Il titolo fu suggerito a Bergman dalla lettura degli Atti degli Apostoli e, più precisamente, della lettura della Prima Lettera ai Corinzi di San Paolo (XIII, 12):
“Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia.
Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto.”
SINOSSI
Un tranquillo week-end di umana paura, potremmo definirlo.
Poco più di ventiquattro ore di una breve ...vacanza da incubo dei quattro membri di una benestante famiglia svedese, su un'isoletta ventosa del Mar Baltico.
Potrebbe essere Faro.
PERSONAGGI e INTERPRETI:
la schizofrenica Karin (una stratosferica, Harriet Andersson);
il padre (affermato scrittore, appena rientrato dalla Svizzera) di Karin, David (Gunnar Bjornstrand);
il marito medico di Karin, Martin (Max von Sidow);
il fratello minore studente Fredrik, detto Minus (Lars Passgard).
Peraltro tutti ottimi.
Ritmato dalla Suite n. 2 in re minore per violoncello (E.B. Bengtsson) di J.S. Bach, è un quartetto di figure che inaugura “il cinema da camera” di I. Bergman.
In pratica ricollegando questo singolare esempio, insieme gli altri due successivi, del cinema di Bergman al movimento della cd. Kammerspielfilm, sorto nel 1921 come reazione al primo espressionismo per iniziativa del scenarista Karl Mayer e del regista Lupu-Pick.
Ed apre anche la cd. “trilogia di Dio” o dell'”assenza di Dio” o “religiosa”.
Proseguita, appunto, con “Luci d'inverno” e “Il silenzio”.
Per stessa personale ammissione di Bergman che, aveva sempre invitato a vedere e a giudicare i suoi film singolarmante, si tratta di fatto di una trilogia.
Ed egli stesso, infatti, accomunò i tre i film nella seguente classificazione:
“Questi tre film trattano di una riduzione. Come in uno specchio: certezza conquistata; Luci d'inverno: certezza messa a nudo; Il silenzio (silenzio di Dio) la copia in negativo. Perciò formano una trilogia.”
Salvo poi auto-smentirsi nel suo libro-diario Immagini:
“Queste cose le scrissi nel 1963. Oggi penso che l'idea della trilogia non abbia né capo né coda. Era una “Schnaps-Idee come dicono i bavaresi.”
RECENSIONE
I perni del film, anzi, le pietre angolari sono sostanzialmente e formalmente due.
1) Da una parte c'è Karin, unico personaggio femminile (sappiamo come nei confronti dei suoi personaggi femminili Bergman appare sempre quanto meno comprensivo, se non addirittura indulgente), ma anche personaggio monolitico, enigmatico, difficile da comprendere appieno, profondo e fragile, armato solo del suo corpo e della sua lucida pazzia; alla spasmodica ricerca della guarigione e di Dio (che crede di vedere addirittura in un ragno nero che cerca di possederla);
alla ricerca di un vero rapporto col padre scrittore, freddo e austero, che la fa caso letterario, sfruttando la sua malattia e facendola oggetto dei suoi lavori;
alla ricerca di un rapporto solido e, finalmente, credibile col marito medico, pure dolce ed affettuoso;
alla ricerca di un vero rapporto tra sorella e fratello con Minus, che non sia solo famigliare e familiare, o solo sentimentale, ma sia addirittura fisico, quindi ai limiti dell'incestuoso.
“Harriet Andersson interpreta Karin con perfetta musicalità, entrando ed uscendo liberamente e continuamente dalle sue prescritte realtà. La sua interpreatzione ha toni puri ed è piena di genialità. Fu lei a rendere il prodotto sopoportabile...”
(I.Bergman dal suo libro-diario Immagini)
Dall'altra parte i tre personaggi maschili: come al solito poco trasparenti, poco chiari (o lo sono fin troppo?), poco leali, in una parola poco positivi.Ovviamente, ognuno visto attraverso i suoi problematici rapporti con Karin. Rispettivamente: moglie, figlia, sorella.
