di Pierluigi Montalbano
La costa nord occidentale, Sant’Imbenia
Il territorio della Nurra rende difficili gli attracchi e ormeggi, ma esiste un ampio golfo protetto dai venti dominanti da settentrione, soprattutto il maestrale, che offre un buon ricovero alle imbarcazioni. Fino a pochi secoli fa, il porto di Alghero si trovava nella rada di Porto Conte perché gli altri approdi della zona sono piccoli per accogliere navi di una certa stazza. L’approdo naturale del golfo di Porto Conte si trova nella parte più interna ed è un punto privilegiato, a contatto con un entroterra ricco e fertile, dove la tradizione vitivinicola e olearia, insieme alla produzione cerealicola, garantiscono un buon livello di vita da vari millenni.
Recentemente si lavora a un progetto di ricerca, curato dall’archeologo Marco Rendeli, la soprintendenza di Sassari e Nuoro, le università di Sassari e Cambridge, e il comune di Alghero. Hanno preso l’onere e l’onore di riportare alla luce il villaggio nuragico di Sant’Imbenia che sorge presso l’omonimo nuraghe, già scavato dal 1982 al 1997. In questo sito, tra la fine del IX e il VII a.C., si sviluppò un interscambio economico, culturale e tecnologico tra le componenti indigene nuragiche e i mercanti che arrivavano dal vicino Oriente e dal mondo greco.
Rendeli osserva che in quei secoli si moltiplicarono le colonie fenicie e greche in Occidente, e fiorì il mondo di Creta e delle isole egee (Rodi, Samo…). Il triangolo fra Atene, Eubea e la Beozia meridionale offre una buona quantità di rinvenimenti che attestano fin dal X a.C. questo legame fra mondo ellenico e orientale. C’è anche un insieme di tradizioni che porterà alla diffusione dell’alfabeto fenicio a partire proprio da quelle zone.
La baia di Porto Conte si trova in una zona paludosa, con molta acqua e senza pietre. Non ci sono cave e la legna scarseggia, per cui tutti i materiali da costruzione giungono da diversi chilometri di distanza. Questa dislocazione, che potrebbe apparire non idonea per un abitato, è in realtà favorevole perché mette in contatto il mare e un entroterra ricchissimo. Fino all’avvento dei mezzi a vapore, il mare costituiva la via più veloce e sicura per il trasporto.
Gli studiosi dell’Università di Cambridge, muniti di macchinari sofisticati, hanno fatto una serie di indagini con la resistività elettrica, con l’elettromagnetismo e altre tecnologie all’avanguardia, mettendo in luce varie strutture. I vecchi scavi, fatti a circa 35 metri dal nuraghe, presentavano due zone distinte, lontane circa 100 metri tra loro e apparentemente prive di tracce. Recentemente è stato individuato un antico canale utilizzato per bonificare l’area dall’ingente quantità d’acqua che rendeva problematico il progetto di costruzione nel sito. Questo canale segnava i limiti geografici dell’abitato e contribuiva a rendere asciutto il terreno circostante.
Le indagini di Rendeli hanno evidenziato un muro che offriva una protezione alla zona più vicina al nuraghe, il cuore del sito. Gli scavi degli anni Ottanta hanno portato alla luce il settore a nord del monotorre, con il bastione polilobato che lo cinge. Tutto il materiale da costruzione arrivava da aree distanti fino a 2 km, e un saggio in profondità ha evidenziato una frequentazione del XIV a.C. Per circa 450 anni, questo piccolo nuraghe circondato da un villaggio formato da capanne circolari, viveva con tranquillità ai margini del ricco territorio circostante. La posizione era favorevole per avere straordinarie riserve di pesce e sviluppare un commercio del pescato con i villaggi che sorgevano nelle zone più interne.
Una capanna con bacile, su cui ancora oggi si discute per l’attribuzione della funzione, era certamente uno degli edifici più importanti. La studiosa Maria Ausilia Fadda ipotizza una funzione sacra, legata alla celebrazione di riti cerimoniali religiosi. Queste capanne mostrano generalmente vani dedicati alla panificazione, o a riti che uniscono l’acqua con il fuoco. Tuttavia, trovandosi sempre nelle immediate vicinanze di focolari, forni e risorse idriche, si è pensato anche a saune o terme dove poter acquisire calore molto umido per sudare (capanne sudatorie).
Una capanna rotonda poco distante, simile ad altre trovate in Sardegna, misura circa 6 metri quadrati e mostra un bacile per l’acqua e forme decorative, come nicchie o altro, che certamente assolvevano a una funzione precisa, come ad esempio contenere oggetti sacri o bronzetti. Spesso si notano delle canalette, servite da bacini con presa d’acqua in pozzi di acqua dolce posti nelle vicinanze. Nella palude intorno a Sant'Imbenia si incontravano le acque salate del mare e le acque dolci dei corsi che scendevano nella zona, di conseguenza la zona era salmastra. Curiosamente in questi pozzi le analisi hanno mostrato un’acqua dolce e bevibile.
