Archeologia. Nuova tecnica di analisi di antico DNA sperimentata in anfore greche del V a.C.

Creato il 09 novembre 2014 da Pierluigimontalbano
Nuova tecnica di analisi di antico DNA sperimentata in anfore greche del V a.C.


(Oleksii Zaborovets/iStockphoto.com)
Sono molte le anfore intatte conservatesi nei relitti e in altri siti. Quasi tutte sono però purtroppo vuote, senza alcun evidente indizio di quello che una volta era il contenuto.
Per ricavare il materiale genetico residuo, i ricercatori hanno dunque utilizzato due metodi: uno, classico, è stato eseguito rimuovendo pezzi di ceramica; l’altro, preso da CSI, è stato fatto strisciando le anfore con un tampone. L’idea è venuta dalla Polizia di Stato del Massachusetts, i cui investigatori sono stati interpellati.
Un team guidato dall’archeologo marittimo Brendan Foley, della Woods Hole Oceanographic Institution, ha testato il nuovo protocollo su nove anfore del V-III a.C., rimaste abbandonate in un magazzino di Atene per oltre un decennio. Tutte erano state tirate su dalle reti dei pescatori, prima di essere consegnate al governo greco negli anni ’90.
I risultati suggeriscono che il metodo del tampone funziona meglio. I dati mostrano peraltro che in queste anfore l’olio d’oliva, le olive, o una combinazione dei due, erano più comuni dei prodotti dell’uva come il vino. Molte anfore avevano anche tracce di DNA di origano, timo, menta – forse usati per insaporire e conservare i cibi. Più comune di tutti era però il DNA di cespuglio di ginepro, “non qualcosa di tipico quando si pensa alla dieta degli antichi Greci”, dice Foley. “Forse un bel po’ di bacche di ginepro venivano aggiunte a cibi e bevande nel mondo antico”.
Otto delle nove anfore portavano DNA di una complessa miscela di alimenti, il che ha portato Foley a sostenere l’ipotesi fatta da alcuni studiosi che le anfore venivano riutilizzate per il commercio marittimo, invece di essere buttate dopo un viaggio.
Nonostante il team di Foley abbia provveduto ad evitare contaminazioni, c’è chi è dubbioso che la tecnica abbia funzionato nel modo in cui è stata pubblicizzata. E “notevole” che l’anfora “rilasci DNA endogeno semplicemente strofinando la superficie”, ha dichiarato Craig Oliver, dell’Università di York, in Inghilterra. Craig, specialista nel recuperare DNA e altre molecole dagli oggetti antichi, avrebbe bisogno di vedere altri test di controllo per convincersi.
Ma se la tecnica venisse convalidata, costituirebbe uno strumento prezioso, dicono altri archeologi. “Se quell’analisi potesse essere fatta su un qualsiasi vaso antico conservato in un magazzino da molto tempo, sarebbe una cosa grandiosa”, afferma Mark Lawall, esperto di anfore presso l’Università di Manitoba, in Canada. Consentirebbe ai ricercatori di definire con precisione il contenuto di anfore trovate su uno specifico relitto, per esempio, e poi calcolare il valore del carico della nave – offrendo un’idea migliore sulle economie antiche.
Fonte: Journal of Archaeological Science

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