Inutile nasconderlo: ormai il Fumetto Festival di Lucerna è diventato, più che un appuntamento fisso delle mie primavere, una vera e propria droga. Non riesco a fare a meno dei paesaggi svizzeri, che sfidano ogni luogo comune, fatti di laghi e mucche, dei panini con la crosta mille-semi e burro, cetriolo e salame, della Gazosa Colesina, dei prezzi proibitivi, dei bambini con le guance da Heidi e dell’indigestione di mostre di fumetto che mi attende ogni anno.
Il fumetto di area tedesca (e nord-europea) è molto vivace e fuori dagli schemi e stilemi del resto d’Europa o del mondo; si potrebbe dire che stia facendo “scuola” e, seppure negli ultimissimi tempi in Italia sono uscite alcune pubblicazioni provenienti da questa zona (penso a Ulli Lust per Coconino, Aisha Franz per Canicola, Isabel Kreitz per Black Velvet, Sharmila Banerjee per Inuit), è ancora parzialmente sconosciuto. Senza contare che questo “sguardo laterale” viene applicato dagli organizzatori anche nella scelta degli ospiti stranieri. E così il festival diventa un appuntamento durante il quale l’impasto di cose nuove e altre semisconosciute, di grandi nomi del fumetto anche mainstream e di realtà lontane indagate con perizia, riesce a coinvolgere sia i lettori appassionati, sia gli esperti, sia i bambini, sia chi si avvicina per la prima volta al mezzo.
Le mostre del Fumetto Festival di Lucerna, tra l’altro, si svolgono sempre in location scelte con cura: dai sempre presenti Museo d’Arte Contemporanea, Istituto di Belle Arti e Am-Rhyn-Haus, a nuovi luoghi “invasi” per l’occasione come il Neubad, una piscina meravigliosa dal futuristico sapore anni sessanta, ai millemila negozietti, alberghi e locali che ospitano le mostre satellite (dove scoprire i lavori e i nomi di nuovi artisti, prevalentemente svizzeri).
mostra sull’Underground
Crumb e l’underground
Mostra principale di quest’anno, quella al Kunstmuseum di Lucerna, era la collettiva dedicata a Robert Crumb e ad altri artisti dell’Underground americano. Partendo dai primi lavori di Crumb, passando per tutti i compagni del movimento che negli anni Sessanta trattavano temi politicamente “scomodi” o comunque unpolitically correct (i diritti gay e lesbo, la protesta contro la guerra del Vietnam, la liberazione della donna e la sperimentazione con le droghe) con un tratto libero, spesso grottesco, satirico, sensuale, molto divertente. In mostra tavole di Kim Deitch, Bill Griffith, Vaughn Bode, Trina Robbins, Joel Beck e molti altri, che ben descrivevano quel momento della storia del fumetto, scosso da forti venti di ribellione contro ogni tentativo di inscatolamento della voce artistica tra le strettissime maglie del fumetto mainstream e industriale americano. Erano esposte anche tavole di artisti “tangenti” come Art Spiegelman, Will Eisner, Harvey Kurtzman, Charles Burns.
Anders Nilsen
Big questions
Forse la mostra che mi è piaciuta di più (anche se è davvero difficile scegliere) era quella che occupava il sottopassaggio della stazione, luogo particolarmente freddo e inquietante. Tre artisti riuniti assieme dal loro porsi importanti interrogativi attraverso il fumetto: Paula Bulling, Danielle De Picciotto, entrambe tedesche, e l’americano Anders Nilsen.
Il titolo della mostra si rifà proprio a quello dell’opera del 2011 di Nilsen: Big questions è un librone di oltre seicento pagine che racconta una favola metafisica popolata da alcuni umani e tantissimi uccellini, che si interrogano su morte, giustizia, libero arbitrio. In mostra anche alcune stampe in grande formato del nuovo lavoro in uscita di Nilsen: Rage of Poseidon. Qui i protagonisti sono gli dei dell’Olimpo e i loro miti attualizzati ai tempi moderni.
