C'è una illustrazione, in una edizione dei racconti di E.T.A. Hoffman, che mi si è spesso ripresentata alla memoria. L'immagine è presa dallo Schiaccianoci. Ci sono due bambini rannicchiati alla penombra, la vigilia di Natale, e aspettano che venga acceso l'albero e che siano aperte le porte della sala. Di qui presi lo spunto per la festa natalizia con cui comincia Fanny e Alexander”.
(Ingmar Bergman, dal suo libro-diario: Immagini).
In questa confessione del Maestro sono raccolti tutti gli elementi attraverso i quali potremo accedere alla esatta, profonda, totale comprensione del suo capolavoro:
la memoria;
i bambini;
la penombra;
la festa pre-natalizia;
la sala.
Vedendo un qualsiasi film di Bergman si riceve la netta sensazione di non essere assolutamente certi che si stia assistendo ad una storia reale, piuttosto che trovarsi all'interno di un sogno.
Questa sensazione deriva direttamente dalla constatazione della spiccata tendenza di Bergman a miscelare continuamente i connotati della realtà con quelli del sogno.
Anzi, si può dire che, per lui la vita è un sogno e i sogni sono la vita.
Come del resto, ampiamente testimoniato da ciò che lui stesso amava ripetere e scrivere a proposito della stretta relazione tra film e i sogni:
"Film come sogni, film come musica. Nessun'arte passa la nostra coscienza come il cinema, che va diretto alle nostre sensazioni, fino nel profondo, nelle stanze scure della nostra anima”.
(da Lanterna Magica, autobiografia).
Oppure, ancora a proposito di sogni...
"I sogni riescono a dirmi molte cose, non in senso freudiano, ma in un senso totalmente umano."
E sempre, a proposito di sogni:
"...Quando ero più giovane e dormivo bene, ero tormentato da sogni ripugnanti: assassinii, torture, soffocamenti, incesti, distruzione, collera folle. Nei giorni della mia vecchiaia i sogni sono sfuggenti ma benigni, spesso consolanti."
E infine, a proposito di ciò che lui cerca al di là della ...realtà:
"Quando si tratta di film, voglio essere me stesso... penetrare nei segreti che si trovano dietro le pareti della realtà”.
La sensazione di cui rendevamo conto appare ancora più netta assistendo ad alcuni dei film del Maestro e si fa ancora più netta, quasi aggressiva, assistendo a “Fanny e Alexander”: film che non è altro che un'autobiografia sotto forma di sogno o sognata; un grande affresco, nel quale più di cinquanta personaggi si muovono in una realtà che, quasi distorta dal ricordo, finisce per diventare sogno.
Quella situazione spazio-temporale che gli antichi popoli latini definivano: imago, parola che, non ha esatti corrispettivi di significato nella nostra lingua, risultando difficilmente traducibile in italiano con termini adeguati a riportarne la stessa complessità e le stesse sfumature.
Il film in oggetto, probabilmente è l'ultimo grande capolavoro del Genio di Uppsala.
Sebbene non sia in assoluto l'ultimo film di Bergman, ma sia stato seguito da altri lavori, sia per il cinema che per la TV, da molti fu considerato, in effetti il “canto del cigno” del grande cineasta svedese, probabilmente il più grande di sempre.
Comunque il suo vero, ultimo, importante testamento spirituale e artistico.
Il film, pubblicato in due versioni diverse per lunghezza, durata e montaggio, è diviso idealmente in 5 capitoli:
1) il Natale;
2) il fantasma;
3) il commiato;
4) i fatti dell'estate;
5) demoni.
Più un breve prologo e un lungo epilogo.
Fanny e Alexander è un film sontuoso: nella durata; nella quantità di personaggi, nella qualità degli attori; nella fotografia; nella complessità della trama; nella varietà dei temi trattati; nei costumi; nella scenografia; nell'ambientazione; nella sceneggiatura.
E' una grande saga familiare.
La storia della famiglia Ekdahl di Uppsala, tra il Natale del 1907 e la primavera del 1909.
