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Palco dell’Ariston, 2009. Tra le nuove proposte del gran Festival spunta una ragazzina un po’ cresciuta, con occhialoni neri, rossetto vermiglio e una bizzarra capigliatura sulla testa. Dice di chiamarsi Arisa (il suo vero nome, però, è Rosalba Pippa), è un po’ impacciata e parla tanto di Sincerità, arrivando a vincere il premio della sua categoria. Il suo look da cartone animato diverte, la sua musica spensierata attrae. Arisa su quel palco lascia il segno. Tanto da ritornare nel 2010 con Malamorenò e nel 2012 con La notte, brano lento che segna una svolta nella sua carriera e che si piazza al secondo posto del Festival italiano. In questa esibizione Arisa è diversa da come il pubblico si è abituato a vederla: i grandi occhiali sono scomparsi, trucco e acconciatura sembrano più raffinati e curati, il tutto avvolto in un elegante abito nero. La notte propone un’impensabile variazione di atmosfere e melodie, ora più dolci e sentimentali, dato che il testo narra del dolore dovuto ad una infelice separazione. Ecco che così il brutto anatroccolo si trasforma sul palco dell’Ariston in un cigno risplendente, emozionando la platea ed accrescendo l’ammirazione nei riguardi della cantante che nel 2014 vincerà il Festival della città dei fiori con il singolo Controvento.
Non ancora appagata dalla sua carriera di cantante, Arisa si cimenta anche in altri campi: prende parte ad un programma televisivo di LA7, è giudice nel talent show X Factor, è pure attrice, doppiatrice italiana e scrittrice. Nel 2012 esce Il paradiso non è un granché. Storia di un motivetto orecchiabile, edito da Mondadori. È la storia di M‘arisa’, giovane proveniente da un Sud chiuso e superstizioso che si trasferisce a Roma in cerca di successo. L’ottiene, ma si rende presto conto che la sua vita non è felice come quella che immaginava: l’attendono incomprensioni, solitudine e delusioni. Grazie alla sua risolutezza, però, Marisa riuscirà a fronteggiare le difficoltà in cui s’imbatterà lungo il suo percorso.
Attanagliata dalla neve e dalla solitudine che la barricano in casa, Lara si lascia travolgere da una valanga di ricordi: rammenta le vacanze allegre con la sua famiglia, quelle al mare e quelle in montagna, rammenta le prime sedute terapeutiche, l’infatuazione, i primi regali. Il tempo continua a scorrere mentre la ragazza rimesta, sola, i suoi pensieri. Sono in pochi i vicini di casa che la conoscono. Qualcuno di buon animo la invita anche a cena, ma lei declina con gentilezza perché dice di attendere una “persona speciale”.
Lara si dà da fare perché la cena della vigilia di Natale possa essere perfetta: esce a comprare i pastorelli del presepe, gli addobbi per l’albero, i peperoni per la cena, raccoglie i fiori per farne una composizione, indossa l’abito che la farà sembrare bella e si sistema i capelli. Segue anche i vecchi ammonimenti della nonna: «Il trucco è non guardare dalla finestra: se non lo fai, poi la persona arriva» diceva lei, ma pur non osservando al di là del vetro nessuno verrà a farle compagnia dinnanzi a quella tavola imbandita. Nessuno.
Quello con cui Arisa tratteggia la breve storia di Lara è uno stile fresco, giovanile, a tratti sarcastico e che arriva subito al dunque. Uno stile semplice, forse fin troppo. Come la trama del resto. Basta sfogliare le prime pagine per capire chi sia Lara, quali siano i suoi comuni pensieri e le sue fisime uggiose, perché il personaggio rimane inalterato per tutto il libro. Basta sfogliare le prime pagine per comprendere cosa accadrà a breve, per immaginarsi già il finale (piuttosto scontato, tra l’altro). La storia in sé per sé potrebbe funzionare: è una disperata tragedia, una straziante disfatta della protagonista degna d’attenzione, ma le pagine sono esigue (poco più di cento) perché il romanzo possa prendere la dovuta consistenza, la superficialità rasentata in alcune parti del testo impedisce al romanzo (se così si può definire) di spiccare il volo. La lettura è rapida, piacevole sì, ma lascia il tempo che trova.
Insomma, che dire dell’Arisa scrittrice? Quanto al canto il suo successo è indiscutibile, la critica e i premi lo confermano; ma sulla carta forse l’artista non riesce a raggiungere la profondità dovuta, non riesce a toccare “le corde più profonde dei nostri sentimenti” (come si legge nella descrizione del libro stesso). E poi, diciamoci la verità, quanti curatori la casa editrice avrà messo a disposizione della cantante? Sarà tutta farina del suo sacco? Non possiamo dire nulla. Forse sapere che questo romanzo nasce da un particolare periodo di solitudine della cantante e dai suoi studi sulla disperazione di Mia Martini, che – come dice Arisa in un intervista – “faceva parte di lei”, aiuterà a rivalutare questo scritto? O magari brevità e apparente superficialità saranno i tratti precipui di Arisa scrittrice e non scontati difetti? Ai posteri (lettori) l’ardua sentenza.
Antonio Puleri
Fonte: ultimariga.it