La sveglia di stamane è un dolce ticchettare di gocce sul tetto invece del solito ammorbante ringhio del telefonino. A Siem Reap "pioviggina che Dio la manda" quando, insieme agli zaini, veniamo stipati su un minibus che un tempo doveva avere un colore definito ed ora ha assunto quella tinta beige un po' geologica, prodotto finale di lunghe ere lontane da qualsiasi forma di acqua pulita. Sono le 7 di mattina, si sta bene in maglietta ma l'autista ha deciso di tenere al massimo il livello di aria condizionata. Dopo 11 chilometri nel fango, decine di bambini in equilibrio su biciclette troppo grandi diretti a scuola e una serie di soste apparentemente immotivati, eccoci al molo che affaccia sul lago Tonle Sap, in prossimità del villaggio galleggiante di Chong Kneas.
Il paesaggio urbano affacciato ai lati di questo fiume pescoso è una delle più brillanti dimostrazioni delle capacità di adattamento dell'animale uomo che mi sia mai capitato di osservare da vicino. Il modo sapiente e preciso in cui questi popoli sono riusciti a plasmare la loro esistenza seguendo la natura, pur senza mai provare a dominarla, ha un che di commovente. Spiando tra le tende all'ingresso delle case, a prima vista catapecchie di legno inchiodati alla meno peggio, si scorgono abitazioni confortevoli e calde dove i bambini giocano a rincorrersi, gli anziani affondano le loro bacchette in gustose ciotole di riso e qualcuno è sdraiato su un'amaca guardando la boxe in TV.Ovunque brillano di ruggine le reti da pesca, qui più simili a gabbie di metallo incrostate da tempo, come piccole trappole in cui il pesce, una volta entrato, rimane prigioniero. Si risveglierà mezzo tramortito in una bacinella d'acqua sul pavimento di un mercato del centro, agonizzante è pronto per finire arrostito. Ci sono i negozi con la merce esposta sulla banchina e una piccola barca portata da una signora con il cappello di paglia che distribuisce frutta, pesce e verdura fresca tra le varie abitazioni. Quaggiù funzionava così da molto prima dell'avvento di Esselunga.
Dopo un lungo percorso tra le palafitte ora lo scenario si fa più selvaggio. All'orizzonte il cielo è solcato da nuvoloni neri gonfi di pioggia e la barca fa slalom tra la vegetazione fluviale, a tratti più verde e rigogliosa che mai. Il fiume, poco più in basso, continua il suo scorrere inesorabile trascinando qualunque cosa nel suo colore verdastro. In un attimo è subito tempesta; ci troviamo quasi fradici mentre il capitano prova a proseguire il tragitto a velocità ridotta. Non ho il culo sul Titanic e certo non stiamo navigando sopra il mare artico, ma la prospettiva di un bagno di fango è davvero poco allettante. Più volte, complice il basso fondale di una stagione delle piogge ancora all'inizio, la barca si incaglia tra i giunchi da cui un aiutante, solerte, la allontana con un bastone di legno. Non si vede niente, si ha l'impressione di procedere a tentoni. È così per un'ora buona e poi la pioggia, lentamente, frena la sua ira.Michael Jordan approfitta di un momento in cui il fiume non gioca scherzi per prendersi una pausa. Tira fuori dalla tasca della camicia una scatola esagonale con dentro una lozione biancastra. C'è una tigre disegnata sopra. Se ne spalma un po' sulla pancia energicamente, poi la annusa ad occhi chiusi per lunghi secondi e infine si massaggia le tempie. La pioggia ha ormai cessato da un po', salgo sul tetto della barca e mi sdraio a pancia in su, mi addormento quasi subito, al riparo dall'afa e con il fiume negli occhi.