Animato da una sessantina di personaggi, divisi in quattro gruppi, che passano attraverso la frequentazione e l'abitazione di tre case diverse.
Mette a fuoco tre temi centrali: l'arte (il teatro); la religione; la magia.
Si diceva che esso rappresenta il congedo artistico del Bergman uomo di cinema, ed è anche una accorata dichiarazione d'amore alla vita.
E, come la vita, offre allo spettatore molte facce: commedia, dramma, pochade, tragedia.
Il film può essere letto secondo varie chiavi di lettura anche perché, secondo la definizione dello stesso autore: "è ...un arazzo, un'immensa tappezzeria dove ognuno può scegliere cosa vuol vedere."
Alterna sapientemente: riti familiari (lo splendido capitolo iniziale); strazianti liti coniugali che sembrano estratte dalle pieces di Strindberg; cupi conflitti di tetraggine luterana che rimandano all'arte espressionistica e visionaria di Dreyer; colpi di scena da feilleton, quadretti idilliaci, intermezzi di allegra sensualità, impennate fantastiche, magie, trucchi, morti che risorgono.
Insomma, un film “dove tutto può accadere” e dove, in effetti, tutto accade.
Compendio di trent'anni di cinema all'insegna di un altissima arte narrativa.
Girato in una doppia versione, una per la TV, lunga 6 ore, e riproposta in puntate della durata di un'ora e mezza, esaustiva e fluviale; una più corta, della durata di poco più di tre ore, per il cinema, criticata da più parti per la “scomparsa” di alcuni personaggi e per il montaggio apparso a molti frettoloso e tutt'altro che inappuntabile.
Tale versione fu, in effetti, il risultato di un montaggio, elaborato dallo stesso Bergman coadiuvato dalla sua tecnica di fiducia Silvia Ingemarsson, e che avrebbe dovuto ridurre il materiale ad un film di un'ora e mezza, ma che invece, con grande stupore del Maestro - che pretendeva di avere un grande “senso del tempo” - produsse una pellicola lunga ben quattro ore.
"Non c'era altro da fare che ricominciare daccapo. Adesso, con mio disgusto, ero costretto a tagliare i nervi vitali del film. Sapevo che ad ogni taglio la mia opera peggiorava. Giungemmo, allora, a un compromesso, per una durata finale di tre ore e otto minuti”,
(Dal libro-diario, Immagini)
Trama
Fanny ed Alexander sono due giovani, sorella e fratello, i virgulti della famiglia Eckdhal.
Attraverso i loro occhi Ingmar Bergman tratteggia anzi, affresca, la lunga saga familiare di una famiglia borghese che risiede in una città della provincia svedese, gli Ekdhal, i cui componenti fanno esplicito riferimento alla figura centrale, matriarcale, della nonna Elena, forte e saggia, che in gioventù è stata attrice. (Guarda caso).
La famiglia, ma più in generale il mondo intero, sono osservati con gli occhi innocenti e visionari proprio dei due bambini:
Fanny e Alexander, figli di oscar, direttore del teatro locale. (Guarda caso).
Gli zii Gustaf Adolf e Carl, con le rispettive mogli, completano la cerchia familiare più stretta.
Ma i personaggi che ricoprono ruoli più o meni importanti sono una sessantina.
Quando la malattia provoca la morte di Oscar, la madre di Alexander, Emilie, trova conforto nella relegione e finirà per sposare Vergerus, un pastore protestante. (Guarda caso).
La vita di Fanny e Alexander subisce un brusco e radicale cambiamento: dalla dimora sontuosa e ricca di giochi e di divertimenti passeranno, e dovranno adattarvisi pure rapidamente, alla rigidità e all'austerità della vita quotidiana vissuta, quasi interamente, in canonica.
Alexander non ha più il teatrino di marionette col quale dava libero sfogo alla sua galoppante fantasia.
Così non gli resta che trarre spunto dalle vicende del mondo reale e dalla vita nella canonica, in cui è avvenuto un fatto tragico poco prima del loro arrivo e di cui trae la sua libera e, se vogliamo, ingenua, puerile interpretazione.
