Archeologia, Italiani in Pakistan scoprono misteri di Buddha

Creato il 27 novembre 2012 da Lalternativa

A pochi chilometri di distanza ”i kamikaze seminano terrore e morte con una serie inarrestabile di attentati”. Gli inviti ”ad agire con prudenza” arrivano da ogni parte ma nel Pakistan di Malala Yousafzai, la bambina che si e’ ribellata ai Talebani, il coraggio si respira nell’aria.

E cosi’, nella valle dello Swat, tra le montagne ai confini con l’Afghanistan, l’equipe di archeologi italiani, tra cui il barese Francesco Genchi, riporta alla luce due scene della vita di Siddharta: la ‘Grande rinuncia’ e la ‘Grande partenza’. Due chiari esempi dell’arte del Gandhara, rara espressione dell’incontro tra il mondo greco e la spiritualita’ buddista, tra la dominazione di Alessandro Magno e le popolazioni Pashtun, i cui primi contatti risalgono ai primi anni del IV secolo a.C. La scoperta avviene nella citta’ indo-greca Barikot: e’ qui che e’ ritrovato il Vihara, tempio buddista di una corte domestica, decorato alla base dai bassorilievi risalenti all’eta’ Kushana, tra il I e il III secolo d.C.

Le opere, spiega Genchi, ”raffigurano la ‘Grande partenza’ di Siddharta che lascia la citta’ a cavallo con i suoi adepti che lo aiutano a scappare senza far rumore, tenendo le zampe dei cavalli tra le braccia. E la ‘Grande rinuncia’ di Siddharta che fugge dal letto nuziale per lasciare sua moglie e, con lei, la vita terrena. Due opere in cui ritroviamo il rigore ellenico sotto il punto di vista della rappresentazione, della schematizzazione della scena”, applicato alla raffigurazione di Buddha.

E’ proprio questa la particolarita’ dell’arte del Gandhara: ”Su strutture che rappresentano Siddharta, ci sono tracce di influssi ellenistici nei panneggi (abiti, ndr), nelle strutture architettoniche e perfino nei modi di cavalcare”.  Caratteristiche che la missione italiana diretta da Luca Olivieri, sta approfondendo nell’ambito del progetto ‘Archeology community tourism-Field School’, finanziato attraverso la riconversione di due milioni di euro del debito del Pakistan nei confronti dell’Italia, e con i fondi messi a disposizione dalla Cooperazione italiana allo sviluppo. Gli obiettivi sono molteplici e riguardano in particolare uno scambio virtuoso di competenze. L’Italia, infatti, sta formando 270 persone tra archeologi, restauratori, custodi e guide turistiche.

Figure gia’ impegnate nei progetti in corso: dalla ricostruzione del museo dei tesori del Gandhara, alla tutela di 11 siti protetti, passando appunto per gli scavi nella citta’ fortezza di Barikot e nella necropoli di Undegram. In quest’ultima sono state riportate alla luce 23 tombe, alcune delle quali in ottimo stato di conservazione, con camere in pietra, resti umani, vasi e altri oggetti di uso quotidiano. ”Questa – sottolinea Genchi – e’ la missione italiana piu’ longeva: fu voluta dal padre degli archeologi orientalisti, il professor Giuseppe Tucci, nel 1956”. Tutto comincio’ dall’interesse suscitato dallo Stupa (edificio di culto) nella citta’ di Saidu Sharif: e’ qui che oggi ha sede il quartier generale degli archeologi italiani, in una casa in cui riecheggiano ancora gli insegnamenti di Tucci, custoditi gelosamente insieme alla sua jeep e ai numerosi reperti che attendono di tornare nel museo quando sara’ ricostruito.

Fu proprio Tucci a inaugurarlo nel 1963, molto tempo prima che venisse danneggiato da un terremoto, nel 2005, e poi da una bomba esplosa poco distante dall’edificio, nel 2009. A posare la prima pietra della ricostruzione, nel 2011, fu proprio la piccola Malala, simbolo di un popolo che non vuole avere nulla a che fare con i Talebani contro i quali, tre anni fa, ha reagito con un esercito di 125mila uomini. I Talebani ripiegarono nelle regioni circostanti ma sono in molti ad assicurare che ”stanno tornando e sono piu’ forti di prima”.

Tuttavia, nonostante ”i momenti di paura e le esplosioni nei giorni dell’Aid” (festa simile al natale occidentale), gli archeologi italiani non andranno via dal Pakistan: ”Anzi – assicura Genchi – non vedo l’ora di poterci tornare”.

Vincenzo Chiumarulo


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