Arabia Felix e Arabia Petrea, se le sono inventate gli antichi romani. L’Arabia Felice correva lungo il Mar Rosso da Jeddah e Makkah giù fino allo Yemen, l’antico regno della Regina di Saba ai tempi in cui il Sultano dell’Oman dominava l’Oceano Indiano e decideva di piazzare la sua capitale a Zanzibar. L’Arabia Pietrosa serpeggiava tra le montagne del Levante, dai confini dell’Egitto per la penisola del Sinai attraverso Libano, Palestina, Siria, Giordania e da qualche tempo, a torto o a ragione, Israele. Su e giù tra terre difficili, ostili e profonde. Dove è nato l’uomo, da cui sono sorte civiltà, nazioni, eroi, miti e religioni. Tutto il resto - l’immenso resto - era Terra Nullius, deserto inaccessibile, natura ostile, spazio proibito, Quarto Vuoto, enorme distesa di sabbia d'Arabia, dune, cammelli, filiformi carovane beduine, mera nozione sulla carta geografica, distanza sconosciuta, mito e leggenda. Poi Suleyman il Magnifico l’ha riunita sotto il regno Ottomano e tre secoli dopo gli Inglesi l’hanno ri-colonizzata, resettata, ricondizionata. Adesso la notte nel qui non planano più tappeti volanti ne’ geni delle lampade e tantomeno vola il Profeta (PBUH) su Buraq il cavallo alato. Oggi sono aerei carichi di businessmen e sotto alti fuochi di pozzi di petrolio. Ma i moderni uomini del deserto continuano a vestire kandura, a ritenere ineducato calpestare l’ombra di un uomo, a considerare ostile una stretta di mano troppo vigorosa e l’ospitalità araba rimane leggendaria dentro una tenda di pelli di capra o nel lusso sfrenato del Burj Al Arab. Le scimitarre tagliano ancora le teste e la Shari’a, anche quando non è più applicata direttamente, resta pur sempre alla base della cultura e regola la vita di tutti i giorni in una società dove non esiste una vera e propria separazione tra temporale e spirituale. Il nuovo che avanza per il momento si ferma alle donne che vivono vite separate dietro ai loro veli e dentro le loro abbaya. E’ una contrazione dello spazio e del tempo in equilibrio tra oppressione e poesia. Per quello che mi concerne non ne faccio questioni di merito: semplicemente qui è così.
Arabia Felix e Arabia Petrea, se le sono inventate gli antichi romani. L’Arabia Felice correva lungo il Mar Rosso da Jeddah e Makkah giù fino allo Yemen, l’antico regno della Regina di Saba ai tempi in cui il Sultano dell’Oman dominava l’Oceano Indiano e decideva di piazzare la sua capitale a Zanzibar. L’Arabia Pietrosa serpeggiava tra le montagne del Levante, dai confini dell’Egitto per la penisola del Sinai attraverso Libano, Palestina, Siria, Giordania e da qualche tempo, a torto o a ragione, Israele. Su e giù tra terre difficili, ostili e profonde. Dove è nato l’uomo, da cui sono sorte civiltà, nazioni, eroi, miti e religioni. Tutto il resto - l’immenso resto - era Terra Nullius, deserto inaccessibile, natura ostile, spazio proibito, Quarto Vuoto, enorme distesa di sabbia d'Arabia, dune, cammelli, filiformi carovane beduine, mera nozione sulla carta geografica, distanza sconosciuta, mito e leggenda. Poi Suleyman il Magnifico l’ha riunita sotto il regno Ottomano e tre secoli dopo gli Inglesi l’hanno ri-colonizzata, resettata, ricondizionata. Adesso la notte nel qui non planano più tappeti volanti ne’ geni delle lampade e tantomeno vola il Profeta (PBUH) su Buraq il cavallo alato. Oggi sono aerei carichi di businessmen e sotto alti fuochi di pozzi di petrolio. Ma i moderni uomini del deserto continuano a vestire kandura, a ritenere ineducato calpestare l’ombra di un uomo, a considerare ostile una stretta di mano troppo vigorosa e l’ospitalità araba rimane leggendaria dentro una tenda di pelli di capra o nel lusso sfrenato del Burj Al Arab. Le scimitarre tagliano ancora le teste e la Shari’a, anche quando non è più applicata direttamente, resta pur sempre alla base della cultura e regola la vita di tutti i giorni in una società dove non esiste una vera e propria separazione tra temporale e spirituale. Il nuovo che avanza per il momento si ferma alle donne che vivono vite separate dietro ai loro veli e dentro le loro abbaya. E’ una contrazione dello spazio e del tempo in equilibrio tra oppressione e poesia. Per quello che mi concerne non ne faccio questioni di merito: semplicemente qui è così.
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