ARIANNA | Un film di Carlo Lavagna, visto e recensito da Amedit

Creato il 26 dicembre 2015 da Amedit Magazine @Amedit_Sicilia

ARIANNA

Un film di Carlo Lavagna

di Elena De Santis

L’atavico e misterioso fiore della sessualità sboccia e sprigiona i suoi profumi nel passaggio, insieme impercettibile e traumatico, tra infanzia e adolescenza. È qui, in questa vergine terra di mezzo, che la maturazione sessuale contribuisce a definire orientamenti e identità. Se l’eterosessualità, l’omosessualità, la bisessualità, la transessualità e l’asessualità sono tutti itinerari più o meno agevoli e transitabili (qua lineari e là scoscesi o dissestati, a seconda dei singoli percorsi), lo stesso non può dirsi per l’intersessualità, più nota forse come “ermafroditismo”, una strada interrotta già in partenza, un bivio che si ricongiunge in un vicolo cieco. Arianna – la giovane androgina protagonista dell’omonimo film di Carlo Lavagna (con sceneggiatura di Carlo Salsa, Chiara Barzini e lo stesso Lavagna) – ha la sventura di nascere con quest’anomalia: due sessi, due identità sovrapposte che s’annullano l’un l’altra. I genitori, impreparati a gestire una situazione più grande di loro, si affidano al consiglio dei medici e decidono per un’operazione “risolutiva”: l’evirazione del pene e una cura ormonale vita natural durante con pillole e cerotti per stabilizzare la paziente in una connotazione femminile. Arianna va sotto i ferri all’età di soli tre anni. Non potendo scegliere “da che parte stare” sono i suoi genitori a scegliere per “lei”. A quest’operazione, aperta e chiusa come una parentesi, si accompagnerà un silenzio lungo diciannove anni. Arianna scoprirà la sua intersessualità solo durante il suo primo rapporto completo: la penetrazione non le recherà l’orgasmo del piacere ma solo un sordo dolore e una sconfinata solitudine.

Una condizione davvero difficile da somatizzare, soprattutto nell’età acerba della scoperta di sé. Il film tratta il tema in punta di piedi, con estrema delicatezza, a una distanza di rispetto e senza pruriginose insistenze. Arianna osserva il suo corpo allo specchio, lo scruta con circospezione, lo accarezza, ed è la rotondità appena accennata dei seni a metterla in allarme; il confronto con le forme ben sviluppate di una sua coetanea le dà la misura della sua inadeguatezza. Incapace di gestire il disagio interrompe bruscamente la relazione appena iniziata e, di nascosto dalla famiglia, si reca in ospedale per capire l’origine del problema. Le analisi cliniche, compilate nero su bianco su una fredda cartella medica, lasciano poco spazio all’interpretazione. Quella vecchia cicatrice che credeva dovuta a un’ernia inguinale era invece il segno dell’evirazione, il sigillo impresso per sempre sulla sua identità. Comincia qui, tra l’incredulità e la rabbia, un doloroso percorso di elaborazione e interiorizzazione, un primo timido passo, incerto e barcollante, verso la nuova consapevolezza. Il viaggio iniziatico attraverso sé, con indosso la veste bianca della festa, si fa metafora di un’adesione alla natura primordiale; molto indovinato, a tal riguardo, il rimando alla Miranda di Peter Weir in Picnic at Hanging Rock: la vergine si inoltra su un sentiero ignoto, tagliato vaginalmente nello spessore della roccia, un sentiero che sale a spirale su un monte fallico per poi scomparire in dissolvenza. In questa scena, la più emblematica e suggestiva del film, Arianna riavvolge il filo della sua identità in una ritrovata verginità, e si riappropria di una fertilità primordiale legata alla madre terra, al sentire profondo, misterioso e arcano della natura.

L’intersessualità, in questa chiave simbolica e esoterica, sembra racchiudere il segreto dei sessi (scissi e al contempo indivisibili), quell’equilibrio sottile sotteso alla dualità maschile-femminile. Nel prologo e nell’epilogo ad Arianna è associato l’elemento purificatore dell’acqua (liquido placentare e battesimale). Sullo sfondo la natura quieta e selvatica intorno al lago di Bolsena e gli scenari atemporali della Tuscia etrusca, paesaggi arcadici (come sospesi in una dimensione parallela) che rimarcano la valenza mitica dell’ermafrodito. Ottima la prova attoriale di Ondina Quadri, certo avvantaggiata nel ruolo dal suo particolarissimo sembiante androgino; nel 2013 la giovane attrice aveva interpretato il ruolo di “Ermafrodito” nel film italo-francese di Yanira Yariv Metamorfosi. Con Arianna Ondina Quadri si è aggiudicata il premio “Nuovo Imaie Talent Award” come migliore attrice emergente alla 72esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Attualmente l’attrice è al lavoro con il gruppo del Teatro Valdoca per uno spettacolo ispirato a Comizi d’Amore di Pier Paolo Pasolini. Arianna, opera prima del regista romano Carlo Lavagna, al di là della specificità del tema affrontato, ha il merito di allargare la sua riflessione su un concetto più esteso di identità, ben oltre il limite convenzionale dei sessi e dei ruoli.

Elena De Santis


Cover Amedit n. 25 – Dicembre 2015
“Célestine” by Iano

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Questo articolo è stato pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 25 – Dicembre 2015.

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