Appunti sull’invisibile e su Marosia Castaldi

Creato il 09 dicembre 2013 da Vivianascarinci

DIC 9

Pubblicato da Viviana Scarinci

Amelie bianca di luce e nera di tenebre come una creatura che non era solo terrena eppure Amelie era terra mondo gatto animale creatura col marchio dell’eternità e del caos in cui tutto si metamorfizza e la materia diventa uomo animale terra tenebra luce e tutto esiste nello splendore delle cose che esistono anche senza essere guardate creatura estrema nella casa diabolica angelica insieme Amelie è il gatto è una creatura estrema è terra animale mondo donna creatura di gelo di tenebra e di luce figlia di caos e di armonia di penuria e ricchezza tenebra e luce ha il marchio del caos in cui tutto si metamorfizza e la materia diventa uomo materia terra animale tenebra e tutto esiste con la potenza delle cose che esistono senza essere guardate
Marosia Castaldi

Sono molto impressionata dalla lettura di un libro. Si tratta de La donna che aveva visioni di Marosia Castaldi. Dovrei astenermi dallo scriverne ora perché non ho ancora terminato la lettura ma da un incrocio fortuito di questo testo con un altro che sto leggendo contemporaneamente, mi pare si siano schiuse delle riflessioni che voglio condividere qui. Lo faccio come somministrando un rito rivolto a questo spazio, un buon auspicio rispetto all’inizio di un lavoro di scrittura cui sto pensando da questa estate, qualcosa di meno frammentario e più ambizioso di quanto ho scritto fino qui e di cui vorrei che La diaria desse conto sia rispetto ai libri che leggo e leggerò per scrivere il mio, sia riguardo quelle aperture di senso inaspettate che conducono la scrittura molto di più delle decisioni prese a tavolino. L’incrocio di cui sopra riguarda l’ultimo libro di Marosia Castaldi e un libro dell’antropologa Ida Magli Il mulino di Ofelia comprato molto tempo fa e mai intrapreso fino alla settimana scorsa. Il libro di Castaldi invece è uscito da relativamente poco tempo, marzo 2013, ed è un lavoro che viene presentato da Barbera Editore come fosse un romanzo ma a mio avviso non lo è per molti e diversi motivi su cui tornerò quando avrò terminato di leggere. Per ora basti dire che questa ultima scrittura di Castaldi si basa sulla ripetizione di certe porzioni di testo nell’ambito di una narrazione non lineare, con lo stesso scopo, parrebbe, secondo cui i culti misterici ripetevano il cuore del sacrificio rappresentando all’infinito la storia del dio cui erano votati. Così fa Castaldi ripetendo più volte nell’ambito del testo delle porzioni di prosa che hanno un’intensità poetica notevole e allo stesso tempo profondamente benefica, e ciò partendo dal semplice assunto secondo cui “le cose che esistono senza essere guardate” godono di una luce molto speciale. Questo modo di intendere, posto come lo pone Castaldi, fa pensare a una qualità ulteriore di quegli oggetti la cui fascinosa indipendenza rispetto alla possibilità di essere visti oltre la misura del limite dei nostri sensi, li include in una visione sospesa in mancanza di relazioni congrue con noi. Come se la possibile scomparsa dalla vita di cose e persone non avesse alcun potere, le visioni di questo libro godono tutte dello stesso candore lussureggiante di cui gli oggetti e non noi, erano portatori prima che restassero delusi, inquinati dal nostro sentimento remissivo nel considerarli un semplice corollario dei nostri fatti personali. Mi è venuta in mente a questo punto una frase di Ida Magli letta e sottolineata appena qualche ora prima del brano riportato in apertura di questo post  “La povertà del linguaggio è anch’essa una prova del nascondimento, del mistero, al quale fa riferimento il potere per esercitare al massimo la sua potenza”. Secondo il mio sentire la smania più intollerabile da cui il linguaggio poetico nasce coincide con una coazione alla nomina rispetto l’incomprensibilità della relazione che c’è tra gli oggetti visibili e invisibili e ciò proprio per via della terrebile costatazione di questa povertà del linguaggio umano che scrive Magli. Se è vero come scrive ancora Ida Magli che la religione è lo sconfinato sistema inventato dagli uomini per spiegare la morte in modo funzionale alla detenzione di un potere, di contro la poesia non potrà che essere un’articolazione collaterale che smentendo questo potere, afferma la sua potenza conoscitiva per mezzo di una mantica allusiva e alterna talvolta fallace talvolta fatale che trova nella ripetizione e senza mai spostarsi dal suo tempo interiore, il ritorno infinito dell’alternanza ritmica che sta alla base di tutto quanto è umanamente percepibile. Alternanza che Castaldi rappresenta nella concentricità della sua prosa poetica mettendo vivi e morti nella stessa battaglia a perdere in partenza contro qualsiasi cosa rappresenti un potere terreno. Il potere scrive Ida Magli è pura meccanica proiettiva. Il mondo visibile, ossia l’esterno, tutto l’esterno che si erge dal confine della nostra pelle in poi è ciò di cui non ci libereremo mai, pure che ci sfugga o che per quanto visibile non lo si veda affatto. Sappiamo come ciò ci rende vulnerabili e bisognosi di una qualche religione. Il potere di una religione come istituto umano, nel suo qualunque personificarsi  fa leva sulla trascendenza per dare luogo a quell’ingerenza necessara a qualsiasi cosa sia funzionale a un dominio, un luogo da estendere al di fuori, un fuori che è il mondo intorno a noi, intorno al nostro corpo, rendendo il terreno a noi limitrofo carico della potenza di quei simboli più o meno trascendenti che provengono da una matrice più spesso maschile che femminile, dalla matrice di Lui “l’Assassino, il Maestro, l’Invisibile, colui che accende e spegne la luce degli universi e mondi” ad esempio, come scrive Castaldi nella più alta di tutte le sue ripetizioni in cui la morte, che è semplicemente ciò che dà inizio al tempo lineare con un’interruzione, qui in questa sua incredibile prosa, non è contemplata, se non mischiata alla vita e alle cose che tutte insieme nascono da una religione che per una volta, grazie a Marosia Castaldi, recede dalla voglia di trascendere il mondo visibile e invisibile, impugnando la morte come strumento di potere.

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