preminenza, ancorché mobile. Potremmo affrettarci a dire che la tendenza sia a trovare convenienza dal convenire nel punto dove un’opinione si fa maggioritaria, ma questo non è del tutto corretto, perché occorre un altro fattore a fare di questa opinione una forma alla quale si sia chiamati a farsi conforme: dev’essere maggioritaria, sì, ma deve anche avere uno statuto interno che ne affermi la pretesa totalizzante. È per questo che il fenomeno del conformismo appare più evidente per le forme che sul piano religioso, filosofico o politico, ma anche su quello artistico, e più in generale sul piano del gusto, assumono caratteri totalitari, e tuttavia non sarà il caso di inferire che il conformismo sia una resa a questa pretesa. Tutt’altro. Non c’è diretta proporzione, infatti, tra la forza con la quale la forma si impone e la massa che le si fa conforme: la pressione che genera il conformismo non è – o comunque non è solo – ab extrinseco, siamo piuttosto dinanzi a un processo di natura osmotica, che peraltro dà conto anche del carattere liquido della massa qui in oggetto (ha il veloce spostamento tipico dei fluidi, si adatta al recipiente che l’accoglie, ecc.). 2. Ho intenzionalmente evitato, in questa premessa, ogni diretto riferimento a elementi di natura psicologica o sociologica. Diciamo che l’approccio al conformismo è stato di tipo fenomenologico (dove per fenomenologia, qui, intendo l’analisi della sua mera Selbstgegebenheit, almeno come ce l’ha spiegata Max Scheler). Tuttavia l’autodarsi del conformismo esorbita in radice da quest’ambito ed era inevitabile che la forma rimanesse entità pura e che la tendenza rimanesse cosa astratta. In questo secondo paragrafo continuerò a lasciare sullo sfondo la sterminata mole di studi psicologici e sociologici che soprattutto negli ultimi settant’anni si sono appuntati sulla questione – do per scontato che il lettore ne abbia una conoscenza anche superficiale, il tanto che basti a risparmiarmi la lunga lista delle note a pie’ di pagina relative agli autori che qui faranno capolino, seppur per vaghi cenni – limitandomi a considerare i due punti che abbiamo lasciato in sospeso: come il convenire produca convenienza e cosa debba intendersi per moralmente neutro relativamente a questa scelta. È possibile farlo astraendoci dalla psicologia del conformista e dalla società in cui vive? Non è già la scelta di termini come convenire, che implica un luogo, e convenienza, che implica una merce di scambio, a renderci impossibile il mettere da parte la società? E tirare in ballo la morale non ci obbliga a considerare il conformismo un carattere, e dunque una configurazione psichica? Senza dubbio, ma dal sociale possiamo continuare a tener lontani il convenire e la convenienza considerandoli agente e atto della convenzione, che è del moto convettivo dato dal gradiente osmotico. Così con la morale: implica un costume, dunque un soggetto, tuttavia, nel dire moralmente neutra la forma cui tale soggetto è chiamato ad aderire, ci è indispensabile chiarire la natura del costume o possiamo anche farne a meno limitandoci a considerare la natura del momento adesivo? Nel moto convettivo che spinge il conformista ad aderire ad una convenzione, quale che sia la natura del fluido e le caratteristiche del mezzo in cui esso si muove, non è possibile individuare una costante? C’è un K che vale sempre, in ogni espressione del conformismo, quale che siano la forme cui il conformista è chiamato ad aderire, quali che siano i fattori che in lui generano l’adesione, quali che siano i caratteri del suo moto convettivo? In altri termini: c’è una spiegazione pre-psicologica e pre-sociologica al conformismo? Io penso di sì. Penso che sia proprio la natura inorganica del processo osmotico passivo a spiegare il conformismo prima e oltre i modi in cui esso si autodà nell’individuo e nella società. Nell’organico troviamo membrane che si oppongono all’osmosi passiva, ma ad un considerevole prezzo. Un prezzo che l’inorganico, prima ancora di non volere, non sa pagare. Corre verso la convenienza: psicologia e sociologia vengono dopo, a dargli parvenza di umano. [segue]
