di Lisa Swart* (articolo per la rivista "Ancient Planet", 2013).
tradotto da: Maurizio Feo
(aggiunte in corsivo ad opera del traduttore)
Prigioniero Libu, bronzetto con inserto in oro del regno di Ramesse II, Museo del Louvre.
Ad integrazione del libro: "L'ira degli Dei e i popoli del Mare", giunge adesso questo interessante articolo di un'archeologa studiosa specializzata dell'Egitto antico, Lisa Swart, che potrà utilmente dirimere gli ultimi dubbi - se ancora ne restano - circa i reali ruoli coperti dai principali interpreti di fatti confusi e lontani che riguardano l'antico Egitto e le popolazioni straniere di 'invasori', talvolta reli e talvolta solo presunti.
Malgrado l’aspetto di un popolazione apparentemente omogenea, in tutte le rappresentazioni artistiche Egizie, nel corso di tutta la storia, in Egitto furono sempre presenti gruppi etnici stranieri. Durante il Nuovo Regno l’Egitto sperimentò una rapida crescita territoriale e culturale, che causò un afflusso di stranieri da regioni disparate: Siria, Libia, Nubia. Compaiono raramente informazioni specifiche circa la loro presenza su testi scritti quali steli, rilievi templari. Questo fatto a sua volta ha reso difficoltosa la comprensione della natura reale degli immigrati in Egitto, specialmente per quanto concerne i Libi.
Ciò che comunque è certo è che i Libi, nel corso di circa duecento anni, crebbero di rango nella burocrazia Egizia fino a elevati livelli: sono persino giunti a regnare sull’Egitto, com’è il caso di Shoshenq I (945-924 a.C.) regnate della ventiduesima Dinastia. Noto agli Israeliani come il perfido Shishak, egli organizzò un intervento armato contro Israele, Giuda e le principali città della Palestina meridionale, acquisendo notorietà nel 925 a.C. per il saccheggio del tempio di Salomone a Gerusalemme. Dopo essere entrato in armi in Tebe, si proclamò Faraone con il beneplacito religioso dei sacerdoti do Amun. In tal modo diede appunto inizio alla XXII dinastia, nota col nome di Bubastide, dal nome della città di Bubastis, che ne fu il centro amministrativo, e che traeva il nome dalla divinità di Bastet, sua protettrice.
Affresco della tomba di Seti I (1300a.C.) rappresentante i Meshwesh.
I Libi in Egitto.
Shoshenq discendeva da una lunga dinastia di regnanti della Libia il cui lignaggio aveva attraversato il Nuovo Regno. Anche se si dichiarava Egiziano e seguiva le tendenze e le mode artistiche Egizie, sta di fatto che Shoshenq I, oltre al titolo e alle competenze faraoniche conservò anche per sé con orgoglio il titolo di “Capo dei Meshwesh”.
I Libi erano stati ben noti agli Egizi dal XXIV secolo a.C. ed erano stati inclusi in uno dei nove principali nemici tradizionali dello Stato Egizio (i famosi ‘nove archi’). Quei Libi si erano stabiliti nella regione del Delta come emigranti, prigionieri di guerra e mercenari. Grazie alla crescente abilità politica e militare di questi coloni Libi, verso la fine del Nuovo regno i capi libici furono in grado di ottenere ruoli di rilevanza politica locale, in quanto erano state assegnate loro delle terre in cambio dei servizi prestati al potere centrale. Con il tempo, i capi dei gruppi locali – discendenti dei primi coloni - ottennero posizioni di sempre maggiore importanza, che permisero alle comunità libiche un’autonomia crescente e alla fine determinò la formazione di vari centri di potere libici, ciascuno sorto intorno ad una città principale di riferimento, in un luogo strategico, con a capo un comandante libico.
Varie rappresentazioni di Libici tratte dai monumenti egizi.
Chi erano i Libi?