La fantasia e la realtà si fondono e si confondono in Aleander, scatenando l'ira incontrollata, e apparentemente ingiustificata, del pastore.
Fanny e Alexander sono ora prigionieri nella canonica, tanto che la nonna si vedrà costretta ad organizzare, con l'aiuto del suo amante ebreo, il rapimento dei bambini.
Nella notte in cui è nascosto nel magazzino del rigattiere ebreo, Alexander con le sue visioni si interroga sul mistero insondabile della vita e della morte.
Ed infine giunge l'agognata ma insperata liberazione, con la morte accidentale del vescovo, vittima di un incendio scoppiato in casa mentre dorme.
La zia Elsa rovescerà la lanterna a petrolio che lo stesso Vergerus aveva messo accanto al letto per far luce nel buio della notte, s'incendierà i vestiti e, correndo per tutta la casa, appiccherà il fuoco ovunque.
Alle vicende di Fanny e Alexander s'intrecciano quelle personali degli zii Gustav Adolf e Carl.
Il finale, struggente e significativo, è tutto incentrato sulle parole della nonna Helena che comincia a leggere una storia per Alexander, che ha appoggiato la testa sul suo grembo.
«Tutto può accadere, tutto è possibile e verosimile. Il tempo e lo spazio non esistono, l'immaginazione fila e tesse nuovi disegni.»
Analisi del film: connotazioni autobiografiche
Il film è fortemente, ma anche volutamente, autobiografico.
Ingmar Bergman ricostruisce, con la consueta precisione e il solito amore, le grandi stanze della sua casa di Uppsala e le riempie con tutto il loro contenuto originario.
Finanche i posti nei quali il regista da bambino si nascondeva dopo i frequenti, quasi quotidiani, litigi col padre, e anche quelli dove il padre lo rinchiudeva per punizione - automatica conseguenza di ogni sua trasgressione - sono ricreati con memoria certosina.
Alexander Eckdhal è, dunque, Ingmar Bergman stesso, da bambino.
E Bergman attinge a piene mani ai ricordi della sua infanzia, alla quale appare saldamente ancorato.
Del resto, sostiene lui stesso:
..."Sono profondamente fissato alla mia infanzia. Alcune impressioni sono estremamente vivaci: la luce, l'odore, tutto. Ci sono momenti in cui posso vagare attraverso i paesaggi della mia infanzia, attraverso le camere, abitate molto tempo fa. Ricordo come sono stati arredati; le immagini appese alle pareti; il modo in cui la luce cadeva. È tutto come in un film. Da pochi frammenti di un film, che ho impostato, ed è in esecuzione, posso ricostruire tutto nei minimi dettagli. L'unica cosa che non posso ricrearne è l'odore".
E ancora:
...“In realtà io vivo continuamente nella mia infanzia: giro negli appartamenti in penombra, passeggio per le vie silenziose di Uppsala, e mi fermo davanti alla Sommarhuset ad ascoltare l'enorme betulla a due tronchi, mi sposto con la velocità di secondi, e abito sempre nel mio sogno: di tanto in tanto, faccio una piccola visita alla realtà.”
Degli altri personaggi centrali nel plot del film:
Helena, è la nonna tanto amata dal regista, ma che rappresenta anche la mamma ideale, che Ingmar avrebbe tanto voluto avere.
Il pastore Vergérus, (solo l'ultimo di una lunga "stirpe" di Vergerus dopo quelli de: Il volto; L'uovo di serpente; L'adultera) rigido e punitivo, con la sua cattiveria, rappresenta il vero padre di Bergman, quel padre-padrone che tanto lo ha oppresso e dal cui fantasma non è mai riuscito a liberarsi definitivamente.
Alla fine del film, dopo la morte seguita all'incendio accidentale della canonica, il fantasma di Vergérus rivolto proprio ad Alexander, ancora una ma, stavolta, per l'ultima volta lo minaccerà, dicendogli:
"Non ti libererai di me.”