1. Nel conforme vi sono due accezioni divergenti in un punto che può aprirci alla comprensione della ragione prima e della conseguenza ultima del conformismo: v’è il concorde (per somiglianza, consonanza, affinità) e v’è l’adeguato (per corrispondenza, adattabilità, congruità), e il punto in cui essi divergono è quello in cui il comune sinonimo di conveniente indica colui che compie l’atto che lo fa convenuto e il vantaggio che egli ne trae nel non mancare al convenire. Questo ci consente di risolvere l’ambiguità del conformista nella natura moralmente neutra della forma cui è chiamato ad aderire, e che tale dev’essere – moralmente neutra, dico – perché vi sia perfetta coincidenza tra convenire e convenienza. Ovviamente sarà il caso di chiarire quale sia la forma alla quale il conformista è chiamato a convenire, donde ne tragga convenienza e cosa debba intendersi per moralmente neutro. Perché questo ci sia reso semplice, potremmo cominciare dall’interrogarci sul senso che il suffisso -ismo assume nel conformismo. Qui non sta a indicare una dottrina religiosa, filosofica o politica, ma una tendenza che trascende ogni dottrina o, per meglio dire, che la supera, per limitarsi a conformarsi a quella che di volta in volta è preminente. Ecco chiarito il primo punto: la forma cui il conformista è chiamato a conformarsi deve avere un carattere di preminenza, ancorché mobile. Potremmo affrettarci a dire che la tendenza sia a trovare convenienza dal convenire nel punto dove un’opinione si fa maggioritaria, ma questo non è del tutto corretto, perché occorre un altro fattore a fare di questa opinione una forma alla quale si sia chiamati a farsi conforme: dev’essere maggioritaria, sì, ma deve anche avere uno statuto interno che ne affermi la pretesa totalizzante. È per questo che il fenomeno del conformismo appare più evidente per le forme che sul piano religioso, filosofico o politico, ma anche su quello artistico, e più in generale sul piano del gusto, assumono caratteri totalitari, e tuttavia non sarà il caso di inferire che il conformismo sia una resa a questa pretesa. Tutt’altro. Non c’è diretta proporzione, infatti, tra la forza con la quale la forma si impone e la massa che le si fa conforme: la pressione che genera il conformismo non è – o comunque non è solo – ab extrinseco, siamo piuttosto dinanzi a un processo di natura osmotica, che peraltro dà conto anche del carattere liquido della massa qui in oggetto (ha il veloce spostamento tipico dei fluidi, si adatta al recipiente che l’accoglie, ecc.). 2. Ho intenzionalmente evitato, in questa premessa, ogni diretto riferimento a elementi di natura psicologica o sociologica. Diciamo che l’approccio al conformismo è stato di tipo fenomenologico (dove per fenomenologia, qui, intendo l’analisi della sua mera Selbstgegebenheit, almeno come ce l’ha spiegata Max Scheler). Tuttavia l’autodarsi del conformismo esorbita in radice da quest’ambito ed era inevitabile che la forma rimanesse entità pura e che la tendenza rimanesse cosa astratta. In questo secondo paragrafo continuerò a lasciare sullo sfondo la sterminata mole di studi psicologici e sociologici che soprattutto negli ultimi settant’anni si sono appuntati sulla questione – do per scontato che il lettore ne abbia una conoscenza anche superficiale, il tanto che basti a risparmiarmi la lunga lista delle note a pie’ di pagina relative agli autori che qui faranno capolino, seppur per vaghi cenni – limitandomi a considerare i due punti che abbiamo lasciato in sospeso: come il convenire produca convenienza e cosa debba intendersi per moralmente neutro relativamente a questa scelta. È possibile farlo astraendoci dalla psicologia del conformista e dalla società in cui vive? Non è già la scelta di termini come convenire, che implica un luogo, e convenienza, che implica una merce di scambio, a renderci impossibile il mettere da parte la società? E tirare in ballo la morale non ci obbliga a considerare il conformismo un carattere, e dunque una configurazione psichica? Senza dubbio, ma dal sociale possiamo continuare a tener lontani il convenire e la convenienza considerandoli agente e atto della convenzione, che è del moto convettivo dato dal gradiente osmotico. Così con la morale: implica un costume, dunque un soggetto, tuttavia, nel dire moralmente neutra la forma cui tale soggetto è chiamato ad aderire, ci è indispensabile chiarire la natura del costume o possiamo anche farne a meno limitandoci a considerare la natura del momento adesivo? Nel moto convettivo che spinge il conformista ad aderire ad una convenzione, quale che sia la natura del fluido e le caratteristiche del mezzo in cui esso si muove, non è possibile individuare una costante? C’è un K che vale sempre, in ogni espressione del conformismo, quale che siano la forme cui il conformista è chiamato ad aderire, quali che siano i fattori che in lui generano l’adesione, quali che siano i caratteri del suo moto convettivo? In altri termini: c’è una spiegazione pre-psicologica e pre-sociologica al conformismo? Io penso di sì. Penso che sia proprio la natura inorganica del processo osmotico passivo a spiegare il conformismo prima e oltre i modi in cui esso si autodà nell’individuo e nella società. Nell’organico troviamo membrane che si oppongono all’osmosi passiva, ma ad un considerevole prezzo. Un prezzo che l’inorganico, prima ancora di non volere, non sa pagare. Corre verso la convenienza: psicologia e sociologia vengono dopo, a dargli parvenza di umano. [segue]