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Appunti di viaggio.Dallo Ionio al Mediterraneo su un binario borbonico

Creato il 06 giugno 2010 da Ilsignork

di Roberto*

Appunti di viaggio.Dallo Ionio al Mediterraneo su un binario borbonico
Aranci alla partenza, carrubi all’arrivo.
Arrivo al binario due con un po’ d’anticipo, il treno è già lì. Una sola carrozza. Vecchia ma pulita. Sui giornali di quei giorni leggo di vagoni sporchi diventati habitat naturali di parassiti vari. Nel mio non sembrano esserci zecche, anzi c’è anche un buon odore. Il treno parte in orario, sono le 12:45. Lentamente ci lasciamo alle spalle la stazione di Catania, scorre il mare sulla sinistra. Sulla destra le auto bloccate nel traffico. Pochi minuti dopo la partenza e il treno viaggia sugli archi della marina. A piscaria vista dall’altro appare diversa. C’è un sacco di gente che si muove con in mano delle buste di plastica bianche, un moto irregolare e convulso sembra regolare la compravendita del pesce. Non si sentono le urla ma le percepisco. Subito dopo il treno è inghiottito dalla terra, si scende giù. Pareti laviche ci accompagnano a destra e sinistra, il vagone diventa buio. Fuori non c’è nulla da guardare, davanti a me uno studente ascolta la musica con gli occhi chiusi. Inaspettatamente la luce. Ora dai finestrini si vede la campagna, la piana di Catania. Un campo pieno di cavoli, un contadino, in mezzo una Ritmo blu fa da deposito per gli attrezzi. Dopo un vivaio di palme e alcuni casolari. Meno di dieci minuti dalla partenza e il treno è già fermo alla prima fermata: Bicocca.

Partenza. Stazione, mare, pescheria, galleria, campagna. Bicocca.

Il vagone non è pieno, saremo una mezza dozzina di persone. Il treno riparte da Bicocca e corre sui binari immersi nella campagna fino ad arrivare alla stazione di Lentini. I passeggeri raddoppiano. Tiriamo fuori i biglietti, il controllore scrupolosamente controlla. Il ragazzo davanti a me non ascolta la musica con gli occhi chiusi, dorme. Anzi dormiva, adesso il controllore l’ha svegliato. La stazione successiva a Lentini è Brucoli. Ora la campagna pianeggiante ha lasciato posto alle colline. A sinistra ogni tanto spunta il mare, fa capolino un paio di volte e poi si rivela con tante case ammassate ai suoi piedi. A largo banchi di alghe scure. Il treno si è fermato a Brucoli. Il controllore scende dal treno, prende una boccata d’aria e si riparte. La stazione è lontanissima da ogni idea di stazione ferroviaria, è proprio brutta. C’è una sorta di prefabbricato che somiglia ad un piccolo magazzino. Non sembra abbandonata ma dimenticata.

Partenza. Stazione, mare, pescheria, galleria, campagna. Bicocca. Controllore. Casolari, campagna, Lentini. Colline, mare, alghe. Brucoli.

Dietro di me c’è un cinese. Me ne accorgo solo perché una voce, con uno strano accento, emette una  frase sgrammaticata.
Sento un suono: “silacusaquandofelma?” Lì per lì non capisco, Occhi da orientale ripete e scandisce meglio.
Il controllore capisce e lentamente risponde: “capirai che siamo a Siracusa quando il treno si fermerà e tutti scenderanno”. Fa una pausa e poi aggiunge: “Siracusa capolinea!”
Occhi da orientale sembra aver capito. “Si, si” dice.

Appunti di viaggio.Dallo Ionio al Mediterraneo su un binario borbonico
Passiamo in mezzo a delle colline di tufo. Tonalità di bianco e di giallo si fondono. Ogni tanto ciuffi di verde appaiono in ordine sparso. Testarde piante crescono e penzolano sulle pareti. La darsena annuncia Augusta. Il treno scivola sui binari ma pare galleggiare sull’acqua. A destra e a sinistra c’è il mare, una lingua di terra sostiene le rotaie. Bacini, più o meno artificiali, ospitano piccoli moli e barche sulla sinistra, rifiuti galleggianti sulla destra. Barchette salpano verso il mare aperto, copertoni e bidoni di plastica colorati si arenano sulle sponde del bacino. Alcuni si nascondono tra la vegetazione. Il treno fischia e segnala l’arrivo navigando sull’acqua. L’odore di salsedine è molto forte. Scendono tante persone, altre salgono. Lo studente di fronte a me dorme. Alle 13.37 il treno è fermo alla stazione di Augusta.

