Armati di mascherine protettive e avvolti in pesanti tute da lavoro, diversi archeologi egiziani e giapponesi sono scesi fino al fondo della cavità che, per 4.500 anni, ha ospitato una delle due barche solari del faraone Cheope (2579 a.C. – 2556 a.C.), ai piedi della sua piramide nella piana di Giza. Questa è la seconda delle due barche solari scoperte, quella che, a differenza della prima, venne lasciata nella sua fossa originaria e non fu all’epoca ricostruita. Si tratta di un vero e proprio rompicapo composto da 600 listoni di legno, che dopo essere stati estratti e restaurati, saranno di nuovo assemblati ed esposti al pubblico. Secondo quanto previsto dal team di ricerca, le operazioni di restauro e di assemblaggio dureranno circa
cinque anni.
Sempre secondo quanto ha dichiarato il generale del Consiglio Supremo delle Antichità egiziane, Mustafa Amin, il progetto sarà avviato il più presto possibile e ogni pezzo di legno sarà attentamente analizzato per trovare eventuali parti deteriorate. E secondo Amin la barca solare di Cheope è un oggetto meraviglioso la cui importanza si può paragonare a quella di una mummia, visto che è stata smontata di diversi pezzi, ognuno dei quali è stato trattato con prodotti per garantire loro la massima conservazione nel tempo.
Nonostante tutto, Amin ha anche precisato che i primi risultati delle ricerche hanno evidenziato che alcuni listoni di legno sono stati danneggiati dall’entrata dell’aria e dell’acqua mista a cemento utilizzata nel corso dei lavori di costruzione del museo che, a pochi metri dalla piramide, esibisce da una trentina di anni le prime navi, scoperte nel 1954. Le analisi condotte precedentemente, effettuare tramite la tecnologia dei raggi X, già avevano reso noto che i principali componenti del legno avevano già subito un severo deterioramento.
Accompagnate dall’abituale cerimonia di flash e di solenni dichiarazioni alla stampa, le autorità egiziane e il gruppo di ricerca archeologica dell’università giapponese di Waseda hanno inaugurato la terza fase di un progetto di restauro che è stato reso pubblico lo scorso giugno, quando con un primitivo sistema di funi e di carrucole si è iniziato a rimuovere i quarantun blocchi di 16 tonnellate di pietra calcarea che sigillavano una cavità scoperta nel 1954, ma a cui nessuno si era interessato più di tanto fino al 1987.
A partire da quell’anno, un gruppo asiatico di ricerca archeologica ha condotto ricerche sul perimetro utilizzando le onde elettromagnetiche, e ha scoperto la cavità nella terra che, qualche mese dopo, un’equipe di studiosi del National Geographic sono riusciti a penetrare con una piccolissima videocamera. Il vero e proprio inizio del progetto definitivo di recupero e di restauro, però, è iniziato solo nel 2008. Secondo l’archeologo di Waseda nonchè direttore dell’intera operazione, Sakuji Yoshimura, nel corso dei prossimi anni i listoni di legno saranno analizzati e restaurati, e ci sarà bisogno di almeno altri tre anni per ricomporre l’affascinante scheletro di una delle cinque navi che hanno accompagnato la vita ultraterrena del re Jufu, battezzato con il nome di Cheope dallo storico greco Erodoto e descritto come un crudelissimo tiranno che ha soggiogato la propria famiglia e il suo stesso popolo per erigere una delle sette meraviglie del mondo antico.
La fortuna delle barche solari non è stata identica per tutte. La prima, infatti, era formata da 651 pezzi distinti che l’archeologo egiziano Kamal el Mallaj impiegò tredici anni per assemblare. Misura 43.4 metri di lunghezza, 5.6 metri di larghezza e 1.5 metri di altezza. È stata costruita con legno di cedro originario del Libano e le tavole che compongono lo scafo sono unite tra di loro con delle corde.
Secondo Amin, la seconda imbarcazione è di dimensioni inferiori, quindi il suo assemblaggio richiederà un tempo inferiore, grazie anche alle nuove tecniche che sono state sperimentate e comprovate sul campo con la prima barca. Altre due imbarcazioni sono state rubate e la quinta non è ancora stata dissotterrata.
Assemblare tutti i pezzi per ricomporre la barca potrebbe anche portare maggiore chiarezza sullo scopo per cui sono state costruite. Alcuni archeologi, infatti, pensano che non si tratti di barche funerarie che avrebbero dovuto trasportare il corpo del faraone dalla città fino al luogo di sepoltura, ma di oggetti realizzati in onore di Ra, il dio del sole. Ancora, secondo Amin le barche potevano rappresentare anche solo uno sfoggio di ricchezza e di potere da parte del faraone, esattamente come avviene anche nel mondo moderno, dove personaggi importanti amano circondarsi di numerose auto e barche. In tutti i modi, l’origine delle barche rimane misteriosa tanto quanto la loro finalità.
Inizialmente si è pensato di esibire la barca al Gran Museo Egizio del Cairo, un progetto ‘faraonico’ che sta sorgendo presso la piramide di Giza e la cui inaugurazione è prevista intorno al 2015. Amin, però, propende per l’ipotesi di lasciarle dove sono state trovate. Nei luoghi a cui, fondamentalmente, appartengono.
Fonte: Archeorivista