l’ hermitage diventa un luogo fuori dal tempo e dallo spazio(l’ arca russa del titolo) dove l’ impronta ectoplasmica della storia può essere vista dallo spettatore insieme a tutti i quadri presenti sulle pareti. giusto, i quadri. perchè c’è anche un pizzico di documentario che fa da collante dove cinema e teatro si scontrano su problematiche puramente pragmatiche: cosa faccio vedere allo spettatore mentre gli attori nella prossima inquadratura si preparano? i quadri appunto.
l’ intero film narra tre secoli di storia russa, che un po’ bisogna conoscerla altrimenti può risultare difficile seguire i dialoghi dei due “protagonisti” ( uno di essi altro non è che una voce fuori campo che funge da guida turistica per lo spettatore, a cui presta anche il suo punto di vista in soggettiva).
non so se lo avete capito ma qui stiamo parlando di un film molto tecnico. dove il termine “tecnico” non è ovviamente paragonabile al significato che attualmente ha in italia, chiaramente una maschera indossata da chi ha insegnato per una vita(superpagata) un mestiere che nella realtà poi non sa svolgere come millantava nelle aule universitarie. perchè alla fine i nodi vengono al pettine caro monti!
sokurov è un vero tecnico invece. anni di lavoro cinematografico per poi impegnarsi in una sfida che farebbe tremare qualsiasi regista attualmente vivente: accendere la telecamera digitale, spegnerla dopo un’ ora e mezza ed andare in sala proiezione senza passare dalla sala di montaggio.
ma ora la domanda sorge spontanea: c’è riuscito? ha spodestato orson welles dal trono del piano sequenza più importante della storia del cinema?
ehhhh cari miei, non sarò certo io a dirvelo. guardatevelo come ho fatto io, pigroni che non siete altro!