Partenza. Stazione, mare, pescheria, galleria, campagna. Bicocca. Casolari, campagna, Lentini. Colline, mare, alghe. Brucoli. Occhi da orientale, tufo, copertoni e bidoni. Mare, salsedine, Augusta.

“L’uomo ha sempre pensato a come vivere di più e mai a come tornare indietro”, attacca un vecchietto seduto sui sedili alla mia sinistra. “Perché ha inventato di tutto per vivere di più e niente per viaggiare indietro nel tempo?” si chiede sinceramente stupito.
L’elegante signora seduta davanti lo liquida con un: “si vede che è impossibile. Solo nei film si può”. Si gira e guarda fuori dal finestrino. Il vecchietto non è convinto.  Ma non si arrende, vuole parlare.
“Berlusconi si prende il viagra, per questo è sempre arzillo in televisione” fa il vecchio. “Secondo me vince, l’altro non mi convince” dice verso l’elegante signora. Il tema politico sembra di suo interesse. Le imminenti elezioni diventano terreno di dialogo. Hanno trovato un punto in comune.

Intanto, il treno è ripartito. Usciamo da Augusta, a sinistra il porto e a destra un laghetto melmoso. Lo guardo è penso: “ecco la trinacria nera!” Lontano comincio ad intravedere le prime ciminiere delle industrie con le strisce rosse sulla punta. È una conferma, sono dentro la trinacria nera. Il treno non è particolarmente veloce, pian piano ci avviciniamo alle fabbriche. La campagna è un ricordo di inizio viaggio. A destra e sinistra solo ferraglia, tubi, ciminiere, puzza. Forte puzza d’asfalto bruciato. Poco dopo un pezzo di campagna fa capolino alla mia destra, sembra stata violentata dalla industrie. Pare natura morta. Poi di nuovo le industrie, e poi il mare. Mare e industrie, industrie sul mare. Industrie galleggianti. Priolo.

Partenza. Stazione, mare, pescheria, galleria, campagna. Bicocca. Casolari, campagna, Lentini. Colline, mare, alghe. Brucoli. Occhi da orientale, tufo, copertoni e bidoni. Mare, salsedine, Augusta. Macchina del tempo, Berlusconi. Trinacria nera, ciminiere, industrie. Puzza. Priolo.

Scopro che esiste un posto che si chiama Targia. Il cartello recita frazione di Siracusa. Siracusa è vicina, ad annunciarla, poco dopo, le enormi insegne di Carrefour. L’insegna del grande magazzino francese è grande tanto quanto Targia. Sono le 14.05, lo studente si sveglia. Scendo, scende Occhi da orientale, il vecchietto e l’elegante signora. Scendono tutti: “ Siracusa capolinea!” Urla il controllore.

Sulla banchina della stazione guardiamo il vagone andare via, a marcia indietro. Il macchinista saluta i controllori.
Cambiamo binario. Scendo per il sottopassaggio, in molti attraversano sulle rotaie. La nostra littorina è già lì. Si riparte 40 minuti dopo. Il vagone sembra pulito, dentro fa caldo. Chissà da quanto tempo è al sole. Il vagone comincia a muoversi. È tutto pieno, qualcuno è in piedi. Presto tutti ci accorgiamo che l’aria condizionata non funziona. Fa molto caldo, ci appendiamo ai finestrini e con forza li tiriamo giù. Il vento entra dentro forte, sembriamo su una Vespa. Subito fuori il paesaggio cambia nuovamente: non più industrie ma mandorleti. Dietro di me due turisti americani commentano la bellezza del paesaggio. Qualche agrumeto, molti mandorleti, tanti campi coltivati. Ora il treno corre in mezzo alla campagna. Si cominciano a vedere i primi muri a secco, nelle chiuse le mucche pascolano. Qualcuna guarda il treno mentre rumina. Tutto è verde, la primavera è esplosa, il giallo dell’estate è ancora lontano. Ci fermiamo alla stazione di Avola. Qualche passeggero scende. Pochi minuti e il treno riparte. Per un attimo credo che la notte precedente un bombardamento abbia colpito la cittadina. La stazione è distrutta, peggio che Brucoli. Non sono stazioni ma fermate. Fermate simili a quelle dei bus, manca la pensilina e il cartello con i numeri delle linee che passano da quel punto.
Noto è annunciata da uliveti e vigne. Costeggiamo l’autostrada. È una lingua d’asfalto senza macchine. Sembra una pennellata grigia in mezzo alle colline siracusane. Poi Rosolini: il confine. Alle spalle la provincia di Siracusa, davanti quella di Ragusa. A Rosolini scendono in tanti, gli americani restano.