Il senso antico del termine ‘Libio’ (Libico) non corrisponde affatto a quello che gli attribuiremmo al giorno d’oggi: abitante dello stato della Libia. Per gli Egizi, i Libi erano una vasta gamma di popolazioni nomadi e seminomadi, che vivevano nelle regioni semidesertiche occidentali. Durante il medio Regno, questi gruppi di pastori nomadi erano tutti inclusi nella definizione del termine Egizio ‘Tjenhu, che comprendeva tutti gli abitanti della Cirenaica e della zona costiera del Delta. Durante il Nuovo Regno, le terre dei Libi (lybiu) erano definite con il termine ‘Tiemeh’ (conosciuto fin dall’Antico Regno), che insieme ai Tjenhu poteva intendersi come ‘abitanti della terra ad ovest del Nilo’. Questi termini potevano, in certi momenti storici, avere anche designato popolazioni particolari e specifiche regioni dell’ovest (per esempio: ad un certo punto ‘Tjenhu’ indicò un’area adiacente al Delta del Nilo), ma gli Egizi li usavano in modo estremamente generico. In seguito, nell’antichità classica, il termini ‘Libici’ andò a significare una grande varietà di popolazioni, sparse attraverso il Nord Africa dall’Atlantico fino al Delta del Nilo (O’Connor, 1990:30).
Data la grande scarsità di reperti archeologici e documentali, l’attuale conoscenza delle popolazioni dell’occidente Egizio è basata sulle fonti Egizie stesse che – come è ben noto – sono soggettive, semplicistiche e stereotipate. Malgrado ciò, da esse possiamo ottenere qualche barlume di verità.
Durante il Nuovo Regno, si è notata la comparsa di nuovi nomi di popolazioni nei registri Egizi. Nei resoconti scritti che riferiscono di interazioni di vario genere, gli Egizi descrivono i Tjenhu come divisi in 12 tribù, di cui solo quattro sono quelle di frequente comparsa nei testi: i Tjenhu (propriamente detti) , i Tiemeh, i Meshwesh ed i Libu. Nella rappresentazione pittorica Egizia, i Libi sono immediatamente riconoscibili, in quanto sono caratterizzati da una o due penne di struzzo tra i capelli, spesso indossano un kilt ed in genere ostentano un astuccio penieno. E’ stato ipotizzato che le penne di struzzo possiedano il significato di alta posizione sociale sia tra i Meshwesh, sia tra i Libi. Inoltre, in questi due gruppi le elite portavano con sé grosse spade di bronzo, che dovevano essere state acquistate a caro prezzo. I Libi erano governati da regnanti e le loro elite erano denominate i ‘grandi’ i ‘ condottieri’ e i ‘magnati’: non c’è alcun dubbio che la loro posizione economica fosse di vantaggio rispetto al resto della popolazione, come risulta dall’elenco del bottino (oggetti di bronzo e d’argento) citato dai faraoni dopo le vittorie sul campo di battaglia.
La società delle 12 tribù dei libici – per quel poco che ne ricaviamo dalle scarne notizie degli Egizi – ci appare già in antico come una società organizzata, complessa e diversificata, economicamente attiva e probabilmente numerosa.
Cartine del Nord Africa, in cui compaiono Cirenaica e Marmarica, oltre alle alture retrostanti alla costa.
Bestiame, la Montagna Verde ed il Silfio°.
Questi gruppi vivevano grazie all’allevamento di bestiame e commerciavano in penne di struzzo, uova di struzzo e bestiame (di altro non conosciamo, ma è possibile). Ricaviamo convincentemente queste notizie dagli elenchi Egizi del bottino di guerra: le migliaia di animali confiscate ai Libi sono piuttosto convincenti per descrivere una popolazione basata principalmente sulla pastorizia nomade. Merenptah, ad esempio, enumera 101.595 capi tra bovini, asini, capre e pecore. Ramses III conta 42.721 tra bovini, cavalli, asini capre e pecore, ottenute dalla vittoria contro i Meshwesh. In particolare, i Meshwesh erano rinomati per l’allevamento di un’ impressionante tipo di bovini. Nel Papiro Harris I è scritto che 971 Meshwesh si prendevano cura di una mandria denominata: “Maat-Re-meri-Amun-è-il-vincitore-dei-Meshwesh-sulle-acque-del-fiume-Re”. Probabilmente, si trattava di un gruppo di prigionieri di guerra destinati a quel compito nelle terre Egizie loro assegnate.