Uno dei punti più importanti dello scavo limitrofo al nuraghe è una capanna circolare, denominata “la capanna dei ripostigli”. È l’unica dell’abitato che non fa parte di edifici complessi. Il pavimento è lastricato, e vicino alla vasca gli archeologi hanno individuato un ripostiglio con 43 kg di rame in panelle, posto dentro un’anfora risalente al 750 a.C. nascosta sotto l’acciottolato. Quando si scavò lo strato che la conteneva si arrivò a un secondo battuto pavimentale, privo di acciottolato, al di sotto del quale c’era un’altra anfora, di produzione locale ma influenzata dai modelli da trasporto levantini, contenente altri 42 kg di panelle in rame.
Il secondo pavimento era provvisto di una canaletta per l’acqua, e vi erano tracce di un forno. Lo scavo dello strato di riempimento ha restituito una serie di ceramiche straordinarie provenienti dal mondo greco e levantino. Siamo di fronte a un sito che partecipava attivamente a traffici e commerci dell’epoca, come Huelva in Spagna, siti in Andalusia, Creta e tutti gli altri approdi databili alla prima metà del IX a.C.
Nella zona di Porto Conte, miniere di rame, argento e ferro sono presenti a meno di 20 km di distanza, circa una giornata di cammino. Ci riferiamo ad Argentiera, Canaglia e Alghero-Cala Bona. Grazie a questi rinvenimenti, di poco precedenti il IX a.C., Rendeli ipotizza che il sito frequentava un bacino di approvvigionamento vasto circa 20 km di raggio. A Sant’Imbenia è evidente che l’attività d’integrazione fra nuragici e nuovi arrivati è continuativa e prosegue pacificamente fino a tutto il VII a.C.
Porto Conte diventa un luogo privilegiato inizialmente delle marinerie orientali e poi di gruppi che provengono dalle zone già strutturate come empori commerciali, ad esempio la penisola iberica, Pitecusa-Ischia, il nord Africa e altri siti sardi. A Sant’Imbenia è stata individuata anche una ceramica con iscrizione fenicia e una con iscrizione filistea, oltre un’imitazione di un sigillo orientale realizzato in ceramica locale e due vaghi in vetro, soffiati e decorati con un’incisione. Altri manufatti dell’Età del Ferro evidenziano la ricchezza della produzione e delle morfologie, ad esempio alcune tazze carenate tipiche di Sant’Imbenia.
Dall’analisi delle ceramiche si è scoperto che fra i manufatti del X e quelli del IX a.C. c’è un’evoluzione della tecnologia di produzione, con argille migliori, digrassanti, e inclusi differenti (silicei anziché calciti). Inoltre, cambiano le temperature di cottura (da 750° si passa ai 1000°) e si riducono gli spessori. Compaiono superfici levigate e di colore rosso brillante. Sono ceramiche appartenenti al patrimonio sardo che si è arricchito delle esperienze orientali. Probabilmente nel sito furono ospitati dei maestri orientali che aprirono botteghe artistiche e insegnarono ai locali nuovi modi per produrre la ceramica, similmente a quanto accadde a Monti Prama con una bottega artistica di altissimo livello tecnico (probabilmente nord-siriana) che insegnò ai sardi l'arte della scultura in pietra a tutto tondo con la quale furono realizzati i famosi giganti guerrieri nuragici che ornavano il sito funerario, e ideologicamente lo proteggevano.
La campagna di scavo di Rendeli mostra una peculiarità nella zona intermedia del villaggio: anziché i consueti quadrati di 5x5 m è stato fatto uno scavo in estensione per circa 400 metri quadrati che ha cambiato l’aspetto del sito perché proprio dove non doveva esserci niente, è stato trovato un ampio spazio lastricato che catalizzava intorno a sé tutta una serie di ambienti aperti affacciati sull’area aperta, e altri ambienti chiusi ma collegati allo spazio aperto, recintato da un muro che ha un ingresso principale con un andito e una serie di altri piccoli ingressi verso vani aperti e chiusi.
Questo modello progettuale è sardo, perché non si conoscono tipologie simili in altri siti di età fenicia. In Sardegna, invece, architettura e modelli edilizi domestici simili, a cavallo fra Bronzo e Ferro, li troviamo a Gonnesa-Seruci, a Serra Orrios, a Barumini, Santa Vittoria di Serri e altri. Sono gruppi di abitazioni con uno spazio aperto, un corridoio e vani chiusi disposti intorno. In alcuni casi si nota la presenza di camere con bacili e sedili, forse luoghi religiosi per praticare un culto domestico. Nell'VIII secolo a.C. dunque finisce il tempo delle grandi capanne circolari monovano, e si realizzano complessi più articolati che racchiudono più capanne circolari e rendono l’unità abitativa più ampia, consentendo di praticare tutte le fasi della vita giornaliera in questi spazi aperti interni.
