Armenia: speranze di pace, malgrado le minacce oltre i confini

Creato il 30 aprile 2012 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR

In questi giorni l’Armenia torna sotto i riflettori della stampa internazionale per due avvenimenti di particolare rilievo, in grado di influenzare il cammino del paese verso la pace e la stabilizzazione di cui tutto il Caucaso ha da sempre bisogno.

 
Le celebrazioni per il 24 Aprile, data che tradizionalmente ricorda il genocidio degli Armeni compiuto dagli Ottomani circa un secolo orsono, quest’anno sono state turbate dalle notizie provenenti dalle zone di confine tra Armenia e Azerbaigian, dove si sono verificati diversi scambi di artiglieria proseguiti per alcuni giorni. Nell’episodio più sanguinoso tre militari armeni sono rimasti uccisi, dopo che le postazioni nemiche hanno colpito la vettura sulla quale viaggiavano, quindi senza che vi fosse da parte loro uno specifico atteggiamento aggressivo. Il fatto è avvenuto nei pressi del villaggio di Aygepar, nella provincia di Tavush.

Solo pochi giorni prima, tra il 23 ed il 24 Aprile, erano state segnalate violazioni del cessate-il-fuoco lungo la linea di contatto con il Nagorno Karabakh. Ma se la linea di contatto tra Karabakh ed Azerbaigian è spesso oggetto di incursioni militari in cui perdono la vita molti giovani militari da entrambe le parti, i fatti di cronaca recente testimoniano un parziale ampliamento degli scontri verso i territori settentrionali della regione, nonché un deprecabile coinvolgimento dei civili nel conflitto, con abitazioni e villaggi armeni presi di mira dall’artiglieria d’oltre confine.

Tavush: una nuova frontiera per il conflitto del Karabakh

La provincia di Tavush, ubicata nel settore nord-orientale della Repubblica d’Armenia, è stata oggetto dei colpi d’artiglieria azera già nei giorni scorsi, considerate le notizie trasmesse dai media locali che davano la scuola materna ed altri edifici civili del villaggio di Doveg sotto il fuoco azero. È significativo ricordare che nella zona non vi sono installazioni militari significative da parte armena, e che quindi l’episodio va probabilmente inquadrato nel complesso di provocazioni militari atte a far salire la pressione politica lungo la linea di confine; che tutto questo sia un pretesto per pianificare operazioni militari più capillari è sicuramente presto per dirlo. In questo caso non pare il Karabakh l’obbiettivo dei colpi: puntare l’artiglieria contro edifici civili o colpire un mezzo militare di passaggio entro la linea di confine sono solamente atti criminosi.

A che serve allora versare tanto sangue in una regione così lontana dal Nagorno Karabakh e dalla sua cease-fire line? Sicuramente la presa di mira di edifici civili costituisce un precedente particolarmente negativo che non fa altro che aumentare la tensione lungo il confine. I vertici istituzionali di Yerevan hanno promesso una “risposta adeguata”, ponendo l’accento sul fatto che all’avvicinarsi di ogni processo elettorale il potente vicino cerca di far salire la tensione con mezzi più o meno sempre tollerati con il silenzio dalla comunità internazionale. Un simile aumento della violenza lungo la linea di confine si registrò ad esempio durante le ultime elezioni presidenziali in Armenia, nel febbraio 2008.

Il presidente armeno Serzh Sargsyan riguardo alla morte dei militari presso Aygepar ha ammonito: “Che nessuno pensi di poter approfittare del processo politico in corso nel nostro paese…abbiamo un esercito potente ed prenderemo delle contromisure. Credo che nessuno nel nostro paese dubiti della potenza delle nostre forze di difesa”.

Le elezioni parlamentari

L’accenno del presidente Sargsyan ai “processi politici in corso” è da intendersi essenzialmente legato alle imminenti elezioni per il rinnovo del parlamento armeno. Il 6 maggio prossimo si terranno infatti in tutto il paese le elezioni per il rinnovo dell’assemblea nazionale unicamerale (Azgayin Zhoghov), alla quale prenderanno parte 8 partiti: Partito Repubblicano (RPA), Armenia Prospera, Federazione Rivoluzionaria Armena Dashnaktsutyun (ARFD), Norma della Legge (Orinats Yerkir), Eredità armena (Zharangutyun), Partito Democratico (DPA), Partito Comunista e Partito dell’Unità Armena, così come il blocco d’opposizione del Congresso Nazionale Armeno (ANC).

