La civiltà nuragica è la principale espressione culturale della Sardegna protostorica, che occupa tutto l’arco temporale compreso tra la Media Età del Bronzo (apparentemente a partire da un momento non iniziale di tale periodo, intorno al 1600-1500 a.C.) e la fine della Prima Età del Ferro(circa 700 a.C.). La sua parabola evolutiva attraversò momenti di formazione, maturità, trasformazione e degenerazione, e naturalmente fu condizionata sia dai fili di continuità che dai fattori di cambiamento. La sua identità, compatta e nello stesso tempo cangiante nel tempo e nello spazio come un mosaico dai mille colori, sta proprio nel rapporto dialettico tra continuità e cambiamento. Semplificando in modo anche troppo schematico, la civiltà nuragica ci appare come un ciclo storico unitario, che interessa tutta la Sardegna e le sue isole minori e che si può suddividere in due grandi periodi: il primo è quello che vede la costruzione dei nuraghi, delle tombe collettive e dei primi insediamenti; il secondo è quello che, pur nella continuità dell’utilizzo dei nuraghi esistenti come centri di aggregazione del popolamento, vede la fine della loro elaborazione, e soprattutto vede la realizzazione dei grandi insediamenti, dei templi e dei santuari. A sua volta, ciascuno di questi due grandi periodi si può dividere in due fasi; quindi avremo la fase dei nuraghi arcaici (Bronzo Medio 2-3: circa 1600/1500-1500/1400 a.C.), la fase dei nuraghi classici (Bronzo Medio 3 e Bronzo Recente: circa 1500/1400-1200 a.C.), la fase della trasformazione (Bronzo Finale: circa 1200-900 a.C.) e la fase della crisi e dissoluzione (Prima età del Ferro: circa 900-700 a.C.).Secondo le più recenti ricerche, le origini della civiltà nuragica si impostano sui fattori di sviluppo che pian piano andarono trasformando le società di lignaggio del Bronzo Antico (cioè piccoli segmenti di parentela in cui gli individui si distinguono non per rango ma per ruolo e dunque per fattori contingenti come il sesso e l’età) nelle prime comunità tribali del Bronzo Medio iniziale, territorialmente stabili ed economicamente organizzate. Ma la comparsa dei nuraghi arcaici e delle contemporanee sepolture collettive megalitiche (tombe dei giganti) resta per noi un fatto dirompente, un salto di qualità ancora arduo da descrivere e spiegare. Dagli studi sui nuraghi emerge la sperimentazione e selezione dei modelli edilizi e il consolidamento del modello essenziale standardizzato, quello della torre troncoconica semplice con camera circolare coperta a falsa cupola, che si presta a straordinarie possibilità di aggregazione modulare così da dar vita a diverse forme di nuraghi complessi. Ma l’archeologia nuragica indaga sempre più gli sviluppi dei processi sociali che stanno alla base della diffusione capillare dei nuraghi: aggregazione e stabilizzazione dei nuclei abitativi, radicamento delle comunità umane nel territorio, formazione delle entità tribali e cantonali policentriche, emulazione e competizione fra comunità adiacenti e parzialmente concorrenti. Nelle tombe si esprime un culto degli antenati di carattere solidaristico e collettivistico, probabilmente anche accentuato rispetto ai cambiamenti già in atto nella vita reale, basato sulla forza dei rapporti di parentela che ancora governano le comunità nuragiche; così le tombe stesse si configurano ancor più dei nuraghi come marcatori territoriali con un esplicito significato simbolico di appartenenza. Inoltre, almeno nel Bronzo Recente compaiono i primi edifici di culto: pozzi, fonti, templi rettangolari e circolari.