Tutti i tentativi di localizzare le terre originali dei Meshwesh e dei Libu sono stati motivo di ampio dibattito ed i risultati sono stati largamente insoddisfacenti. Si presume che i territori Meshwesh e Libu fossero uno adiacente all’altro e – almeno secondo gli Egizi – si trovassero ‘sul confine occidentale’ egizio. Alcuni studiosi, basandosi sull’enorme abbondanza delle mandrie dei Libu, suppongono che fossero stanziati nella Cirenaica (la parte più orientale dell’attuale Libia) e nella Marmarica (la parte occidentale della costa settentrionale). A causa di motivi politici e geografici, che perdurano anche oggi, queste regioni hanno una lunga storia d’isolamento. La maggior parte della zona cade sotto la definizione di ‘Mare di sabbia’ del deserto del Sahara, che è costellato da una serie di oasi. L’Oasi di Siwa, sul bordo più meridionale fu la casa del famoso Zeus Ammone; proprio la divinità consultata da Alessandro il Grande nel 331 a.C.
Moneta di Cirene con pianta di Silfio
Per questi motivi, si potrebbe mettere in dubbio che quei gruppi umani potessero radunare mandrie così vaste di bestiame. Forse, la soluzione sta nella zona a nord di quell’area, verso la costa. Si tratta di un altopiano calcareo di circa 600 metri, che domina l’intera zona e risponde al nome di Gebel Akhdar (Montagna Verde) nota per le sue conifere. La montagna divide la zona costiera e relativamente fertile dall’arida distesa del Sahara. A causa della sua altitudine, questa zona lunga 280 chilometri e a vaga forma di semiluna, riceve sufficienti precipitazioni che ha permesso un’agricoltura intensa e abbondante attraverso tutta la sua storia. Le regioni della Cirenaica e della Marmarica conseguentemente sono anche perfettamente compatibili con l’allevamento del bestiame. Quindi, si può a ragione argomentare che i Libi costituissero un gruppo ragionevolmente omogeneo di pastori seminomadi e commercianti, la cui economia si basava su sostanziosi scambi indipendenti con commercianti mediterranei. L’esportazione principale rispondeva al nome di Silfio, una pianta che oggi si considera estinta. Il valore commerciale del Silfio derivava dai suoi grandi poteri farmacologici: era infatti un digestivo, un lenitivo del dolore nelle ferite e nelle contratture, un prodotto abortivo, un farmaco per il controllo delle nascite ed inoltre forniva la base per numerosi altri farmaci dell’antichità. Cresceva nelle steppe che costituivano il retroterra della città di Cirene e pertanto era raccolta solo dalle tribù di Libici dell’interno, che controllavano il territorio. Nell’antichità il Silfio costituiva un raccolto di primaria rilevanza economica e questo è ben dimostrato dalla presenza emblematica della pianta, rappresentata nelle monete coniate da Cirene fin dal 500 a.C.
Sappiamo dalla Paleoclimatologia che il clima da allora è cambiato in modo evidente, rendendo semi desertiche quelle regioni. A prescindere dal fatto che il silfio si sia realmente estinto oppure no, la produzione del suolo dovette presto divenire meno remunerativa, con conseguenze prevedibili.
Scavi ancora in corso presso Marsa Matruth corroborano queste ipotesi. Gli scavi hanno portato alla luce uno stanziamento del XIV secolo in un’isoletta presso la costa che – a giudicare dai reperti archeologici rinvenuti, di fattura Egizia, Cipriota, Cananea, Egea, Libica – doveva funzionare come base portuale di sosta e raccolta dei prodotti prima di prendere il largo per il Levante.
