Sono passati 41 anni da quando, nel Marzo del 1974, il sito di Monte Prama fu interessato dalle prime ricerche archeologiche. In questi decenni sono stati versati fiumi d’inchiostro sulla questione, a firma di archeologi, studiosi, politici e appassionati. Alte figure professionali si sono alternate in giudizi su come, quando e perché quella collina dell’oristanese, a metà strada fra l’antico insediamento portuale di Tharros e l’immenso nuraghe S’Uraki di San Vero Milis, un edificio poderoso che conta circa 15 torri fra cinta esterna e strutture interne, fu interessata quasi 3000 anni fa da una serie di interventi architettonici, durati vari secoli, mirati alla monumentalizzazione di un’area sacra dedicata ai defunti.Già il Lilliu, nei primi Anni ’80, dedicò la copertina del suo “La Civiltà Nuragica” al sito di Monte Prama inserendo a tutta pagina l’immagine della testa di un guerriero in pietra. Mostre e articoli si susseguirono negli anni, nel tentativo di portare alla ribalta questo sito funerario corredato di personaggi in pietra simili ai ben noti bronzetti guerrieri della tradizione nuragica. Nel 2007, dieci tonnellate di frammenti in arenaria locale, per un totale di quasi 5200 pezzi, fra i quali spiccano 15teste, 27 busti, 176 frammenti di braccia, 143 frammenti di gambe, 784 frammenti di scudo, raccolti negli scavi a cura di Alessandro Bedini e Carlo Tronchetti, dove si formarono giovani archeologi del calibro di Raimondo Zucca e Emina Usai, furono interessati da una campagna di restauro presso il centro di Li Punti, a pochi km da Sassari. Nel Novembre 2011, i “giganti”, in realtà una serie di statue in pietra a tutto tondo a grandezza naturale, furono esposti al pubblico in tutta la loro maestosità, un corpo unico di guerrieri allineati, circondati da nuraghi miniaturizzati di varie tipologie e betili, elementi legati al mondo funerario nuragico. Il dibattito sull’assegnazione museale delle sculture non si è ancora concluso, e attualmente la collezione è stata smembrata in due esposizioni, a Cagliari e Cabras, nei musei archeologici. Una serie di finanziamenti negli ultimi anni, ha consentito di proseguire le indagini nel sito, anche con l’ausilio di sofisticate apparecchiature che consentono il rilevamento di anomalie sotterranee, utili per individuare le zone più ricche di reperti. Grazie a questi rilievi, gli scavi hanno consentito di portare alla luce altri manufatti appartenenti al corpo scultoreo, fra i quali una statua di guerriero quasi intatta, appena restaurata ed esposta in questi giorni in una vetrina del museo di Cabras, visibile in questa foto di Giovanni Romano.
Si tratta di una nuova tipologia, la quarta, sconosciuta fino a questo ritrovamento. In precedenza si pensava che le rappresentazioni riguardassero guerrieri armati con l’arco, con la spada e con un guanto provvisto di guglie, questi ultimi due forniti di scudo, ma da oggi dovremo interpretare questa nuova iconografia, da alcuni specialisti paragonabile a un bronzetto (vedi foto) trovato in ambito etrusco, in una tomba a Cavalupo di Vulci, risalente all’VIII a.C., periodo allineato con la statuaria di Monte Prama. Ebbene, ritengo doveroso suggerire una riflessione profonda su questa comparazione perché le due figure si assomigliano ben poco. Copricapo e vestiario, elementi determinanti per il raffronto, sono differenti, come diverso è l’atteggiamento corporeo. Il metodo archeologico utilizzato nelle indagini, e insegnato all’Università, comporta un’analisi approfondita dei molteplici elementi costituenti la figura rappresentata, e nel nostro caso le diversità saltano prepotentemente all’occhio. La figura in pietra è inequivocabilmente un guerriero a riposo, tipo logicamente simile ai personaggi armati di guanto con guglie e scudo sulla testa ma, in questo, non in posizione di guerra. Una sorta di guardiano del sepolcro, come gli altri armato ma privo dell’atteggiamento “in azione” che caratterizza gli altri guerrieri. Nuovi scavi arricchiranno i dati in nostro possesso, e solo allora, forse, riusciremo a capire fino in fondo cosa si cela ancora dietro questo enigmatico sito funerario monumentalizzato 2800 anni fa da quella grande civiltà occidentale, la nuragica, che fu in grado, nel corso di quasi un millennio, di edificare migliaia di edifici fra torri, pozzi, tombe e templi, caratterizzando il paesaggio dell’isola e mostrando i requisiti per suggerire agli studiosi che è ancora lontano il giorno in cui questo pezzo di storia sarda sarà compreso. Intanto, sui libri scolastici di storia, si continua a scrivere di punici e romani, di vandali e bizantini, di Comuni e Signorie, trascurando l’epoca d’oro della storia dell’isola, quella in cui nel Mare Mediterraneo si sviluppava la koinè culturale che diffuse la scrittura alfabetica, la globalizzazione delle merci, l’uniformità di armamenti, l’organizzazione urbanistica e andò a formare il substrato dal quale, oggi, residuano una serie di usi e tradizioni di cui si è quasi persa la memoria, il significato e il senso profondo della propria identità culturale.