A testimonianza ulteriore di una presunta misantropia di Bergman, molte volte invocata da alcuni critici.
I temi trattati da Bergman sono quelli classici della sua filmografia:
la ricerca di Dio; la malattia mentale; l'unità famigliare; il fine dell'arte; il (tentativo di) raggiungimento dell'infinito e della trascendenza; il senso del dolore; la (difficile) gestione dei rapporti interfamigliari e interpersonali.
Ci piace riportare, traendole direttamente dalla sceneggiatura, alcune eloquenti frasi pronunciate dai protagonisti nel corso del film.
1) Il racconto di un sogno della schizofrenica Karin:
“Mi trovo in un ambiente enorme. Tutto è illuminato e tranquillo. Diverse persone vanno avanti e indietro e quando mi rivolgono la parola le capisco. Tutto è splendido e io sono serena. Alcuni volti irradiano attorno una luce quasi abbagliante. Tutti aspettano lui che deve arrivare, ma senza nessuna ansia. E dicono che io devo essere presente quando tutto ciò avverrà... A volte provo un'ansia irrefrenabile, un desiderio violento del momento in cui la porta si aprirà e tutti si volgeranno verso di lui che si fa avanti... Credo che sia Dio, che sia Dio stesso che debba apparirci... Dio scende dalla montagna attraverso il bosco tenebroso mentre intorno le fiere guardano nel silenzio. Dev'essere la realtà. Io non sogno e quello che dico è vero. A volte mi trovo in questo mondo e a volte nell'altro senza che io possa impedirlo.”
2) Karin che si rivolge al fratello Minus:
“Siamo così indifesi a volte. Come bambini che si sono perduti in luoghi deserti. Le civette gridano e fissano con i loro occhi gialli. Senti un fruscio sommesso e un cauto mormorio attorno a te e un ansimare leggero di umidi musi e poi le zanne dei lupi.”
3) Un incubo della schizofrenica Karin:
“Ho avuto paura. La porta si è dischiusa, ma il Dio che è entrato era solo un ragno. Si è avvicinato a me e io l'ho visto in faccia: un viso ripugnante e gelido. Si è lanciato su di me, voleva possedermi ma io mi sono difesa. Vedevo continuamente i suoi occhi così freddi e calmi. Non è riuscito a penetrare in me, così ha strisciato sul mio petto e se ne è andato su per la parete. Ho visto Dio.”
4) Minus che, nel finale del film si rivolge felice e speranzoso alla sorella Karin:
“Papà ha parlato con me!”
I CRITICI SUL FILM
Molto interessante quello che, all'epoca, scrissero sul film due tra i maggiori critici cinematografici italiani.
Guglielmo Biraghi:
“Il grande regista svedese ha ormai nelle sue immagini un tale grado di concentrazione espressiva che non gli è più necessario, per descrivere fenomeni o sensazioni paranormali, ricorrere ogni tanto al surrealismo o all'epressionismo, come per esempio ne Il volto e Il posto delle fragole”
Gian Luigi Rondi:
“Pur essendo spesso vicino al trattato di Teologia e di filosofia rivela un tale senso vivo del cinema e una tale matura sapienza figurativa da lasciare lo spettatore abbacinato:anche se, spesso, intimidito. Con uno stile che qua e là può sembrare indulgente verso taluni risvolti letterari, con immagini nere e grigie alla Dreyer, riesce con pochi essenzilissimi accenni a creare un clima drammatico teso a volte fino al parossismo, sfiorando argomenti anche scabrosissimi (quali, ad esempio, l'incesto) con perfettissima purezza.”
CONCLUSIONI
“È un inventario prima della svendita. ... la mia intenzione era di descrivere un caso di isterismo religioso” (Ingmar Bergman nel suo libro-diario Immagini
Uno dei film più angosciosi e sconvolgenti sulla follia.
Ancora una volta co-artefice del capolavoro bergmaniano Sven Nyquist e la sua meravigliosa fotografia in bianco&nero, ma a ...colori.
Oscar 1962 per il miglior film straniero.