Il vento prevalente è quello da Nord Ovest, il maestrale, e il Sinis, pur essendo poco riparato perché prevalentemente pianeggiante, riesce in alcuni tratti a offrire riparo da questo forte vento. Il ridosso si può ottenere nel settore oggi occupato dalle barche dei pescatori. Altri venti influenti, anche se meno rilevanti, dall’ostro al libeccio e al ponente, portano nuvolosità persistente e pioggia, e riescono a penetrare nel Golfo di Oristano. C’è un gioco di correnti che fa si che il vento di libeccio sia il più grave per le navi che si trovano alla fonda. Il Golfo di Oristano non è dunque un riparo sicurissimo per le navi, comporta dei problemi e si sente la necessità di attrezzare approdi più riparati per evitarli. La barriera del promontorio della Frasca offre riparo al libeccio, e l’approdo delle navi è favorito. La laguna circolare di Santa Giusta è interna, dotata di un canale che la mette in comunicazione con il fiume Tirso. Ma non sappiamo quando è avvenuto lo sbarramento della laguna. Zucca afferma che inizialmente era una grande insenatura interessata dal moto ondoso e dal gioco delle correnti, ma solo la ricerca interdisciplinare potrà fare chiarezza sulla situazione passata.Tharros è il porto principale del Golfo di Oristano, posto a nord con il promontorio di San Marco sormontato dalla torre di San Giovanni. Zucca indica una serie di punti fermi:Sa Mistra Manna o cordone dunario di Su Siccu, che separa il bacino orientale di Mistras dal golfo di Oristano, è formazione recente, non esistente al tempo di Tharros. In quell’epoca il mare entrava con le sue ondate, sospinte dai venti del secondo e terzo quadrante (in particolare scirocco e libeccio), fino a una spiaggia fossile sul versante orientale della lingua di terra detta Sa Mistraredda. In questa spiaggia fossile (beach rock) si sono individuati moltissimi materiali archeologici punici e romani. La lingua di terra di Sa Mistraredda era più sottile sul lato occidentale, e si notano due linee di spiagge fossili, una delle quali, leggibile per circa ottocento metri, restituisce solo materiali fenici, punici e greci. Dunque il bacino più occidentale di Mistras era più esteso, almeno in età cartaginese, e tale bacino dovette fungere da porto della città di Tharros. Questa ipotesi si basa non solo su rinvenimenti archeologici ceramici all’interno di questo specchio d’acqua, ma soprattutto sulla scoperta di un probabile bacino portuale scavato nella roccia, all’estremità meridionale di Mistras, non lontano da San Giovanni di Sinis. Questo porto scavato, secondo Zucca, potrebbe essere il cothon (secondo la denominazione semitica) di Tharros. Il bacino si presenta con una fronte rettilinea di 225 m e con un grande molo lungo 190 m, che lascia un canale di avvicinamento delle navi di circa 50 m. Forse si tratta di una cava riutilizzata per creare tale bacino, connesso agli assi viari che, lungo il margine meridionale e occidentale di Mistras, collegavano Tharros a Othoca e Cornus, mettendo in connessione il territorio destinato alla cerealicoltura. Il grano e altre risorse erano destinate al consumo interno e all’esportazione marittima. Presso San Giovanni di Sinis, non lontano da questo settore, si è individuato il “Ceramico”, l’area dove gli artigiani di Tharros producevano vasellame e anfore destinate anche a contenere le derrate da inviare all’estero. La ricerca ha infine evidenziato due grandi argini che s’incontrano ad angolo retto e che servivano il bacino portuale. Altri argini minori sembrerebbero collegati alla coltivazione di saline in età antica. Il porto s’interrò progressivamente a causa della grande quantità di detriti portati a valle dal Tirso, forse già in età altomedievale. La fine della città di Tharros e il trasferimento dei tharrensi a Oristano potrebbe mettersi in relazione alla decadenza del porto e alla ricerca di un nuovo porto, trovato a Torre Grande e denominato Cuchusio (Cuguzzu). Nel medioevo l’approdo di Capo San Marco va ricercato nella caletta che distava mezzo miglio (615 metri) dal Capo, mentre resta da