Pesatura del Silfio di fronte a Re Arcesilao II di Cirene (vaso del VI sec.a.C.)
Le Guerre Libiche.
Malgrado il fatto che l’Egitto fosse una potenza internazionale militare ed economica durante il Nuovo Regno, egualmente esso fu invaso ben cinque volte tra il 1300 ed il 1750 dai Libici.
Già questo dovrebbe indurci a pensare più seriamente all’entità (numero, stadio di sviluppo e forza militare) dei libici in genere. Queste invasioni, definite spesso ‘guerre libiche’ non consistettero in altrettanti attacchi frontali tra eserciti armati, ma furono di natura differente. Presero una vasta gamma di forme differenti: a volte si trattò di infiltrazioni di gruppi di immigrati affamati, altre volte fu l’ingresso di armati provenienti da una singola tribù, altre ancora il tentativo fu fatto da un’alleanza di gruppi differenti, altre volte ancora si trattò di una confederazione con i ‘Popoli del Mare’. Questi ultimi sono una delle zone d’ombra fitta della storia e talvolta ancora si dibatte sulla loro reale entità. Si sa che se ne presuppone la presenza nel mediterraneo in corrispondenza di evidenti spostamenti demografici estesi in tutta la zona.
Dal regno di Seti I (1306-1290) la belligeranza tra Egitto e Libi andò inasprendosi fortemente, come è ben testimoniato dai rilievi di Karnak che lo rappresentano all’inseguimento di truppe libiche di cui fa strage. I riferimenti a lui di Ramses II descrivono la sua azione come quella che “ha reso la terra dei Tjhenu come quella che non c’è”. Una stele di Pi Ramesse descrive la vittoria del re come: “I Libi sono sotto gettati sotto i piedi del Re, sono stati presi dalla sua strage, ha catturato le loro terre straniere dell’Ovest e li ha ridotti in soldati al proprio seguito e vassalli” (Kitchen, 1970.17). L’esercito del faraone Merneptah (1213-1204) combattè un singolo scontro di 6 ore contro il capo dei Libi Mariyu lungo il bordo occidentale del Delta. Dopo quella vittoria Egizia (fu più che altro una strage ed un genocidio) ci fu un periodo di pace di 20 anni, prima che la guerra scoppiasse nuovamente con Ramesse III della XX dinastia. In risposta, Ramesse III dette inizio ad una rappresaglia bellica che consistette di due campagne: la prima avvenne nel V anno del suo regno, contro un esercito che aggregava Meshwesh, Libi e Seped; la seconda fu rivolta, nell’undicesimo anno di regno, contro un’armata formata prevalentemente di Meshwesh. Secondo l’ormai noto copione egizio, Ramesse III dichiarò di avere riportato vittorie decisive in ambedue i casi. Ma esistono anche altre versioni, secondo le quali i Libi occuparono per vari anni le regioni più occidentali dell’Egitto e in quel periodo continuarono a razziare la zona compresa tra Menfi e l’oasi del Fayum. In risposta a questo continuo rischio, Ramesse III ordinò la costruzione di mura alte fino a 15 metri a difesa di città più esposte alle razzie degli invasori, quali: Thimis, Hermopolis, Abydo e Asyut.
Questo ci lascia intendere quale fosse – nella realtà dei fatti – il vero acerrimo nemico degli Egizi: i Libu. Fu questo il gruppo (talvolta incluso nel novero dei ‘popoli del mare’) che condizionò profondamente l’esistenza stessa dello stato più potente del mondo di allora, lo costrinse a difendersi in ogni modo possibile e alla fine entrò a fare parte dello stato stesso, vincendo a conti fatti la propria battaglia. Se un gruppo ha diritto al titolo di “guerrieri ribelli, che nessuno può fermare”, questo è il vasto e vario gruppo dei Libu.