Partenza. Stazione, mare, pescheria, galleria, campagna. Bicocca. Casolari, campagna, Lentini. Colline, mare, alghe. Brucoli. Occhi da orientale, tufo, copertoni e bidoni. Mare, salsedine, Augusta. Macchina del tempo, Berlusconi. Trinacria nera, ciminiere, industrie. Puzza. Priolo. Targia frazione di Siracusa, Carrefour, Siracusa. Vento, campagna, mandorli, ulivi, viti e mucche. Autostrada. Avola, Noto, Rosolini. Confine.

Ad Ispica il treno si ferma che sono le 15:40. Sbuffa, sembra avere caldo anche lui. Sembra un treno a vapore e invece e a gasolio. La rete ferroviaria è ancora quella borbonica di fine ’800. Un binario solo, e lo dobbiamo ai dominatori spagnoli. É un treno per turisti non per pendolari. Un doppio binario e la linea elettrificata sono sogni. La parola infrastruttura sui dizionari ragusani non c’è, l’hanno tolta.  Ad Ispica ci si ferma per lunghi minuti, quasi ad assaporare l’aria ragusana. Gli americani ogni tanto pronunciano qualche parola italiana, stanno leggendo dalla loro guida. Sento: “Caccioccavallo, Ibla, Mediterranean sea or Ionio?” Sul dubbio dei due turisti il treno riparte. Si vedono i primi carrubi. Sono tanti, si mischiano coi i più rari mandorli e i tanti ulivi. Il mare non lo vediamo da un po’, sappiamo che presto apparirà a sinistra. La stazione di Pozzallo è lontana dal centro. Sono le 15:55 quando il treno si ferma.

Appunti di viaggio.Dallo Ionio al Mediterraneo su un binario borbonico
Comincio ad avere molta fame, la krapfen mangiata alla partenza e bella che digerita e i turisti americani sono arrivati alla pagina della guida dove sono elencate le specialità della cucina ragusana. Sento “scaccie, ricotta, cioccollato di Modica” e la fame si fa più acuta. Metto fuori la testa dal finestrino mangio due o tre boccate d’aria. Il treno passa sulla collina di Sampieri, si vede il mare. Mozzafiato la visione della fornace bruciata di Pisciotto. Passiamo accanto ad un villaggio turistico, le casette sono tutte arabeggianti. Il bianco predomina. I carrubi tutti intorno riempiono gli spazi delimitati dai muri a secco. Muri a secco ovunque. 16:04 il treno è fermo a Sampieri. Mi accorgo che con me ci sono solo i turisti americani e una signora in fondo al vagone. Entra il controllore, da un’occhiata e torna dietro la porta da cui era uscito. Il treno riparte. Ancora campagna. Solo campagna da Noto in poi. Il vagone scivola sui binari, è partito che era mattino e arriva che è pomeriggio. A breve farà buio. Attraversiamo Scicli e arriviamo alla stazione. Trascorro questi ultimi minuti di viaggio in piedi. Il lettore mp3 si è scaricato da un bel po’. Sono le 16:25 siamo alla stazione di Scicli. Prendo il bagaglio, gli americani mi precedono e scendono. Li seguo. Sono arrivato. Lasciamo il treno che salirà per le colline fino a Ragusa. Oltre tre ore e mezza di viaggio per centocinquanta chilometri. Da turista un viaggio incantevole, da pendolare un viaggio impossibile.

Partenza. Stazione, mare, pescheria, galleria, campagna. Bicocca. Casolari, campagna, Lentini. Colline, mare, alghe. Brucoli. Occhi da orientale, tufo, copertoni e bidoni. Mare, salsedine, Augusta. Macchina del tempo, Berlusconi. Trinacria nera, ciminiere, industrie. Puzza. Priolo. Targia frazione di Siracusa, Carrefour, Siracusa. Vento, campagna, mandorli, ulivi, viti e mucche. Autostrada. Avola, Noto, Rosolini. Confine. Ispica. Cacciocavallo. Pozzallo, Sampieri, mare. Pisciotto. Campagna, muri a secco, carrubi. Scicli. Arrivo.

*Il viaggio raccontato in questo post l’ho fatto il 4 aprile del 2008. Dopo anni passati a far avanti e indietro tra Catania e Scicli in bus decisi di prendere il treno. Sapevo che sarebbe stata una lunga traversata tra le province di Catania, Siracusa e Ragusa. Volevo farlo. Ho appuntato tutti i dettagli del viaggio perché volevo farne un reportage. Per due anni quelle otto pagine di appunti blu sono rimasti tra i fogli della mia agendina nera. Ora quelle parole sono libere.



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