individuare l’approdo a ridosso di una scogliera, all’interno del golfo, a due miglia dal capo segnalato nel 1520-1521 nel portolano turco di Piri Reis. La ricerca è appena agli inizi e solo future indagini sulle linee di riva, databili con mezzi archeometrici, consentiranno di definire dettagliatamente la dinamica dei paesaggi costieri di Tharros, la nascita, la crescita e la morte del primitivo porto.La città di Tharros, così come si presentava negli scavi del 1956, condotti da Gennaro Pesce, era limitata tra il settore di Murru Mannu e la falda orientale del colle della torre di San Giovanni. La zona è protetta dal vento di maestrale, perciò i primi studi archeologici erano mirati all’individuazione del porto di Tharros, proprio nel settore del mare morto (Golfo di Oristano), distinto dal mare vivo, ossia il Mare Sardo. Si pensava a un centro abitato, monumentalizzato e dotato di porto. I dati acquisiti dalla ricerca archeologica e dallo studio della morfologia della costa hanno dimostrato che quella visione era sbagliata. L’analisi delle foto aeree del sito, fatte dal generale Schiemdt, di fronte al secondo edificio termale mostrano strutture che potevano rappresentare i moli del porto. L’indagine è andata avanti, e nel 1985 Fioravanti ha esaminato l’area di Murru Mannu, il colle settentrionale di Tharros, dove si trova la cortina muraria dell’antica città che ci fa capire la linea di costa nel periodo cartaginese, circa 2500 anni fa. Lo studioso ritenne che il porto si trovasse in una insenatura a nord, ai piedi del tofet, in vicinanza dell’unica via d’accesso naturale a Tharros, che si estende proprio in quella zona. L’unica fonte antica che parla del porto è del 170 d.C. quando il geografo Tolomeo riconosce Tharros lungo il fianco occidentale della costa sarda. Altre notizie le troviamo in un codice cinquecentesco della passione di Sant’Efisio in cui il santo è fatto sbarcare nel Portus Tharrensis, presso la foce di un fiume, forse il Tirso. Successivamente, nella cartografia medievale e postmedievale è riportato un porto di San Marco, ma non siamo certi che si tratti proprio del porto della città di Tharros. Oggi sappiamo che la variazione della linea di costa nella zona di Tharros è stata notevole, e siamo certi che il porto medievale non sorgeva dove c’era il porto antico.La portualità di Tharros risale almeno al periodo nuragico perché abbiamo documentazione di scambi internazionali fra nuragici e altri popoli mediterranei. La colonizzazione commerciale del Sinis nella prima Età del Ferro, ossia intorno al IX a.C., trasforma la struttura urbana sarda con una diminuzione del numero degli insediamenti e un aumento della densità abitativa. I traffici transmarini nel Sinis sono testimoniati dal mercato ceramico molto florido che durò fino alla prima metà del VII a.C. Il maestoso nuraghe S’Uraki di San Vero Milis catalizzava i commerci, ed era collegato con una strada che aggirava le lagune del Golfo e giungeva a Tharros. Proprio a metà di quel sentiero è stato individuato il viale funerario nuragico dell’VIII a.C. nel quale giacevano i frammenti dei giganti di Monte Prama, le più antiche statue in arenaria a tutto tondo dell’occidente mediterraneo. Lungo questa via i ritrovamenti sono stati cospicui perché c’erano numerosi piccoli villaggi. Nel nuraghe edificato a Murru Mannu è stato trovato un frammento di ceramica micenea del 1400 a.C., sbarcato da una nave proveniente forse dalla Argolide (Tirinto), a dimostrazione di commerci a largo raggio. Gennaro Pesce, nel suo libro dedicato a Tharros, si chiedeva come fosse possibile che i navigli micenei ponessero le ancore a Tharros, ma negli scavi del 1990 nel nuraghe Arrubiu di Orroli, è stato trovato un contenitore di profumi (alabastròn) che, insieme al frammento miceneo, sono i reperti più antichi, di area egea trovati in Sardegna. Fra i reperti importati, Bernardini ha trovato un vaso a corpo globulare decorato con un uccello e una pianta, proveniente forse da Cipro, databile al 900 a.C. Iniziava l’età fenicia ma i traffici dei sardi erano già