L’immigrazione di Libi verso i territori Egizi proseguì ancora per anni durante la XX dinastia, procurando anche vari e numerosi problemi con la popolazione locale, e nessun intervento del faraone valse a risolvere la situazione. I conflitti non consistevano in piccole ruberie o incursioni minori per far bottino da parte dei Libici. Le forze combattenti libiche – in tutti i casi – mostrano numeri decisamente alti e gli scontri furono sanguinosi e cattivi. Il faraone Merneptah dichiarò di avere sterminato 9376 tra Libi e Meshwesh. Nell’anno 11 del suo regno, Ramesse III enumera 2175 avversari uccisi (con ambedue le mani ed il fallo recisi) e 2052 prigionieri. Tra i prigionieri figurano in grande quantità donne e bambini (non si trattava di un esercito regolare). Nell’iscrizione di Abu Simbel Ramesse II descrive con orgoglio quale sistemazione ha destinato agli ‘occidentali’ lungo i rilievi montuosi orientali. Ramesse III seguì l’esempio posto da Ramesse II circa l’utilizzo dei prigionieri, inglobandoli nelle proprie milizie. I Libi furono quindi destinati a fortezze e guarnigioni lungo i confini Egizi. In un testo di Deir-el-Medina, Ramesse III si vanta di avere costretto i prigionieri ad assorbire i costumi Egizi e le usanze locali, costringendoli ad imparare l’Egizio e proibendo loro di parlare la propria lingua fino a dimenticarla.
Questo è un modus operandi al quale si attennero frequentemente gli Egizi. Anche alcuni gruppi Serden subirono il medesimo fato: furono sconfitti, in parte uccisi ed in parte presi prigionieri, furono quindi utilizzati nelle guarnigioni di frontiera e come mercenari, in varie occasioni. Infine furono integrati nel tessuto sociale egizio, obbligati ad apprendere la lingua e a seguirne costumi e tradizioni.
Una minaccia seria: i Libi in guerra.
Malgrado le vittorie millantate dai faraoni e malgrado l’elevato numero di perdite in termini di vite e di beni da parte dei Libi, questi ultimi costituirono una continua e grave minaccia per gli Egizi. Il fatto che i Libi non si peritassero di portare attacchi diretti all’Egitto rende ben conto del loro livello di certezza di potere portare a termine quelle azioni belliche ottenendone risultati positivi. Queste incursioni erano considerate una minaccia estremamente seria, ed i faraoni ritenevano necessario investire contro di esse tutta la propria forza militare. Il pericolo era considerato così grande, che Ramesse II – uno dei più grandi faraoni Egizi – ed i suoi predecessori rinforzarono tutto il perimetro del confine occidentale, costruendo forti e guarnigioni e munendo di mura le città, contro le iniziative belliche libiche. Questa serie di misure parla certamente a favore della forza militare dei Libi: anche se non possediamo descrizioni dettagliate al riguardo, dobbiamo credere, dalle numerose contromisure Egizie messe in atto, che non fossero esattamente dei principianti nell’arte della guerra. Anzi, siamo autorizzati a pensare che le forze libiche fossero altamente strutturate e specializzate e che i loro capi fossero capaci di organizzare, coordinare e comandare associazioni di eserciti diversi, come accadde ad esempio in occasione dell’attacco combinato Libi, Meshwesh, Popoli del Mare. Si potrebbe addirittura pensare che l’avere inserito nel proprio esercito i prigionieri Libi e Meshwesh ed avere scelto tra di essi truppe mercenarie si sia alla fine ritorto contro gli Egiziani: forse essi stessi hanno istruito nelle varie tecniche di guerra i propri nemici. I bassorilievi Egizi ci mostrano i Libi come esperti conduttori di carri.