La trasformazione che investe la Sardegna nel Bronzo Finale è tale da suggerire non un semplice adattamento a nuove condizioni ma piuttosto una sorta di rivoluzione e riorganizzazione sociale e culturale. Cessa la costruzione dei nuraghi e prende grande impulso l’espansione degli insediamenti; cessa anche la costruzione delle classiche “tombe dei giganti”, che sembrano lasciare il posto a diversi filoni di strutture funerarie collettive e anche individuali; contemporaneamente esplode il fenomeno rituale del culto dell’acqua, che prende avvio da pozzi e fonti già esistenti e porta alla creazione di santuari complessi e organizzati. Superato il disorientamento iniziale, probabilmente sotto la guida di élites emergenti, la civiltà nuragica riprende il cammino in una direzione del tutto nuova e in forme economicamente efficienti, tecnologicamente avanzate ed esteticamente brillanti, ma nello stesso tempo pone le premesse della futura crisi e degenerazione. Così, durante la prima età del Ferro, mentre nei santuari si continua a tesaurizzare beni di lusso di produzione locale e di importazione, e mentre bronzi e ceramiche vengono esportati e imitati in Etruria e in diverse altre regioni mediterranee, numerosi insediamenti vengono abbandonati, l’organizzazione territoriale si disgrega e quella economica perde competitività. Ormai le società cantonali policentriche dell’entroterra rurale hanno l’aspetto di piccoli stati embrionali già abortiti, senza città e senza apparati burocratici stabili; d’altra parte i navigatori, mercanti e artigiani di origine orientale sempre più radicati nel mondo occidentale, a noi noti come fenici, organizzano sistemi indipendenti e autosufficienti, con insediamenti proto urbani specializzati nel commercio e nelle produzioni artigianali e con insediamenti agricoli complementari ai primi, e attraggono nelle proprie orbite territoriali e politico-economiche gruppi sociali differenziati di origine locale che rapidamente si integrano con gli stranieri conservando solo alcuni richiami simbolici alla loro tradizione culturale dissolta. La crisi del mondo nuragico, iniziata fin dai tempi del suo massimo fulgore, si conclude rapidamente in un processo di assimilazione e perdita dell’identità culturale.
I luoghi del culto dell’acqua.Sulla base degli indicatori archeologici finora acquisiti, cioè i contesti di materiali recuperati con gli scavi e ordinati in serie evolutive, e col supporto delle datazioni assolute, sembra ormai accertato che gli edifici e i luoghi del culto dell’acqua compaiono almeno dal Bronzo Recente (circa 1350-1200 a. C.), ma si sviluppano soprattutto durante il Bronzo Finale (circa 1200-900 a. C.) e il Primo Ferro (circa 900-700 a. C.). Tuttavia, l’esaurimento della civiltà nuragica durante il periodo Orientalizzante (circa 700-600 a. C.) e l’assimilazione degli aspetti di cultura materiale alle forme esteriori delle civiltà punica e romana non segnarono la fine delle tradizioni religiose insulari; anzi, il culto dell’acqua proseguì nei secoli fino all’epoca paleocristiana ed oltre, con manifestazioni di sincretismo ideologico e rituale imperniate su chiese edificate sopra o in prossimità di sorgenti e pozzi.La frequentazione rituale delle grotte affonda le radici nei tempi più remoti delle culture prenuragiche, con manifestazioni legate al culto dei morti. Nei tempi maturi, avanzati e tardivi della civiltà nuragica, il culto dell’acqua si rivela nella grotta Pirosu di Santadi, dove un imponente deposito di ceramiche e manufatti metallici era connesso con grandi cumuli di cenere e carbone e con una stalagmite ipoteticamente interpretata come altare. Ciò suggerisce lo svolgimento di riti dedicatori,in cui i manufatti venivano offerti a un qualche spirito o persona divina col fuoco ma anche con l’acqua, dal momento che i vasi si presentano in gran parte inglobati dalla crosta calcitica ed erano quindi sottoposti allo stillicidio. Notizie più parziali si hanno sulla “Grutta ‘e is Caombus” di Morgongiori, dove una lunga scala a gradini (di cui due ornati da bozze mammillari) richiama l’architettura e la decorazione simbolica dei pozzi sacri. Le fonti, spesso annesse agli insediamenti, sorgono in corrispondenza di sorgenti naturali, probabilmente allo scopo di agevolare l’approvvigionamento idrico per