Oscar, l'amante ebreo della nonna, rappresenta, invece, il padre che Bergman avrebbe voluto avere, con la sua grande carica di umanità e la sconfinata passione per il teatro.
Cultore di scienze occulte a tempo perso e con l'hobby della magia a fin di bene.
ALTRI TEMI TRATTATI
Il film riprende molti dei temi cari a Bergman.
A parte il tema dell'autobiografismo e del rapporto tra sogno e realtà (di cui abbiamo già trattato) che, forse restano i due centrali e i più rilevanti dell'intero film, sono presenti:
il tema pirandelliano del rapporto tra realtà e finzione;
il tema strindberghiano del rapporto tra vita e scena;
Il tema della maschera;
Il tema della vita e della morte;
Il tema della trascendenza;
il tema dei rapporti familiari forzati;
il tema dei rapporti fra i sessi;
il tema della sessualità.
A proposito degli attori-interpreti del suo film, tutti assolutamente superbi e abituè delle sue scene, Bergman scrisse nella sua biografia:
«C'è una soddisfazione quasi sensuale nel lavorare a contatto con persone forti, autonome e creative... Mi capita di provare una forte nostalgia di tutto e di tutti. Capisco quel che intende dire Fellini quando afferma che il Cinema è per lui un modo di vivere... A volte è una particolare fortuna essere regista cinematografico.»
Grande importanza Bergman attribuisce alla Fotografia che anche qui, come in molti altri capolavori precedenti, è firmata dal grande, inarrivabile, pluripremiato Sven Nyquist.
Il risultato, inutile dirlo, è eccezionale, come in tutti gli altri film del Maestro, del resto.
Quì Bergman usa il colore con assoluta maestria, alternando il rosso, per le scene che riguardano la famiglia, al grigio (bianco e nero) per dipingere la freddezza e la rigidità della casa del Vescovo Vergerus.
Come pure risulta importante l'uso dei suoni e, soprattutto, della musica.
La colonna sonora riporta in modo funzionale brani del Notturno di Chopin op. 27 n. 1, le Suites per violoncello, op. 72, 80 e 87, di Britten e del Quintetto per Pianoforte di Schumann.
Premi
Il film vinse 4 premi Oscar, su 6 nominations ricevute.
Miglior film straniero, migliore fotografia, migliore scenografia e migliori costumi): un primato per un film di lingua non inglese.
Ma, le candidature per il premio al Miglior Regista e alla Migliore Sceneggiatura Originale, entrambe riferite, naturalmente, a Bergman, non furono coronate da successo.
Negando, così, al regista l'ultima possibilità di ricevere, e - riteniamo - assai meritatamente, una statuetta personale per una sua opera.
Chiusura
Sulla solida base dell'insegnamento di due grandissimi, della letteratura e del teatro, che Bergman non ha mai fatto mistero di considerare, oltre che maestri e modelli, veri e propri ispiratori della sua poetica (Marcel Proust, secondo cui: “la realtà non si forma che nella memoria” e August Strindbergh per il quale l'autobiografismo va considerato l'unica forma valida di letteratura) non poteva che costruirsi il solido principio ispiratore di tutto il film:
l'infanzia, ...”un mondo perduto di luci, profumi, suoni”, va ricordata e rivissuta, per poter essere conservata per sempre.
Con buona pace degli Immemori.
Tutti quelli che dimenticano, troppo facilmente, di essere stati bambini.
Vale la pena di ricordare che l'intera filmografia del Maestro trae la sua ispirazione dall'inesauribile filone individuato nella sua fanciullezza, felice o triste che fosse stata.
Dal vissuto di quello stadio iniziale dell'esitenza dell'uomo, ingenuo ma nevralgico; (forse) formalmente semplice ma sostanzialmente complesso; Bergman ha saputo ricavare film che sono divenuti capolavori immortali.
"L'infanzia è sempre stata la mia principale fornitrice”.
(Dal suo libro-diario Immagini)