Nei bassorilievi Egizi, la massa principale dell’esercito è formata da fanti armati di archi e frecce. Sono presenti anche pesanti spade di bronzo. A latere, compaiono anche alcuni carri trainati da due cavalli, tenuti da un ‘corridore’ (una specie di palafreniere) armato di spada.
Alcune delle antiche città dell'Alto Egitto citate nel testo.
Migrazione vs invasione.
Diversi ricercatori sostengono che non si trattò di invasioni armate per ottenerne bottino o altro. Sono anzi stati formulati numerosi modelli che descrivono scenari differenti da quello bellico ‘normale’. Alcuni ritengono che l’ingresso dei Libi all’interno dei confini Egizi fosse dettato da carestia e dalla necessità di procurarsi terre fertili. Nel V anno di regno di Merneptah, si parla di Tjenuh che entrarono in Egitto per “soddisfare il bisogno delle proprie bocche e che passavano tutto il tempo a cibarsi di ciò che trovavano”. La situazione così descritta potrebbe essersi complicata con l’arrivo di altri gruppi di diseredati fuggiaschi (denominati ‘Popoli del Mare’) anch’essi alla ricerca di alimenti ed una terra in cui stanziarsi.
Una delle teorie possibili potrebbe essere quella antropologica sociologica secondo cui i Libi avevano ormai raggiunto un punto di sviluppo economico e sociale tale – come società di pastori semi nomadi – da considerare fattibile ed utileun comportamento aggressivo di conquista nei confronti di una società agricola stanziale come quella Egizia (O’Connor 1990, 93-94). Numerosi testi Egizi esprimono la convinzione che i Libi intendessero stanziarsi definitivamente nel territorio del delta del Nilo, che era adatto sia all’agricoltura sia alla pastorizia: infatti i Libi portarono con sé ogni tipo di masserizia e ogni possedimento, oltre a donne e bambini. Pertanto, i Libi non si erano mossi per fare semplici scorrerie. Essi intendevano stanziarsi in suolo Egizio. Se per fondarvi uno stato proprio, a danno dell’Egitto e delle popolazioni locali (come sostengono i testi Egizi) o se per unirsi ai locali in armonia onorando l’autorità Egizia centrale, questo è dibattuto.
Esiste anche la possibilità che uno squilibrio interno alla regione della Marmarica abbia dato l’avvio a tutto questo, attraverso una serie di cause ed effetti concatenati. Potrebbe essere stata troppo favorita la produzione del Silfio – economicamente vantaggiosa per esportazione – a discapito dell’alimentazione degli armenti, anch’essa basata principalmente sul Silfio e questo avrebbe potuto rompere il fragile equilibrio tra produzione e scarse precipitazioni, determinando un’emergenza ed un grave scontro di interessi (Richardson, 1999:162). Uno scenario possibile è quello di blocchi delle strade ed imposizione di balzelli tra l’interno e le coste, da parte dei Meshwesh, allevatori di bovini. Anche l’aumentata densità di popolazione dei Libi, in seguito al benessere portato dal Silfio, in ultima analisi potrebbe avere avuto effetti perversi, squilibrando un sistema dalle risorse limitate. Questo potrebbe avere causato un dissidio tra i terminali del commercio del Silfio sulla costa e gli abitanti dell’interno, oltre che peggiorare il già difficile rapporto tra i pastori transumanti ed allevatori di bovini stanziali. Il tutto, alla fine, si sarebbe proiettato in territorio egiziano.
Insomma: l’ipotesi unicamente ‘guerresca’ delle invasioni dei Libi (come anche degli altri nemici degli Egizi, includendovi i cosiddetti ‘popoli del mare’, oltre ai proverbiali ‘nove archi’) è in dubbio e considerata poco credibile: altre tesi appaiono più probabili, anche se non esiste un’univoca spiegazione circa quanto successe nel periodo in esame.
Diventare Egiziani.
