Gabellato come nuovo full, Arc è composto da tre tracce di una decina di minuti circa ciascuna orientate esattamente sulla roba che va di moda ora tra i trentenni iommisti fattoni che vanno al Roadburn e hanno un debole per il suono di New Orleans, target di mercato nel quale mi riconosco a pieno titolo, figuratevi. Il punto è che di ‘sta roba ne esce talmente tanta, e con un livello qualitativo medio rispettabile, che mi frega poco di ascoltarla dagli Agoraphobic Nosebleed. Mi sento direttamente i Down, anche se adesso ai festival europei non me li posso vedere perché Phil Anselmo ha fatto il saluto romano. Not a daughter inizia con un riff alla Crowbar e prosegue con armonizzazioni sabbathiane. Tutto molto bello, per carità. Però non mi lascia niente. Deathbed e Gnaw sono sludge a stelle e strisce standard, genere inflazionato in maniera pericolosa già da troppo tempo. E non c’è nulla di pazzoide, malato, disturbante, tutti aggettivi ai quali ti aspetteresti di poter ricorrere in un articolo sugli Agoraphobic Nosebleed. I Weedeater pezzi così li scriverebbero pure da lucidi. E, qualora ve lo steste chiedendo, no, il parallelismo con Natasha dei Pig Destroyer (sempre mezz’ora buttata su tempi lenti ma costituita da una traccia sola) invece non si può fare. Quello sì che era un fottutissimo incubo. L’unica spiegazione è che Scott abbia smesso con le droghe chimiche (cosa che i tre anni di silenzio pressoché totale potrebbero lasciar intuire) e sia passato alla marijuana. Deve ancora entrare bene nella dimensione, allora. (Ciccio Russo)