funzioni domestiche e solo in un secondo momento per funzioni rituali. Lo stesso investimento di risorse nel progetto edilizio, secondo un modulo monumentale ridotto rispetto ai nuraghi e alle tombe megalitiche ma comunque rilevante, segna un momento importante di sviluppo degli abitati, ora chiaramente percepiti come permanenti, ma nello stesso tempo si presta a dar luogo ad atti cerimoniali. D’altra parte la prossimità agli insediamenti, spesso occupati anche in fasi storiche successive, insieme alla mancanza di manutenzione e all’accumulo di depositi di crollo, ha determinato la frequente alterazione o addirittura lo smembramento delle fonti nuragiche per un più agevole accesso all’acqua sorgiva. Generalmente le fonti sono costituite da strutture semiellittiche con un vano o atrio rettangolare ricavato nella parte anteriore e una cameretta rotonda coperta a falsa cupola in quella posteriore; l’acqua, convogliata attraverso percorsi naturali o vere e proprie condotte artificiali, sgorga nella bronzee e affiancata da un altare in forma di torre nuragica, che suggerisce l’utilizzo di acqua o di altri liquidi. Invece l’edificio circolare di Gremanu di Fonni, pertinente a un santuario connesso con un sistema di pozzi e fonti, è in struttura poliedrica ma risulta suddiviso internamente in due vani da un muro composto da blocchetti squadrati, ornato con protomi d’ariete e sovrastato da spade votive. Infine, a Sa Carcaredda di Villagrande è stato posto in luce un edificio circolare con lungo vestibolo, accanto al quale sorge un edificio rettangolare con tre ingressi sulla fronte, probabilmente utilizzato come ripostiglio di oggetti votivi.4. Culto domestico, locale, tribale e intertribale. Si è già fatto cenno dei piccoli vani circolari con sedile alle pareti e bacile rotondo centrale, co-me sedi di un possibile culto domestico. La presenza di questi vani in diverse case dell’insediamento di Su Nuraxi di Barùmini suggerisce che le pratiche che vi si svolgevano fossero ampiamente diffuse e profondamente sentite da tutte o quasi tutte le famiglie che lo abitatavano, senza contraddistinguerne una rispetto alle altre. Nelle fonti, soprattutto in quelle strettamente connesse con gli abitati (Mitza Pìdighi di Solarussa, Noddule di Nùoro, Su Pradu di Orune, Mont’e Nuxi di Esterzili ecc.), la funzione rituale sembra ac-cessoria rispetto a quella primaria legata all’approvvigionamento idrico. Almeno nel caso di Solarussa, lo svolgimento di pratiche rituali è fortemente indiziato dal deposito ceramico, cioè dall’accumulo di vasi rotti e incompleti, forse a seguito di frammentazione intenzionale; tra i conte-nitori si trovano anche rari vasetti miniaturistici, di improbabile funzione utilitaria e di verosimile significato votivo. Questi fatti, insieme alla totale assenza di manufatti votivi bronzei, suggeriscono che le ipotizzate cerimonie dedicatorie avessero carattere strettamente locale, cioè che fossero connesse con la vita delle comunità insediate negli abitati cui le fonti stesse appartenevano. Queste osservazioni potrebbero essere estese al pozzo sacro di Su Putzu di Orroli, ai due templi a mègaron di Serra Òrrios di Dorgali e a quello di Orconale di Norbello, inclusi in insediamenti di evidente natura abitativa senza espliciti caratteri cultuali. Vi sono anche fonti, come Funtanarcu di Sédilo e Su Lumarzu di Bonorva, e pozzi sacri, come Is Pirois di Villaputzu, che sorgono apparentemente isolati, distanti dagli insediamenti e circondati da recinti e da poche altre strutture. Pur non potendosi definire santuari, questi complessi sembrano avere una funzione rituale prevalente rispetto a quella di approvvigionamento idrico, che poteva co-munque soddisfare le esigenze dell’economia rurale. Inoltre, la stessa posizione isolata caratterizza questi complessi come luoghi d’incontro tra frequentatori provenienti da diversi insediamenti, anche se probabilmente appartenenti allo stesso distretto cantonale e alla stessa comunità tribale. Invece la maggior parte dei pozzi sacri e dei templi a mègaron fanno parte, talora anche in gruppo o insieme a fonti e a edifici sacri d’altro genere, di complessi pianificati di carattere cultuale, veri e propri santuari di rilevanza tribale o anche intertribale (o federale).
In tutte le immagini: Su Tempiesu, Orune