La penetrazione dei Libi in Egitto fu, alla fine, così profonda e completa, che i Libi erano – alla fine della XX Dinastia – saldamente radicati nel suolo Egizio e completamente integrati nella popolazione. Di conseguenza, molti libici di nascita o d’origine, avevano ormai nomi e costumi Egizi, come sappiamo da fonti storiche certe. Sappiamo con certezza che l’alto sacerdote di Amun, alla fine della XX Dinastia (1080-1074 a.C.), aveva un nome egizio, Herihor , ma era libico o d’origine libica, come sua moglie Nodjimet: i loro cinque figli avevano nomi libici (Masaharta, Masqaharta, Mawasun, Osorkon, Madenen). Verso la fine del regno di Psusennes (959-945 a.C.), ultimo regnante della XXI Dinastia, i Libi erano ormai progressivamente diventati una considerevole potenza nel contesto dell’Egitto e numerose province erano ormai totalmente in loro possesso o sotto il loro dominio amministrativo. In particolare, i Meshwesh andavano esercitando una sempre crescente influenza nei fatti riguardanti Tanis e Memphis. Nel Medio Egitto, dove la fortezza di Teudjoi difendeva i confini della teocrazia Tebana di Amun (ironicamente, la fortezza di Teudjoi era stata costruita nel tardo Nuovo Regno proprio allo scopo di protezione verso le scorrerie libiche!) i Meshwesh costruirono la loro fortezza principale e condussero Herakliopolis sotto la propria giurisdizione. In questo modo, di fatto, prepararono la strada per la XXII Dinastia Egiziana.
Infine: sembra più che evidente che la preoccupazione principale – per gli Egizi – non fu rappresentata certamente dai Serden, che sono degni di occupare appena poche righe nel resoconto della Storia di quegli anni. I veri nemici – che erano continuamente presenti nei pensieri dei militari Egizi e del loro Faraone furono certamente i Libi, che alla fine vinsero la loro guerra e dettero addirittura una Dinastia di faraoni al Paese, oltre a migliaia di sacerdoti, ingegneri e cittadini comuni perfettamente egittizzati.
Un altro gruppo merita di essere menzionato per il ruolo molto importante che coprì: i Peleset. Essi - fuggitivi anch'essi da varie calamità naturali e sociali e di probabile lingua greca - ottennero per sé i territori più orientali dell'Egitto: quindi anch'essi vinsero la propria 'battaglia' se proprio così vogliamo chiamarla. I Serden, invece, non ebbero nulla: né terre, fuori o dentro l'Egitto, né sacerdoti di Amon e neppure faraoni. Come si può credere che fossero terribili ed invincibili guerrieri, se non ebbero alcunché in cambio delle proprie fantastiche imprese?
° SILFIO. Secondo la leggenda, la pianta era un dono del dio Apollo. Era ampiamente utilizzata dalla maggior parte delle antiche culture mediterranee; i Romani la consideravano "valere il suo peso in denarii."
Il prodotto di valore era una resina (detta laser o laserpicium) ricavata dalla pianta. Veniva raccolta in maniera simile aFerula assafoetida, una pianta con proprietà simili al silfio, tanto che i Romani, compreso il geografo Strabone, usavano la stessa parola per descrivere entrambe.
A parte i suoi usi nella cucina greco-romana (come ad esempio nelle ricette di Apicio), la pianta era utilizzata per molte applicazioni mediche. Si riteneva che curasse la tosse, la gola irritata, la febbre, l'indigestione, i dolori, le verruche e tutti i tipi di malattie. Ma soprattutto, secondo Plinio il Vecchio, era utilizzata come contraccettivo. Oggi sappiamo che molte specie appartenenti alla famiglia delle Apiaceae hanno proprietà estrogeniche, ed è stato dimostrato che alcune (come la carota selvatica) possono fungere da abortivo; è quindi possibile che la pianta fosse farmacologicamente attiva per la prevenzione o l'interruzione della gravidanza.
Fonte: http://pasuco.blogspot.it/2013/12/libu.html