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Armi di contrabbando arrivano ancora in libia per aiutare gheddafi

Creato il 28 marzo 2011 da Madyur

L’alleanza Atlantica ha le prove che il flusso illegale di armi verso la Libia è un’attività che continua. Gheddafi, infatti, sta lottando per la sua sopravvivenza e dispone di ricchezze immense . Quindi disposto a pagare qualsiasi cifra per armi che possano allungargli la vita e tenere il Paese in una condizione di guerra civile prolungata.

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Il prezzo al mercato nero delle armi leggere si è decuplicato. I broker dei Balcani – serbi, albanesi , montenegrini – sono in piena attività e le rotte adriatiche sono aperte. Perché il Paese come la Libia che pure può contare di rotte attraverso i suoi deserti meridionali ( ai confini con Ciad e Sudan) e occidentali (Algeria) , resta la via maestra.

Al Colonnello i Paesi della ex Iugoslavia e l’Albania si presentano come pozzi senza fondo. Sono freschi di guerre. Hanno reti di traffico che si sono consolidate nel tempo e che costituiscono il vero business di potenti mafie. Sono da sempre il primo mercato delle industrie belliche russa e cinese e dunque correttori privilegiati della merce che può soddisfare la domanda libica : fucili d’assalto russi Ak-47 ( i kalashnikov) e cinesi (type 56).

Pistole semiautomatiche Makarov calibro 9 , visori notturni , mortai leggeri e munizionamento. Soprattutto , nei Balcani, la rotta nera delle armi dispone di almeno un porto sottratto a qualsivoglia controllo degno di questo nome : Bar, nella repubblica di Montenegro. Quel che accade sulle sue banchine , da tempo non è più un mistero per nessuno.

Un anno fa , Goran Stanjevic, già rappresentante dell’Agenzia per gli investimenti esteri del Montenegro, lo ha raccontato ai magistrati della Procura distrettuale antimafia di Bari. A Bar ci sono magazzini pieni di armi. Le vendono alla Libia , alla Siria , ai Paesi Arabi. E in quei magazzini lavorano anche 500-600 italiani.

Lungo le coste albanesi , i porti di Durazzo e Valona , valgono quelle di Bar. Il governo di Tirana ha sempre smentito con forza che il Paese sia sulla rotta delle armi di contrabbando per Tripoli. Ma è un fatto che un cargo di 150 mila proiettili da mortaio da 82 mm prese il mare per il porto libico di Ras Lanuf. Così come è un fatto che in questi ultimi anni di guerre centro-africane , armi di fabbricazione cinese ritrovate in Sudan o in Ciad siano risultate di provenienza albanese.

I cargo che partono dall’Adriatico costeggiano la Grecia . Talvolta fanno scalo in Turchia, approdano sulla costa occidentale egiziana , dove i carichi vengono introdotti in Libia , lungo la sguarnita frontiera desertica. In questo momento la porta egiziana è particolarmente permeabile , e assorbe non solo le rotte di traffico dai Balcani , ma anche quella che parte dalla Siria.

Già perché Israele , e Usa sono convinti che Damasco non sia fuori dal contrabbando di armi con il rais. Che la rotta di armi per la Jamahirya combaci con quella storicamente utilizzata dai siriani per rifornire , sempre via Egitto , i Palestinesi della striscia di Gaza . E che l’origine dell’armamento sia iraniano.

L’intelligence americana e israeliana hanno scoperto che a febbraio nello stretto di Suez : due navi da guerra iraniane , ufficialmente invitate a partecipare a esercitazioni congiunte nelle acque territoriali siriane. E poi che in acque internazionali l’abbordaggio israeliano al mercantile “Victoria” , ha portato alla scoperta di 2500 granate di mortaio, 75 mila proiettili e sei missili antinave.


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