Troviamo quindi Isacco che dopo aver scampato il sacrificio torna a giocare ai videogiochi, mentre Gesù cerca di abbordare Afrodite in un bar.
Paula Bulling
Molto interessante il lavoro della Bulling, che sfrutta il reportage a fumetti per esplorare tematiche di stretta rilevanza politica come in Das Land der Frühaufsteher, che racconta la vita di alcuni rifugiati in Germania, o Common Grounds, il suo progetto in lavorazione, per il quale ha intervistato diversi attivisti di Occupy Wall Street.
We are gypsies now è invece il diario di Danielle De Picciotto, che con il marito Alexander Hacke (bassista degli Einstürzenden Neubauten) ha deciso di abbandonare la sua casa e darsi alla vita nomade, documentando a fumetti le domande esistenziali che questa scelta porta con sé.
Oliver Schrauwen
Nella cornice del Bourbaki Kino (un cinema multisala che si è convenientemente attorcigliato attorno al vecchio palazzo che
Ward Zwart
Ward Zwart
Sempre belga una delle mie personali rivelazioni del Fumetto Festival di quest’anno. Ward Zwart è un illustratore e fumettista dell’85 che ha già pubblicato per Nobrow e il New York Times, ma per farsi un’idea precisa del suo stile è indicativa la collaborazione con Vice: musica punk e hardcore, alcol, perdersi nei boschi, jeans e maglietta, animali morti. Zwart si destreggia tra lavori di grafica su commissione e progetti indipendenti sempre a mezzo stampa: libri, fanzine, etc. Chiaramente influenzato da una “certa” fotografia, istantanea e impressionistica, di sballo, disagio e solitudine, Zwart disegna con matita e carboncino fondendo riferimenti che vanno dalla cultura alta a quella pop, dagli ambienti naturali al disordine vitale degli interni.
In mostra parecchie tavole dalla sua antologia Mostly Cola (2012), ormai sold-out, che lo ha reso famoso in patria.
murales di Stefano Ricci e Anke Feuchtenberg
In piscina
Dicevo più sopra di uno dei nuovi spazi espositivi del Festival: messa da parte perché un nuovo polo sportivo è sorto a poca distanza, la piscina (un capolavoro d’architettura futuribile anni sessanta, con le vasche al secondo piano e incredibili phon per i capelli dai colori acidi) è stata scelta dalle istituzioni per una gara per decidere quale sarebbe stato il suo futuro. Così da un paio di mesi soltanto è nato il Neubad, un centro per le arti, la scienza e l’imprenditoria al servizio della cittadinanza. Quest’anno il Neubad era parte integrante dell’organizzazione espositiva del Fumetto Festival. Un secondo polo, un po’ più decentrato rispetto al Festivalzentrum Konrschütte tradizionale.
Qui, oltre al “mercato” delle etichette indipendenti europee (dove erano presenti anche i nostri Inuit), c’erano diverse mostre: da quella di Anke Feuchtenberg e Stefano Ricci, che avevano anche dipinto un gigantesco murales sulla vetrata di una delle piscine, al collettivo svizzero, capitanato da Yannis La Macchia, che ha dato alle stampe Un fanzine carré: un’antologia in forma cubica in 999 esemplari diversi, per continuare a sperimentare e a interrogarsi sulla stampa e sulla forma libro. Stupefacente la mostra degli studenti di Anke Feuchtenberg all’Accademia di Belle Arti di Amburgo: una collettiva di una ventina di artisti, quasi tutti a livelli altissimi.
Mi fermo qui, per non tediarvi oltre, ricordando però anche le mostre di Marijpol, che presentava il suo ultimo libro Eremit; Bastien Gachet, che faceva un lavoro interessante sullo spaesamento e sull’attenzione dello spettatore, esponendo in una sala spoglia il ritratto della maschera di sala; la collettiva Comics Al Arabi, che esplorava la diffusione del fumetto in medioriente; e la tradizionale residenza artistica di un autore, questa volta Exem.
Come dicevo, c’è molto da imparare a Lucerna. Cominciate a risparmiare per l’anno prossimo!
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