Appunti cambogiani/5 - Scampagnata Khmer

Creato il 31 agosto 2015 da Mapo
Battambang 27 agostoThy parla un perfetto inglese, guida piano e sembra la copia cicciona di spike lee: per certi versi la guida perfetta. Ha un cappellino da baseball nero con scritto "Brausil", una camicia a manica corta quadrettata in puro acrilico e guida un Tuk Tuk rumoroso ma quasi confortevole. Ad un certo punto del pomeriggio sente un rumorino proveniente dalla ruota posteriore destra per cui accosta e suda per 45 minuti tra cric, bulloni e cacciavite per rimettere in sesto uno dei freni. Beve una bottiglietta d'acqua e ripartiamo, sperando di non incontrare mai nelle prossime 6 ore un motivo per frenare
Ha la carnagione una tinta più scura di quella che va di moda qui e oggi ci porta in giro per Battambang, una città di provincia a sud-ovest della Cambogia. Non siamo lontani dal confine con la Tailandia ed è qui che negli anni settanta, grazie al governo permissivo dell'"ultimo dio-re" Sihanouk, transitavano i vietcong. Il governo cambogiano li lasciava passare senza opporre grande resistenza, ma poi permetteva ai B52 americani di lanciargli le bombe addosso con quel roboante paraculismo che a noi italiani dovrebbe suonare quantomeno familiare. La città si adagia sul fiume Sangker, una striscia d'acqua marrone piena di rifiuti e di pesce, a giudicare dal mercato ittico locale, dove migliaia di cadaveri senza le lische giacciono ad essiccare su banchi di bambù in attesa che qualcuno li compri. In un angolo ci sono delle grosse botti cilindriche di più di un metro di diametro, colme fino all'orlo di una strana sostanza viscida. Nella parte coperta del mercato un pescatore a piedi nudi munito di badile estrae da un bidone delle frattaglie di pesce lasciate a macerare e le lancia per terra. Al contatto con il cemento lanciano nell'aria un lungo rumore umido. "Pasta di pesce" - la indica esultante Thy che poi attacca una lunga descrizione su come venga preparata e spergiura che possa rimanere anche più di un anno così, adagiata prima di finire in un piatto di zuppa ed essere comunque deliziosa. L'aspetto, putrescente, è terribile.
Una signora con un largo cappello a fiori per ripararsi dal sole siede in un angolo e, uno alla volta con un vecchio coltello, decapita una decina di pesci gatto al minuto. Tra i piedi tiene una montagna di teste baffute.La nostra guida è un intenditore e piano piano comincia a sciorinare una serie di semplici ricette (una sorta di Parodi Khmer) che sembrano deliziose. La sua preferita, però, è il brodo di cobra. Il serpente qui è abbastanza comune e si trova al mercato per 10 dollari al Kg; alcuni secondo una vecchia tradizione cinese lo mettono a bagno nel liquore, dove resta dando a queste bottigliette che circolano nelle bancarelle un aspetto inquietante ed attraente allo stesso tempo. Altri lo mettono semplicemente nel brodo e ne bevono a grosse cucchiaiate. Rafforza la virilità, così dicono. A quanto pare aveva ragione la Rettore.
Ci fermiamo in una piccola fattoria al bordo della strada. Il vialetto di accesso è costeggiato da una serie di piante basse, con delle lunghe foglie strette. Sono una sorta di via di mezzo tra una felce ed un cactus e al centro crescono piano piano gli ananas. Uno per pianta, e non di più. La proprietaria fa appena caso a noi, tanto è impegnata a bollire in un grosso pentolone un liquido biancastro a base di acqua e riso. Ne raccoglie un po' con un mestolo e la stende su un telaio di stoffa disegnando una forma perfettamente circolare. Pochi secondi e poi, da lì, viene rimossa dalla figlia a mani nude che la appoggia su un piccolo torchio con dei bracci di bambù. Infine questi cerchi di riso di un bianco trasparente vengono distribuiti su ampie grate di legno su cui restano ad asciugare al sole per una giornata almeno (2 o 3 nella stagione delle piogge). Gli involtini primavera, al netto del ripieno, si fanno proprio così. La buccia del riso, secca e giallastra, fa da combustibile al fuoco e l'intero processo, in grado di sfornare più di un migliaio di pezzi al giorno, è interamente privo di materiali di scarto.
Battambang è il paese del riso, qui si produce il riso migliore di tutta la penisola indocinese e quando qui piove troppo poco un po' tutti qui si mettono nelle mani nei lisci capelli setosi perché il prezzo al Kg salirà in maniera sensibile ovunque. Dettaglio che, in un paese in cui "mangiare" si dice letteralmente "mangiare riso" (nyam) assume una certa rilevanza.
Lo snack locale si chiama "Goran" ed è fatto mettendo riso e qualche altro sfizioso ingrediente (datteri, uvetta, banana o ananas) all'interno di un pezzo di bambù che viene fatto cuocere alla brace. Mancando una Ferrero locale, se ne occupano delle donne accampate ai lati della strada. L'esterno del tronco diventa carbonizzato e così una ragazza, con una specie di machete, si occupa di rimuovere gli strati più esterni che vengono poi bruciati per alimentare il fuoco. Li spediscono in tutto il paese, capitale compresa.Appena intorno al nucleo abitato ci sono risaie a perdita d'occhio. In questa stagione la campagna è una tavola piatta di un colore verde accesso, solcata da piccoli fiumiciattoli per irrigare. Se non fosse per le palme da cocco sembrerebbe la pianura padana in un giorno di fine settembre, dopo un violento temporale.
In una bancarella vicino ai binari del treno (dopo il periodo dei Khmer rossi il trasporto di passeggeri non è mai stato ripristinato) incontriamo due bambine che dicono di avere quindici anni e ne dimostrano sette. Vogliono vendere braccialetti e collane a chiunque passa di lì e si fanno promettere con tanto di stretta di mignolino che nel caso vogliamo comprare qualcosa loro sono le uniche da cui andare. Contrattiamo per una ventina di minuti il prezzo di una noce di cocco. Una volta spuntato un prezzo 25 centesimi più basso di quello pattuito rimaniamo lì, con la cannuccia in bocca, a guardare la Cambogia che riposa verde sotto il sole, pronta a risvegliarsi al primo temporale nell'eterna lotta tra bellezza e miserie.

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