floridi e i nuragici gestivano gli approdi. Quando i fenici arrivano a Tharros trovano una situazione ben avviata commercialmente, e progressivamente si integrano.I sardi vivono a Tharros almeno fino ai primi decenni del VII a.C., ciò è testimoniato dai materiali ritrovati, ad esempio un bronzetto con rappresentati una coppia di buoi aggiogati che proviene dalla zona di San Marco. Nel 1979 Zucca scavò la 25° tomba di Monte Prama trovando uno scarabeo di produzione levantina, forse cipriota o di Tiro, che secondo lo studioso Stiglitz è databile all’VIII a.C. Evidentemente nel porto di Tharros, ancora nuragico, arrivavano questi oggetti e arrivò anche l’idea della statuaria monumentale, una tradizione tipicamente orientale. I centri nuragici del territorio oristanese, come S’Uraki e Sa Ruda, restituiscono materiali di ispirazione fenicia realizzati dai nuragici. Zucca ritiene che la distruzione delle statue di Monte Prama sia avvenuta per mano di genti che volevano affrancarsi dai nuragici che imponevano pedaggi per l’uso di un porto che deve essere ancora individuato sul piano topografico. Tuttavia, la distruzione del sito funerario potrebbe essere avvenuta anche nel corso delle guerre puniche per opera di Roma.Nuove ricerche, arricchite da foto aeree, hanno messo in luce l’allineamento di una gigantesca struttura sommersa. Quando la portualità era svolta nella zona settentrionale, il cordone non esisteva ancora. Analizzando gli elementi funzionali alla descrizione delle fasi dell’evoluzione del porto, Zucca dubita che la Tharros fenicia fosse autonoma prima del 630 a.C. perché il tofet e le due necropoli, settentrionale e meridionale, restituiscono materiali che partono da questa data. Ipotizza che la Tharros fenicia iniziò la sua vita indipendente nella seconda metà del VII a.C., mentre in precedenza a gestire i traffici erano i nuragici, con all’interno una comunità fenicia la cui localizzazione è ancora dubbia.L’area di necropoli fenicia più importane che conosciamo è settentrionale, e suggerisce che il primitivo insediamento fenicio fosse nato proprio in corrispondenza dello scalo portuale del settore di Mistras. Il centro punico, e poi quello romano, sono invece nella zona in cui ancora oggi possiamo ammirarli. Zucca propone che il porto antico fosse, invece, nella zona a nord, nel mare vivo. Nel Golfo di Oristano, quindi nel mare morto, i cordoni dunali di Sa Mistra Manna e Su Siccu, si sono formati in successione di tempo. La linea di costa del mare interno ha visto la costituzione del primo cordone e di nuove linee di riva più avanzate. Le analisi di archeologia subacquea hanno rivelato che la linea retta lunga circa 150 metri che si nota dalle foto aeree è costituita da blocchi di arenaria quadrati. Proprio in corrispondenza della linea di riva più antica abbiamo quindi una struttura che sembra intagliata e, facendo i saggi di scavo sulle linee di riva fossili, si sono trovati materiali coerenti cronologicamente: in sequenza gli archeologi hanno trovato i materiali fenici, quelli cartaginesi, e i materiali romani.
In età punica abbiamo un porto intagliato e scavato, come a Cartagine e in altri siti. Altri studi propongono un sistema di portualità di Tharros all’interno della laguna di Mistras, che si è progressivamente spostata fino all’età romana. Ebbe il suo ruolo principale in età cartaginese, quando Tharros era probabilmente la capitale della provincia punica di Sardegna. In età romana il porto aveva un ruolo minore perché si trovava nella sponda opposta alla costa laziale. Zucca ritiene che questo dato della variazione della linea di costa, e il progressivo interrimento del porto punico, sia stato un fattore determinante, ma non esclusivo, dello spostamento del porto. Probabilmente si aggiunsero decisioni di carattere politico volute da Roma. Secondo l’archeologo Stiglitz, ciò avvenne anche a Cagliari: la variazione della linea di costa, con la creazione della barra di Sa Scafa, decise il destino del porto della Cagliari punica a Santa Gilla, con il passaggio alla nuova zona della darsena.