Un altro caso è quello di Oliena (Sa Sedda ‘e Sos Carros), dove nell'abitato si costruisce un settore strutturato in questa maniera che diventa la zona santuariale del villaggio: un ingresso, uno spazio aperto su cui si affacciano vani chiusi, una capanna particolare con bacile e protomi d’ariete poste in alto che fanno da sbocco per l’acqua che finisce all’interno del bacile. Nella parte alta del sito ci sono anche dei bacini lustrali all’aperto. A Oliena la grandezza dello spazio aperto è di 5x3 metri circa, ma a Sant’Imbenia si raggiungono i 15x8 metri. Assistiamo dunque all’esplosione di un modello edilizio privato, o sacro, che diventa spazio comunitario, pubblico. Ogni struttura appartiene a un nucleo familiare, ma l’ampio spazio di Sant’Imbenia ci suggerisce che non si tratta di spazi destinati a famiglie ma di una zona comunitaria destinata allo scambio. Secondo Rendeli, potrebbe essere una piazza del mercato su cui si affacciano botteghe, zone produttive e case di rappresentanza dei gruppi che dal territorio circostante convergono a Sant’Imbenia per commerciare.
All’interno della piazza c’è un antico pozzo di vecchio tipo con le scale a scendere, che viene trasformato durante l’allestimento della piazza stessa in semplice pozzo ad uso della comunità e dei commercianti. Una delle botteghe conteneva una lastra circolare di scisto che copriva un vaso rossiccio nuragico, uno ziro, colmo di panelle di rame, asce semplici e ricurve, e l’immanicatura di una spada tipo Monte Sa Idda, prodotta probabilmente nella penisola iberica. Il vaso è posto in uno strato datato alla prima metà dell’VIII a.C.
Questo spazio collettivo è creato nel villaggio togliendo ai privati il possesso di alcune capanne e risistemando tutta la parte centrale dell’insediamento. Si nota la volontà di realizzare un programma urbanistico nuovo che nella seconda metà del IX a.C. viene concepito e realizzato per trasformare il sito in un importante mercato con piazza. Evidentemente i mercanti dei vari gruppi del territorio e quelli provenienti dall’esterno, sentono l’esigenza di ampliare i commerci e le comunità adeguano i villaggi a questa richiesta. C’è da considerare che il vino di Sant’Imbenia era certamente di ottima qualità e ricercato, visto che le anfore prodotte in loco sono state trovate in Etruria, a Cartagine e nella Spagna meridionale.
La produzione che fino a quel momento era stata di soddisfacimento della richiesta interna, aumentò notevolmente, creando eccedenze da destinare al commercio con l’esterno. Iniziano delle forme di specializzazione delle attività, e si aumenta al massimo la produttività della vite. Si creano dei contenitori ceramici più capienti e tecnologicamente meglio rifiniti. Aumenta la richiesta di metalli, utilizzati sia per produrre utensili sia come moneta di scambio, e nei villaggi iniziano a notarsi nuovi edifici e altri spazi comunitari: le capanne delle riunioni, al cui interno c’è un simbolico nuraghe in pietra che funge da ombrello protettivo delle attività, pubbliche o private esse siano. Tutti i rappresentanti del territorio e i mercanti provenienti dal mare si riunivano nelle grandi capanne per sancire dei patti e per scambiarsi dei doni.
Il mondo di Sant’Imbenia esportava nel Mediterraneo, dalla Spagna all’Etruria, dall’Africa settentrionale al mondo greco, al mondo egeo e a quello del Vicino Oriente, soprattutto siriano. È verosimile che a Sant’Imbenia e in altri siti del Mediterraneo, avvenne nel IX a.C. un piccolo miracolo: iniziò un percorso di trasformazione che portò l’organizzazione della società in qualcosa di più articolato che rispondeva agli imput esterni.
Il cambiamento investì un territorio ampio che comprende tutta la Nurra, dall’Argentiera a Canaglia a Cala Bona. Si formò un bacino che divenne una forma di organizzazione funzionale a un centro (Sant’Imbenia) che si sviluppa come piccola capitale di un sistema di popolamento che lavora in funzione di quel sito. Una prova di ciò sono i bronzetti levantini trovati in villaggi e nuraghi posti nel territorio, ad esempio a Fluminelongu, vicino all’aeroporto di Fertilia, ma anche in luoghi più lontani, come i siti vicini alle miniere di Cala Bona. Metalli, vino, pelli, olio, e tutta una serie di prodotti derivati, concentrati in quest’area che consente i contatti fra più genti. Gli scambi favorirono l’integrazione, la crescita delle forme di vita quotidiana, l’acquisizione di ricchezza. Tutto ciò avvenne in mezzo ad una palude bonificata.
Nelle immagini, dall'alto verso il basso:
Pianta dello scavo
Il ripostiglio
Panorama del sito
La vasca
Immagini e testo tratti da "Porti e approdi nel Mediterraneo antico" di Pierluigi Montalbano, Capone Editore, in pubblicazione.