Se il vero punto di forza è la sceneggiatura scritta da Sorkin, la parte visiva ne è l'esatto riflesso drammaturgico. Non a caso i dialoghi statici e più emozionali vengono ripresi con inquadrature di quinta - fisse o caratterizzati da leggerissimi "zoom" o "dolly" - ed alternati poi ai dialoghi in movimento seguiti per lo più da steadycam frontale (a uno o a due, spesso inquadrando dal mezzobusto in sù) e da ampie carrellate. Tutto viene amalgamato in maniera perfetta dalla fase di montaggio, questo dinamico e preciso, e che si presta all'evoluzione narrative dei tre grandi blocchi che costituiscono il film. Da non sottovalutare, infine, la fotografia, funzionale al discorso che facevamo e a mettere ancora più in risalto i volti e quindi la bravura degli attori, di Fassbender in particolare.
"Steve Jobs" è, dunque, l'opera più matura di Boyle - tra le altre cose, abilissimo e nella scelta della colonna sonora - che dimostra di sapere come e quando far tacere la propria regia senza lasciare che essa diventi anonima ma mettendola al servizio dell'opera. Antonio Romagnoli