I sondaggi danno parzialmente in difficoltà i repubblicani dell’attuale presidente Sargsyan, che potrebbe incassare dalla popolazione le critiche, piuttosto ingenerose, per il calo del tenore di vita che la crisi economica mondiale ha portato anche a Yerevan; il malcontento risulta acuito in particolare dal calo delle rimesse provenienti dai lavoratori armeni immigrati in Russia e dalle condizioni difficili in cui versa parte della popolazione rurale di un paese che per ragioni geografiche e politiche rimane piuttosto isolato.

Dopo le contestazioni del 2008, il paese è chiamato a dimostrare la solidità del proprio assetto democratico di fronte soprattutto a Russia ed Europa, che ne sostengono la partecipazione rispettivamente alla CSI ed al Partenariato orientale. Una missione di osservatori della CSI è da giorni nel paese per seguire la trasparenza della campagna elettorale e delle imminenti operazioni di voto. Vi partecipano circa 160 esperti provenienti da Bielorussia, Kazakhstan, Kyrgyzstan, Moldova, Russia, Tajikistan, Turkmenistan, Uzbekistan ed Ucraina. A tale proposito sono certamente di buon auspicio le valutazioni positive dell’ODIHR e la dichiarazione del Primo Ministro armeno Tigran Sargsyan, il quale ha dichiarato che “le autorità armene sono determinate a condurre le più libere e trasparenti elezioni della storia moderna armena”, evidenziando “l’esistenza nel paese di tutti i requisiti necessari a perseguire tale obiettivo”.

Conclusioni

Uno dei maggiori problemi per il Caucaso oggi è rappresentato dall’approccio scostante e schematico con cui spesso l’Europa e le potenze occidentali esaminano i conflitti della regione. Alcuni esempi: in Abkhazia l’UE sostiene la lotta alla criminalità ma non è in grado di manifestare, per le ragioni diplomatiche facilmente intuibili, un segno di solidarietà verso l’ennesimo attentato al locale presidente Ankvab che da tempo lotta contro le mafie locali. Al tempo stesso l’UE predica simbolicamente la democrazia in Ossezia del Sud ed il superamento dei vincoli economici legati alle famiglie dominanti, ma non è in grado di valutare positivamente il processo elettorale che recentemente ha portato all’elezione del nuovo presidente. Similmente si possono quindi leggere le decine di dichiarazioni “a supporto della pace”, diffuse alle agenzie di tutto il mondo senza prendere posizioni concrete sulle recenti violazioni del cessate-il-fuoco lungo i confini dell’Armenia.

Non fa purtroppo eccezione a questo approccio piuttosto superficiale e sfiduciato il cosiddetto Gruppo di Minsk, istituzione OSCE che dal 1992 si è incaricata di trovare, mediante la difficile arte della mediazione internazionale, una via di uscita al conflitto del Karabakh. Peraltro credo sarebbe più appropriato definirlo “conflitto azero-armeno”, poiché come i fatti di questi giorni dimostrano, l’oggetto della discordia non è più solo rappresentato da Stepanakert e dintorni. È significativo ricordare che nei 20 anni di operatività del Gruppo di Minsk, questo non è stato ancora in grado di garantire una partecipazione del governo del Karabakh ai colloqui di pace, a causa dell’opposizione di diplomatici stranieri palesemente schierati in senso anti-armeno. Basterà ricordare che il rappresentante statunitense per il Gruppo di Minsk, Matthew Bryza, lasciò nel 2009 l’incarico per ricoprire nei tre anni successivi nientemeno che il ruolo di Ambasciatore degli Stati Uniti in Azerbaigian.

Alla luce di questi problemi e della debolezza della diplomazia internazionale, non deve stupire la relativa inconsistenza dell’ultimo comunicato dei rappresentanti del Gruppo di Minsk sui recenti fatti di cronaca bellica descritti: “I co-presidenti del gruppo di Minsk sono profondamente preoccupati dalle recenti notizie riguardanti una serie di violazioni del cessate-il-fuoco lungo il confine armeno-azero e la Linea di Contatto che ha provocato morti e feriti”.


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